La criminalità nel mondo contemporaneo cambia in modo impetuoso. È andata spostandosi sempre più verso il centro del sistema, in molti casi fino a conquistarlo. Corrode le democrazie dall’interno, decisa a rimuovere ogni ostacolo sul proprio cammino. Si è incardinata strutturalmente nel mondo finanziario e penetra in profondità la vita sociale, avvalendosi di mezzi potenti, protetta da una spessa cortina di discrezioni e rumori. Tutto questo disorienta, rende difficoltosa l’attività di contrasto, istiga al disinteresse, alla coabitazione e al compromesso. Un compito fondamentale che spetta agli operatori della legalità e alle espressioni della democrazia è allora quello di contrastare le logiche del rifiuto, del non vedere, portandosi oltre l’ovvietà e i modelli sconfessati dai fatti, alla ricerca di chiavi di lettura adeguate ai fenomeni reali e alle emergenze dei tempi.
È questo lo sfondo da cui muove il libro, appena uscito, I nuovi orizzonti del crimine organizzato, che inaugura la collana «Questioni attuali» delle Edizioni di storia e studi sociali (di cui è direttore il saggista Carlo Ruta). Gli autori sono il criminologo Jean-François Gayraud e lo storico Jacques de Saint Victor, tra i maggiori esperti europei dei fenomeni criminali, da anni legati da un importante impegno di studio sulle evoluzioni delle mafie e sulle condotte predatorie del capitalismo neoliberista.
I casi esaminati sono di vario livello: l’evoluzione della zona grigia nel Mezzogiorno d’Italia; il ruolo del crimine in colletto bianco nella crisi statunitense dei mutui subprime, da cui ha preso le mosse, nel 2008, una delle più grandi crisi della storia contemporanea; le sismicità mafiose del Mediterraneo; le porosità dei paesi dell’UE al crimine organizzato e in colletto bianco; l’opacità del trading algoritmico ad alta frequenza, che, come spiega Gayraud, rischia di portare il crimine finanziario alla soglia del «delitto perfetto»; infine, la nuova geografia dei paradisi fiscali, all’insegna della flessibilità.
Gayraud e de Saint Victor passano al vaglio gli effetti perversi della deregulation, senza trascurare appunto il ruolo della finanza criminale nella crisi che da anni devasta i paesi. Mettono quindi in discussione alcuni paradigmi della criminologia del secolo scorso, rilevando che il crimine organizzato e il crimine in colletto bianco non si presentano necessariamente come sfere autonome, più o meno dialoganti, ma formano a determinati livelli un’unica realtà, che nell’attuale mondo globalizzato non manca di effetti sistemici. Da questa particolare prospettiva, essi si trovano a spiegare in definitiva un contesto criminale distinto, elitario e fortemente strutturato pure in senso organizzativo, che non sembra abbia ricevuto fino ad oggi una chiara e sufficiente attenzione in sede criminologica. È quel che i due studiosi chiamano «crimine organizzato in colletto bianco».