Il 19 luglioEzio Mauro pubblica sul quotidiano ”La Repubblica” un articolo sulla vicenda dei due Marò titolato “L’Italia cede alla condanna pur di farli tornare presto a casa”
Con assoluta modestia mi permetto di non concordare sul titolo che forse sarebbe stato più appropriato se espresso, ad esempio, con parole, “L’Italia non è in grado di pretendere che i due Marò siano giudicati in Patria e preferisce cedere al ricatto indiano”.
Uno scritto che ci informa fra l’altro “La Bonino spera per Natale. L’India : stiamo superando gli ostacoli”. Immediata la domanda su quale certezza il Ministro Bonino fonda la sua speranza che Massimiliano e Salvatore ritorneranno a Natale. Se il Suo convincimento deriva da promesse indiane sarei molto cauto nell’accettarne i contenuti.
Sarei, invece, molto confuso se il pensiero del Ministro fosse indotto dalla sicurezza derivata dalle famose “regole di ingaggio” concordate con l’India come ci ha informato alcune settimane orsono i Vice Ministro Pistilli e si dia per scontato che rientrino con i “ceppi ai polsi” dopo una condanna.
Uno smarrimento che mi spinge a proporre, seppure come soluzione limite, che forse è arrivato il momento che nel quadro del processo italiano di ”Spending Review”, sia ridotto al minimo il Ministero degli Affari Esteri in considerazione dell’efficacia diplomatica delle sue azioni a fronte di consistenti spese gestionali e funzionali.. Magari, limitarne le funzioni alla sola gestione amministrativa dei visti turistici o d’affari.
Un’amara considerazione che deriva dalla constatazione che coloro a cui è affidata l’affermazione della sovranità nazionale all’estero, molla essenziale per amplificare le potenzialità e l’affidabilità nazionale in termini politici ed economici, da tempo dimostrano di prediligere soluzioni di compromesso piuttosto che di fermezza.
Nel caso dei due Marò abbiamo accettato l’altalena decisionale e dilazionatoria imposta dall’India, rinunciato ai nostri diritti previsti in ambito Internazionale, non in ultimo astenendoci di affidare il giudizio a parti terze attraverso un arbitrato internazionale. Si è preferito, invece, accettare che a due militari italiani non fosse riconosciuta l’immunità funzionale lasciandoli in ostaggio da più di 500 giorno ad uno Stato terzo. Scegliere la strada “del minore dei mali” non è vincente nella maggior parte delle controversie internazionali prediligendo un approccio pragmatico e semplicistico che può essere accettabile nella gestione politica di piccoli fatti interni, ma sicuramente non condivisibile quando la controversia coinvolge in bilaterale due Stati sovrani.
Nei rapporti del Karzakistan, come emerge giorno dopo giorno ed anche confermato dalle parole del Presidente della Repubblica, abbiamo quasi obbedito alle richieste di un diplomatico straniero accreditato a Roma senza essere nemmeno preparati a farlo, se è vero che nessuno degli apparati dello Stato a cui è affidata la sicurezza nazionale fosse a conoscenza che un “esule” ricercato dall’Interpol vivesse a Roma. In questo caso, nessuna responsabilità della Farnesina, ma perplessità che dopo quasi un mese il MAE non abbia espresso il “non gradimento” per l’Ambasciatore kazako ed avviato le pratiche di rimpatrio, dandone notizia alla Nazione..
Infine, un agente della CIA catturato a Panama in seguito ad un mandato internazionale emesso dall’Italia, dopo appena 24 ore viene rilasciato e riconsegnato al proprio Stato che rivendica giustamente per il suo cittadino “l’immunità funzionale all’epoca dei fatti”.
Forse, anche in questo caso è mancata un’auspicabile azione diplomatica a Panama ed a Washington coordinata da Roma, per ottenere almeno una formale sessione giudiziaria in cui Italia ed USA potessero esplicitare le reciproche motivazioni..
Un pensiero, questo mio, non di critica, non provocatorio, solo l’espressione di massima delusione nei confronti di uno Stato in cui ho sempre creduto, servendolo per 40 anni in Patria ed all’Estero, penso con onore e dedizione.
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