Nella mattinata odierna i militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Roma hanno arrestato 4 imprenditori romani (padre e tre figli, rispettivamente amministratore e soci) ed un commercialista di Pescara con l’accusa di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, per avere cagionato con dolo il fallimento della società “M.” (dichiarato dal Tribunale di Roma il 15 dicembre 2010), proprietaria della nota catena di distribuzione “C. G.”, specializzata in elettronica di consumo.
L’operazione rappresenta l’epilogo di complesse indagini eseguite dal Nucleo di Polizia Tributaria della Capitale e coordinate dalla Procura della Repubblica di Roma (Procuratore Aggiunto e il Sostituto Procuratore), avviate a seguito del fallimento della M., capogruppo di un complesso di società, tutte riconducibili alla medesima famiglia di imprenditori, che da quasi trent’anni figurava tra i leader della distribuzione di elettronica di consumo, gestendo oltre 30 megastore con l’insegna “C. G.”, diffusi soprattutto nel centro Italia.
Gli accertamenti compiuti e la minuziosa ricostruzione dei fatti gestionali che hanno riguardato la società fallita hanno consentito agli investigatori delle Fiamme Gialle di Roma di disvelare un ben congegnato progetto illecito, attraverso il quale la famiglia di imprenditori, magistralmente consigliati da un noto commercialista abruzzese, ha dapprima costituito una serie di nuove società, cui sono state apportate liquidità e merci di magazzino per circa trenta milioni di euro, che sono poi state trasferite all’estero (Portogallo), incorporandole in altre società di diritto lusitano, amministrate da soggetti prestanome.
Tali abili trasformazioni societarie avevano lo scopo di creare nuovi soggetti giuridici privi di debiti che, grazie a simulati contratti di affitto d’azienda con la M., sono di fatto subentrati nella gestione dei numerosi punti vendita della catena C. G., distribuiti sul territorio nazionale.
Per effetto di tali operazioni la società capogruppo, che fino ad allora era stata a capo di un florido progetto di capillare distribuzione commerciale, è stata spoliata di tutte le merci in magazzino e si è ritrovata “piena” di passività, che hanno finito per condurla all’inevitabile fallimento.
Gli indagati, inoltre, nel tentativo di sottrarsi alle conseguenze del fallimento della holding di famiglia, hanno anche presentato al Tribunale di Roma una domanda di concordato preventivo con proposta di liquidazione dei creditori, mediante ricorso ad un residuo attivo del tutto inesistente, risultato, all’esito degli approfondimenti delle Fiamme Gialle, essere costituito da liquidità indisponibili, crediti inesigibili, valore di magazzino gonfiato e beni immobili non di proprietà. Ad esempio, hanno indicato una inesistente massa di beni materiali per quasi 1,5 milioni di euro che avrebbero dovuto trovarsi in un magazzino di Città Ducale (RI), risultato in realtà essere un deposito di materiale di risulta o da discarica.
Tra la molteplicità delle condotte distrattive accertate dagli investigatori, è stata individuata persino una fittizia compravendita di un complesso immobiliare costituito da una villa di tredici vani catastali, con annesso terreno di oltre due ettari in località Formello (RM), già di proprietà della fallita e del valore di due milioni di euro (prezzo mai corrisposto), in favore della moglie di uno degli arrestati, avvenuta dopo una quanto meno “sospetta” separazione legale dei coniugi, atteso che gli stessi sono risultati vivere insieme nella medesima villa, sottratta alla garanzia dei creditori.
L’attività d’indagine e di ricostruzione delle vicende societarie è stata resa oltremodo difficile dall’assenza di libri e di scritture e documenti contabili, sottratti alla procedura fallimentare e solo in parte rinvenuti dagli investigatori nel corso delle indagini. Il deficit patrimoniale fin qui accertato è pari a circa 70 milioni di euro, di cui oltre 24 milioni nei confronti dell’Erario e circa 2,5 milioni di spettanza dei dipendenti (stipendi ed altri emolumenti).
Gli arrestati, per i quali il G.I.P. del Tribunale di Roma ha disposto la custodia agli arresti domiciliari, unitamente ad altri 3 indagati, dovranno ora rispondere innanzi all’Autorità Giudiziaria dei gravi reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale.