Gli esseri umani non scremano, non tagliano non sfrondano. Io guardo questa foresta cupa in cui mi sto per addentrare. Ma le vere foreste nere e impenetrabili siete voi. L’uomo cresce male, peggio delle piante malcurate, mettete arbusti sopra al cuore, corone di spine a cingerlo. Le collocate fin da piccoli, costringendovi a far contenti genitori che vi colpevolizzano. Costretti a dire ciò che vi piace e non vi piace per bocca di un adulto. La corona è a misura di cuore piccolo, poi cresce e rimane squartato e scarnificato.
Imparate a mimetizzarvi peggio dei predatori, per far male. Non per fame, per il puro gusto di infliggere sofferenze al più debole. Almeno tra animali ci si uccide e basta. Voi ammazzate per nome di qualche dio.
Che forse volta le spalle proprio mentre lo compiacete. Mamma, il tuo mondo non mi piace, tu non mi hai dato questo sentimento da cuore nero. Non mi hai allattato ad angoscia. Non mi hai fatto essere quello che non ero. Io voglio sapere ad istinto chi mi vuol male, chi bene, non sopporto questo travestitismo. Questo mascherarsi da buoni e vittime, da orfani e vedove che poi hanno il pugnale della maldicenza sotto il manto. O peggio ancora sono pronti a uccidere con un’arma vera, che mondo che avete messo su.
Ti ringrazio di non avermi fatto crescere umano, tu sei buona, ma questa cattiveria che non ti appartiene non la voglio. Io voglio sopravvivere per i miei alberi, per le mia braccia prensili, per il mio istinto, quello che mi fa vedere il buono bianco e il cattivo nero. E fanculo tutta la gamma di colori di sentimento che propongono i tuoi simili.
Mi hai chiamato Wounda, ero uno scimpanzè in fin di vita. Mi stavano per sbattere in un circo, peggio ancora, forse mi avrebbero mangiato.
Tu ti chiami Jane, come la donna di Tarzan, mi dicono che sei una biologa, io so solo che sei la mia mamma, perchè mi hai salvato, curato e quando ero pronta a tornare nel mondo animale, mi hai lasciato andare.
Quando hai aperto la gabbia, per farmi tornare alla mia libertà, ho dato una occhiata e stavo per andarmene, ma prima dovevo fare una piccola cosa. A voi manca un pezzo di cuore, vi crescono senza gratitudine. So solo che sono tornata indietro per stringerti forte mamma, per dirti che non ti dimenticherò mai, ti avevo tra le mie braccia lunghe, fino a sentirti tremare, fino a vederti piangere. Dovevo andare, era giusto che ci lasciassimo.
Io sono uno scimpanzè libero, tu un’umana, forse più libera di tanti altri esseri, che di umano hanno ben poco.
Mi avevi chiamato Wounda, significa “sull’orlo del baratro”. Ho saltato da quel baratro, mamma, sono il primo scimpanzè che sa volare, libera. Molti umani, come bestie, sono ancora lì pieni di paura, incapaci di avere ali, capacissimi a farsi male. Siete voi Wounda, sull’orlo del baratro. Ciao mamma, anche se so che non sei davvero la mia mamma. Ma va bene così.