Finanzieri del Comando Provinciale di Roma hanno arrestato un noto imprenditore calabrese, – da anni residente a Roma e contiguo ad ambienti malavitosi di matrice ‘ndranghetista – in quanto, attraverso l’utilizzo di società intestate a prestanome, ha posto in essere una serie di investimenti di dubbia liceità nel settore turistico immobiliare, agevolando, anche indirettamente, un clan di ‘ndrangheta di Cetraro (Cosenza).
Già nello scorso marzo 2013, il G.I.C.O. del Nucleo di Polizia Tributaria, coordinato dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, aveva sottoposto a sequestro preventivo un’importante azienda operante nel settore agricolo-zootecnico, in una nota località turistica lucana, di fatto riconducibile all’imprenditore.
L’ultima operazione, che ha portato all’arresto, oltre che dell’imprenditore anche della moglie e del cognato, questi ultimi due agli arresti domiciliari, riconosce la bontà dell’attività d’indagine esperita e giunge all’esito di un complesso iter giudiziario.
La Sezione per il riesame dei provvedimenti restrittivi del Tribunale di Roma ha accolto pienamente l’appello proposto dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, nella persona del Procuratore Capo Dott. Giuseppe Pignatone e Sost. Proc. D.ssa Palaia Maria Cristina, riconoscendo non solo la sussistenza di una grave scorta indiziaria nei confronti dell’imprenditore, della moglie e del genero ma, soprattutto, la sussistenza delle ipotizzate esigenze cautelari.
Più in particolare, i giudici del riesame, valorizzando le investigazioni delle Fiamme Gialle del G.I.C.O. e condividendo le motivazioni integrative sottolineate dalla Distrettuale Antimafia capitolina, sottolineavano la forza probatoria di un’illuminante lettera, rinvenuta nel personal computer dell’imprenditore in una perquisizione.
Tale missiva, peraltro indirizzata ad altro pregiudicato mafioso, nel ricordare come l’affiliazione ‘ndranghetista costituisca una scelta di vita e non già solo un’opportunità affaristica, evidenziava il ruolo criminale preminente dell’imprenditore sul destinatario, per poi tenere quella che, in maniera perfetta, è stata definita una vera e propria lezione di “diritto mafioso”.
Essere ‘ndranghetisti è una scelta non più revocabile e che crea un vincolo di sangue tra gli associati ineludibile, chiamati sempre ad un mutuo soccorso, anche e soprattutto in ipotesi di (prevedibili) “infortuni giudiziari”.
Emblematiche, a tal riguardo, le seguenti affermazioni “…la prima cosa che mi è stata spiegata nelle prime frequentazioni di alcuni ambienti è stata la differenza fra CONCETTO DI AMICIZIA e FRATELLANZA…infatti L’AMICIZIA è espressione di una frequentazione abituale, LA FRATELLANZA…rappresenta un “LEGAME””. E ancora “…è proprio su questo principio (FONDAMENTO DELLA FILOSOFIA MASSONICA) che è stato concepito il “RITUALE INIZIATICO” di accettazione ed ingresso nella “SACRA FAMIGLIA e ONORATA SOCIETÀ”, radicato nella storia antica della nostra terra d’origine (CALABRIA). …si entrava a far parte dell’ONORATA SOCIETÀ attraverso un atto definitivo (PATTO DI SANGUE), che si stabiliva il LEGAME DI FRATELLANZA, tutto questo perché era stato considerato unico vero meccanismo nel comportamento umano che evitava ATTI DI TRADIMENTO…il tempo infatti ha dato ragione agli UOMINI D’ONORE di una volta, che consideravano l’ONORATA SOCIETÀ pari alla SACRA FAMIGLIA, di conseguenza non come OPPORTUNITÀ AFFARISTICA ma come SCELTA DI VITA che imponeva “REGOLE” basate sul PRINCIPIO DELL’ONORABILITÀ e DELLA FRATELLANZA”.
Ogni commento appare superfluo rispetto agli inquietanti valori criminali alla base delle regole comportamentali mafiose. In tal senso, peraltro, importanti collaboratori di giustizia ovvero acquisizioni investigative pregresse avevano già consentito di sottolineare il ruolo dell’imprenditore come soggetto:
- (a) “vicino” all’organizzazione ‘ndranghetista investigata, operativa nella zona di Roma, potendo peraltro muoversi addirittura con un passaporto diplomatico;
- (b) in contatto con personaggi di spicco della criminalità romana quali il noto T. E. conosciuto alle cronache giudiziarie della Capitale per i suoi trascorsi di usuraio e vicino al più noto E. N., entrambi coinvolti in diverse indagini per i delitti di usura ed estorsione, da ultimo condannati nel 2007 per associazione a delinquere finalizzata all’usura, estorsione, truffe, reati societari ed altro;
- (c) in affari e responsabile di specifiche condotte usuraie insieme al noto C. L., parimenti personaggio di spicco della malavita capitolina.