L’Arcivescovo Montenegro incontra i familiari delle vittime di mafia

Agrigento – Si è tenuto ieri pomeriggio l’incontro tra i familiari delle vittime di mafia e l’Arcivescovo di Agrigento, Monsignor Montenegro, o, meglio ancora, Don Franco, come lo stesso preferisce essere chiamato.

Presenti all’incontro con Don Franco: i familiari del dottor Giulio Castellino, ucciso a Palma di Montechiaro nel 1997; i familiari dell’imprenditore agrigentino Paolo Borsellino, ucciso nel 1992; la sorella di Filippo Gebbia, ucciso nel corso della strage di Porto Empedocle del 1986; i familiari di Antonio Morreale, morto anch’egli in quella strage dell’86; Nico Miraglia, figlio del sindacalista Accursio, ucciso a Sciacca nel ‘47; i familiari di Antonio Valenti, ucciso a Porto Empedocle nella strage del 1982; Giuseppe Ciminnisi, figlio di Michele, morto nel 1981 nella strage di San Giovanni Gemini.

Un incontro voluto dall’Arcivescovo, per meglio conoscere le vicende umane e le difficoltà nelle quali quotidianamente si imbattono i familiari di vittime innocenti della mafia. A partire da una legge assurda che nel fare un distinguo tra “vittime di mafia” e “vittime del terrorismo mafioso” finisce con il penalizzare ulteriormente i familiari di talune vittime, per finire con la distanza tra le Istituzioni e i cittadini – questa volta vittime dello Stato – e i troppi silenzi di una certa classe giornalistica che dedica articoli e libri a spietati killer che hanno seminato sangue e terrore, anziché dare voce a quanti quel sangue e quelle carni innocenti se le son viste massacrare.

Curioso a tal proposito l’aneddoto narrato da Don Franco, che, riferendosi al suo arrivo ad Agrigento, racconta ai presenti di come la città e il suo circondario vennero presentati quasi come un’oasi di pace e serenità dove la mafia era solo una leggenda del passato. Una realtà ben diversa da quella che lo stesso monsignore ha imparato nel tempo a conoscere.

Quello di ieri, è stato un incontro importante, non solo per il fatto che è stato il primo incontro tra Don Franco e i familiari delle vittime, ma anche perché, a nostra memoria, si tratta dell’unico incontro avvenuto tra i vertici della Chiesa agrigentina e quanti dalla mafia si son visti portar via gli affetti più cari.

Monsignor Montenegro di recente,  nel quasi assoluto silenzio nazionale, ha ribadito quella che fu la posizione espressa da Giovanni Paolo II, quando da Agrigento, il 9 maggio 1993, pronunciò il suo anatema contro i mafiosi, invitandoli alla conversione. I recenti dinieghi dell’Arcivescovo alla celebrazione dei funerali di noti mafiosi, hanno creato dissapori anche tra alcuni buonisti-perbenisti che – anziché sostenere l’azione di chi in una terra dove i capimafia vengono riveriti e osannati, ne impedisce funerali con tanto di applausi alla presenza dei notabili del paese  – hanno criticato la decisione di dire coraggiosamente un “no” forte alla cultura dell’illegalità, della violenza, della morte.

Non di venir meno alla carità o al perdono cristiano si tratta, visto che sono state comunque garantite la benedizione e le preghiere di rito, ma di un gesto che potremmo definire illuminato nel tentativo di scuotere i siciliani dall’apatia e dal fatalismo,  affinchè reagiscano alla violenza barbara, alla cultura della morte, rendendosi protagonisti del risanamento dell’isola dalla piaga della mafia.

Don Franco ha ascoltato pazientemente i presenti. Attento, a volte intristito e pensieroso dinanzi al racconto di coloro che hanno subito un’ingiusta violenza. “Feriti di mafia” ha definito i parenti di quelle tante, troppe, vittime di mafia che son morte. Vittime di mafia dunque anche i familiari. Ma, purtroppo, non solo della mafia.

Un primo incontro, al quale certamente ne seguiranno altri, nel corso del quale è emerso lo spessore umano di un uomo che potrebbe fare la differenza tra un passato a volte adombrato da rumorosi silenzi, e un futuro che veda  la Chiesa agrigentina a fianco dei parenti delle vittime di quella metastasi sociale che si chiama mafia.

Gian J. Morici

 

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