Tornano a spirare venti di tempesta e riaffiorano faide interne in seno al PdL che se da un lato deve mostrarsi responsabile, poiché partito di governo (responsabilità e toni pacificatori utilizzati almeno pubblicamente e di frequente da Silvio Berlusconi), dall’altro, i falchi del partito, tra cui Brunetta e Santanché, affilano gli artigli lanciando bordate contro l’operato di quello stesso governo di cui fanno parte. Dalle pagine del Financial Times, Renato Brunetta, chiamato a rispondere sui derivati, ha spiegato che lo stato delle finanze italiane è un segreto proprio come la formula della Coca-Cola, con totale opacità del ministero dell’economia. Parole che non aiutano il Paese ad uscire dalla crisi, ma soprattutto non conferiscono credibilità di una lunga vita – agli occhi degli altri stati dell’unione europea – a questo governo delle larghe intese.
Intanto sembra profilarsi all’orizzonte un ritorno a Forza Italia e la possibilità che dopo Berlusconi possa essere un altro Berlusconi a scendere in politica, Marina Berlusconi, anche se il Cavaliere non sembra intenzionato a cedere subito la mano alla figlia.
“Il PdL resterà come coalizione dei partiti di centrodestra: Forza Italia ne farà parte e temo che sarò ancora chiamato ad essere il numero uno”, con queste parole Silvio Berlusconi rompendo tutti gli indugi rilancia la propria candidatura a premier alla testa del centrodestra alle prossime elezioni nazionali. Di contro l’ex premier dichiara lealtà al governo Letta sottolineando che “le dichiarazioni di qualche esponente del PdL vanno intese come uno stimolo a fare di più”.
Al Cavaliere Berlusconi, da statista pacificatore quale vuole dimostrare di essere, starebbe a cuore “il destino del Paese”, mentre da leader politico altrettanto interesse non ha mostrato se non per i propri interessi economici e per il proprio destino giudiziario, attualmente, messo sempre più in agitazione dalla recente condanna al processo Ruby. Prioritaria per il presidente del PdL rimane la riforma della giustizia e non perde occasione per ricordarlo al premier Letta. In un’intervista al TG1 l’ex premier ha dichiarato che “se c’è un settore da riformare in Italia è la giustizia”.
Il Cavaliere teme per le proprie vicende giudiziarie che con le prossime sentenze potrebbero definitivamente compromettere il suo percorso politico ormai ventennale. Marina Berlusconi dunque, nonostante le smentite, potrebbe fin da subito prendere il posto politico del padre nel caso in cui quest’ultimo venga messo all’angolo da eventuali condanne definitive, ineleggibilità e interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Tra gli elettori del centrodestra sono ormai in molti a chiedersi se dopo il ventennio berlusconiano sia proprio necessario che un’altro Berlusconi scenda in politica.
Perché un congiunto del Cavaliere dovrebbe occupare, di fatto per successione, un momento di crescita democratica prima che il conflitto d’interessi venga regolamentato da opportune leggi? Quali le reali motivazioni?
L’entrata di Marina in politica potrebbe rappresentare un chiaro messaggio, tutt’altro che di riappacificazione, che il Cavaliere, mediante la figlia, continuerebbe la crociata contro quella magistratura ritenuta avversa e ingiusta.
Sembra tramontare del tutto la possibilità che Alfano possa prendere il posto del Cavaliere quando quest’ultimo si ritirerà dalla politica.
Nonostante le cariche ricoperte con relativi “chiodi sulle poltrone occupate”, il fido delfino Angelino Alfano – già erede designato alla successione per il dopo Berlusconi – sembra perdere forza e consistenza dietro gli attacchi dei falchi del PdL a quel governo di cui egli è allo stesso tempo ministro e vicepremier.
Solamente nel caso in cui il governo delle grandi intese riuscisse a riportare l’Italia fuori dal guado della crisi economica, l’attuale vicepremier potrebbe rivendicare per sé la possibilità di guidare il PdL al posto di un Silvio Berlusconi messo all’angolo da ulteriori condanne. Una possibilità alquanto remota, visto che Silvio Berlusconi in qualsiasi momento tramite i parlamentari fedeli – nominati col porcellum – può far cadere questo esecutivo prima che lo stesso possa raggiungere qualcuno degli ambiziosi obiettivi che Enrico Letta ha sciorinato alla Camera nel discorso d’insediamento.
In questo clima di incertezza e disordine riaffiorano ruggini che sembravano svanite tra le pieghe delle poltrone occupate. Così Gianfranco Micciché, ripescato da Berlusconi sottosegretario alla Pubblica amministrazione, non perde tempo per attaccare il conterraneo Angelino Alfano: “per tante cose è bravo, ma fare il segretario di un partito non è mestiere suo” aggiungendo che Alfano “ha dimostrato di avere delle doti, da vicepremier farà bene. La gente pretende una classe dirigente nuova. Lui ricopre già parecchi incarichi”. Micciché, artefice del 61 a 0 siciliano con l’allora Forza Italia e attualmente leader di “Grande Sud”, dichiara che “se oggi rinascesse Forza Italia,[…] se rinascerà con lo spirito e l’entusiasmo del ’94 non avrei esitazione a dare il mio contributo. Un ritorno a Forza Italia con leader Berlusconi che (senza leggi ad personam, grazia o salvacondotto, che annullino o mitighino gli effetti delle sentenze a venire) difficilmente potrà sperare di guidare nuovamente il Paese. Peccato che a destra non si vedano leader carismatici che non siano genuflessi all’unico vero Boss.
Totò Castellana