Mi auguro che sia un caso. Magari una dipendente di Trenitalia dai molteplici problemi familiari che vive male lo spirito natalizio. Una persona come tante colta da nevrosi.
Invece temo che sia il sintomo di una malattia collettiva, peggio ancora, di una malattia virale.
La fonte è certa: sono io in arrivo in Italia per le inevitabili feste di fine anno. La partenza da Parigi non è troppo traumatica, solo un diverbio con uno tipo del personale di terra affetto da “dirigenzialismo” acuto che ci ha fatti imbarcare come in un carro bestiame con l’educazione di un mulo.
Atterro a Pisa: tutto bene, forse perché ho incontrato un simpatico signore col quale ho scoperto avere conoscenti in comune. Chiusi in questa bolla di amenità ci dobbiamo essere distratti. Treno Pisa-Rapallo: tutto bene e pure in orario. Scendo a Rapallo perché Santa Margherita Ligure la stanno eliminando dalle cartine, ma questa è un’altra storia…
Aspetto il regionale delle 12,56 per arrivare infine a casa alle 12,59.
Tre minuti da incubo
Arriva il regionale. Impossibile salire sulle ultime quattro carrozze strilla una dipendente di Trenitalia armata di bandierina verde. Sono rotte. “Normale” penso.
In fondo al marciapiede siamo in diversi e ci catapicolliamo alla più vicina porta “apribile” dove la signora strillante e sbandierante ci lascia salire.
Ossia, sale un ragazzo “europeo” e salgo io.
Anche dei signori di colore dovevano salire su quel treno. Ma la signora li ferma.
Li apostrofa dando loro del “Tu”. “Tu non sali, non hai il biglietto, fallo vedere sai…”. Poi la suddetta signora si mette a correre sul marciapiede per fermare altri stranieri che salivano su altre carrozze. Sembrava una contadina impazzita che scacciava delle galline… Torna alla porta del mio vagone. Io resto impalata per due ragioni: una era che dovevo scendere dopo tre minuti, se mai il treno si decideva a partire, e poi ero impietrita dalla scena. Un ragazzo di colore le mostra il biglietto, pure obliterato. “Grande!!!” penso io. Passa un signore di una certa età, che guarda la mia valigia con ancora lo scotch dell’aereo, vede il mio sguardo allibito ed in genovese mi chiede: “Signora parte?” ed io: “No, arrivo, vivo all’estero”. Il signore scuote la testa e mi dice: “Signora, qui stanno impazzendo tutti”.
Nel tafferuglio il treno parte lasciando qualche “nero” a terra, tre minuti dopo arrivo a destinazione. Scendo e scende pure la sbandierante signora. Sbraita ancora. Due ragazzi (sempre africani) sono scesi ad obliterare e lei non vuol farli risalire. E ci riesce pure, non salgono.
In stazione restiamo per qualche momento in due a cercare di capire perché…
Vogliamo dire che la linea regionale per e da Genova è una linea pendolari frequentata da tutto e di più, compresi i furbetti di qualunque tinta siano? Ma vogliamo anche dire che un treno non è un aereo sul quale per salire devi mostrare il biglietto? Se poi il controllore ti becca senza ti fa la multa. Non l’hai obliterato? Pure. Semmai ti fanno scendere dal treno perché senza biglietto. Ma chi stabilisce chi deve mostrarlo prima di salire? Eccezion fatta per i treni di notte.
La Francia è sempre più intollerante e razzista, come molti paesi europei che stanno pendendo sempre più verso l’estrema destra, ma esiste il “délit de faciès”. Significa che non si possono controllare le persone in base al colore, ai tratti somatici, ad un abbigliamento che indichi un’appartenenza comunitaria (non tutti i ragazzi col cappuccio della felpa su sono spacciatori). Questo vale per la polizia, per i dipendenti pubblici ma anche per i datori di lavoro che a pari competenze scegliessero in base alla nazionalità. Questa regola è lungi dall’essere sempre applicata ma è comunque un freno alla discriminazione.
Se cominciamo a non far salire persone di colore, rom o altri “non consoni”… sui treni, ricominciamo la storia dai tempi delle leggi razziali quando sui treni i “non consoni” venivano fatti salire di forza.
Probabilmente la sbandierante signora stava vivendo una giornata difficile, probabilmente si è distratta. Voglio pensarla così.
Eppure non mi piace l’aria che tira. La guerra dei poveri che sta facendo capolino. Non mi piacciono i propositi quale “son sempre gli stessi”… Non mi piacciono i propositi come “L’Italia è schiava di banchieri ebrei” , proposito tenuto da tal Zunino che mi era sconosciuto e spero torni nell’ombra più assoluta.
La crisi c’è. C’è in Italia, in Grecia, in Spagna, in Francia… La crisi è europea.
E’ più che mai il momento di stare calmi, pacati, posati, di non parlare a vanvera e soprattutto di non cercare capri espiatori. Siamo sull’orlo del baratro? Ecco, vediamo di avere l’intelligenza di non cascarci.
E per concludere, su quel treno non avrei dovuto salirci io, perché il mio biglietto andava solo fino a Rapallo.
Per quei tre minuti la “clandestina” ero io ma nessuno mi ha chiesto nulla!!!
* Luisa Pace, France Representative della European Journalist Network, membro del comitato dell’Association de la Presse Etrangère, giornalista free-lance, scrive per diversi quotidiani e periodici svizzeri, italiani e francesi: La Regione Ticino, Focus In, La Révue Défense.