Argomenti futili di chi divide esistenze.
Angosce esorcizzate con una parolaccia, speranze di farcela vestite bene, abiti ancora nuovi di pacca.
Ognuno degli uomini soli lascia galleggiare il proprio amore sperando sfiori l’attenzione della bella del gruppo, troppo sperare che gli arrivi al cuore.
Aveva una bellezza che fioriva inconsapevole. Un fiore parassita di sguardi altrui. Dolcissimo, si nutre per intero dell’ambiente circostante. Ognuno degli innamorati la contornava del suo sonno perso per lei. Quando i suoi spasimanti la vedevano il cuore veniva letteralmente preso a colpi di mattarello. I corteggiatori la ascoltano, i fidanzati maledicono di essere usciti con la loro appendice ufficiale.
Un saggio disse una volta che l’uomo deve guadarsi da donne belle e intelligenti. Non potrebbero reggerne il peso. O forse sì ma solo amandole e lasciandole libere. Quel gruppo dove alberga la bella ragazza è un circolo comunicativo chiuso. La sera è recintata a interventi esterni. Il cancello di comunicazione verso altre presenze è sbarrato.
Qualche tavolo più avanti c’è un omino buffo. Seduto accanto ad un omone grande. Parlano, consapevoli dell’aura di ammirazione che i presenti stanno alimentando. Tutti i presenti. Tranne lei.
Forse non si accorge, forse non vuole accorgersi, lei parte dal presupposto che la fama è come tanti altri tratti della personalità, ma bisogna essere persone vere per fregiarsene e rimanere umili.
L’omino piccolo si alza.
Il complesso di Mosè prende i presenti. Tutti si separano e dividono per farlo passare.
Arriva davanti a lei, lei lo fa entrare nella sua bolla.
Lui trasuda genio, trasuda vita, trasuda.
– ho un problema. – Le dice.
Inizia a suonare una chitarra, ne esce una canzone dolcissima, una delle più belle canzoni di sempre, i presenti non percepiscono quanto ma come arriva, netta, diretta, le donne si amano e si lasciano libere, come le farfalle.
Un amore di bellezza stordente che deve essere lasciato volare via, l’amore più difficile. Amare lasciando andare, amare lasciando che l’appartenenza sia una scelta e non un obbligo. Senza recriminare minacciare o attuare annullamenti.
Lui finisce.
Attorno il silenzio è da cattedrale gotica.
Posa la chitarra, si gratta la testa. Prende ogni domanda per restituire una sola risposta. A una domanda non ancora fatta dalla ragazza.
– il mio problema è aver scritto questa canzone prima di conoscerti, questo mi spiace, l’avrei voluta scrivere per te, però qualcosa faccio, adesso è tua-
L’omino si alza e torna dall’omone.
Il silenzio da acquario viene frantumato da una voce, poi un’altra, poi il brusio. E l’acquario ridiventa come il mare di ferragosto.
Rimane da consegnare qualche riferimento per completare la storia.
Il locale si trovava a Bologna
La ragazza aveva tanti tanti capelli e ne ha ancora adesso che lavora lontano dall’Italia ma torna sempre e torna sempre ragazza anche ora che è donna fatta e finita.
A rigor di cronaca il cantautore si chiamava Lucio. Lucio Dalla.
A rigor di cronaca l’omone seduto con lui si chiama Francesco Guccini.
A rigor di cronaca ma mettendoci anche tantissima scossa emozionale, la canzone era intitolata “cara”, ancora adesso una delle più belle canzoni d’amore di sempre.
Cosa ho davanti, non riesco più a parlare
dimmi cosa ti piace, non riesco a capire, dove vorresti andare
vuoi andare a dormire.
Quanti capelli che hai, non si riesce a contare
sposta la bottiglia e lasciami guardare
se di tanti capelli, ci si può fidare.
Conosco un posto nel mio cuore
dove tira sempre il vento
per i tuoi pochi anni e per i miei che sono cento
non c’è niente da capire, basta sedersi ed ascoltare.
Perché ho scritto una canzone per ogni pentimento
e debbo stare attento a non cadere nel vino
o finir dentro ai tuoi occhi, se mi vieni più vicino………
La notte ha il suo profumo e puoi cascarci dentro
che non ti vede nessuno
ma per uno come me, poveretto, che voleva prenderti per mano
e cascare dentro un letto…..
che pena…che nostalgia
non guardarti negli occhi e dirti un’altra bugia
A..Almeno non ti avessi incontrato
io che qui sto morendo e tu che mangi il gelato.
Tu corri dietro al vento e sembri una farfalla
e con quanto sentimento ti blocchi e guardi la mia spalla
se hai paura a andar lontano, puoi volarmi nella mano
ma so già cosa pensi, tu vorresti partire
come se andare lontano fosse uguale a morire
e non c’e’ niente di strano ma non posso venire
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Così come una farfalla ti sei alzata per scappare
ma ricorda che a quel muro ti avrei potuta inchiodare
se non fossi uscito fuori per provare anch’io a volare
e la notte cominciava a gelare la mia pelle
una notte madre che cercava di contare le sue stelle
io li sotto ero uno sputo e ho detto “OLE'” sono perduto.
La notte sta morendo
ed e’ cretino cercare di fermare le lacrime ridendo
ma per uno come me l’ ho gia detto
che voleva prenderti per mano e volare sopra un tetto.
Lontano si ferma un treno
ma che bella mattina, il cielo e’ sereno
Buonanotte, anima mia
adesso spengo la luce e così sia.
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