Il ritardo straordinario con il quale mi accingo a scrivere la mia seconda rubrica è dovuto alla quantità di materiale emerso in questi giorni: dalla Fondazione Teatro Pirandello, con annessa scissione nel Patto per il Territorio, passando dall’aumento di tutte le imposte comunali, proseguendo con gli scandali nazionali e, in ultimo, dal blitz “South park”. Troppa carne al fuoco per riuscire a scegliere su cosa puntare l’attenzione, almeno se si intende analizzare direttamente il fatto di cronaca in sé. A ben guardare però vi è un “fil rouge” che unisce tutte queste storie, ed è oggettivamente una posizione che nessuno ha ritenuto di affrontare: dove era la stampa in tutto questo? Lo sperpero di denaro alla Regione Lazio, così come gli atti della Fondazione “Pirandello” – nulla di illecito, al momento- sono emersi solo per beghe di natura politica, o per usare il termine di Renata Polverini, “faide”. Nel Lazio come ad Agrigento la quasi totale maggioranza dei giornalisti non aveva messo “becco” all’interno della gestione di denaro pubblico. Nessuno di noi, operatori della comunicazione, si era posto il problema di farsi dare gli atti – peraltro non pubblicati su internet per quanto riguarda la fondazione – per dare un’occhiata a quanto accadeva dietro mura che dovrebbero essere di “cristallo” ma che spesso sono di cemento armato – a volte depotenziato-. Si, è vero: la colpa è in larghissima parte di chi ci amministra – e amminestra -, che non è stato capace di vigilare, o che ha speso il denaro pubblico per fini personali. Ma forse sarebbe il caso di una generale ammissione di responsabilità da parte di chi è troppo impegnato a rendere edotta la popolazione sull’ultimo comunicato stampa preconfezionato di Tizio o di Caio per occuparsi di cercare le notizie.
Certo, di giustificazioni ce ne sono a bizzeffe. Nel silenzio più assoluto ci sono giornalisti che attendono anche un anno e mezzo – farfalle e farfalline insegnano in tal senso-, e attualmente l’universo della comunicazione non offre incentivi economici tali da spingerci a “sudare” un po’ di più. Però, davvero, potremmo per una volta rimettere l’arroganza innata di chi fa questo lavoro e chiedere scusa ai lettori, che fino a prova contraria sono gli unici a cui dobbiamo rendere conto.
Gioacchino Schicchi