Una notte di lavoro trascorsa a effettuare perquisizioni a casa di pregiudicati aveva stremato l’Ispettore Di Falco. Non gli bastarono i caffè, le quattro risate che gli aveva procurato Ombra con i soliti sfottò ai malavitosi perquisiti, neanche l’adrenalina procuratagli dall’inseguimento per strada di Ignazio Montalbano. Il pregiudicato, avendo la patente ritirata, per inseguirlo, gli aveva fatto percorrere la tangenziale a 220 chilometri orari. L’unico che se l’era goduta, con grande soddisfazione, era Ombra, che al volante, dopo aver superato l’auto del fuggitivo e acciuffato, era contento manco avesse conquistato la pole position.
Alle 6,00, appena prima dell’alba, Di Falco si trovò nel suo ufficio, seduto sulla sua poltrona e alla scrivania la tastiera il monitor e gli appunti che aveva manoscritto su un foglio bianco, con poca voglia di verbalizzare e con un sonno incalzante.
Mentre raccoglieva le idee su cosa doveva scrivere e da cosa cominciare, gli cadde l’occhio sul fascicolo di Vella Carmelo. Si trattava di un caso di abuso edilizio, reato che aveva trattato, come di routine, la squadra antiabusivismo del locale comando di polizia municipale, ma che era finito sul suo tavolo. La presenza di quel fascicolo era determinata da un serio problema di ordine pubblico. Infatti, era diventata esecutiva la sentenza, firmata di suo pugno dal sostituto procuratore dr. Bressan, che disponeva non solo la condanna a mesi sei di arresto per il Vella, ma anche la pena accessoria dell’abbattimento dell’immobile e il ripristino dello stato dei luoghi. A questo provvedimento si sapeva che si sarebbe opposto fisicamente non solo il Vella, ma anche tutti gli abitanti del quartiere dove sorgeva l’immobile, i quali erano quasi tutti abusivi ed in attesa di ricevere lo stesso trattamento dalla Procura della Repubblica.
Quello dell’abusivismo era un problema serio, una piaga sociale che vedeva i seguenti soggetti: i cittadini che possedevano dei pezzi di terra per lo più ereditati, le amministrazioni comunali che si erano succedute per decenni che non avevano fissato un nuovo piano regolatore nel quale si sarebbero chiarite legalmente e definitivamente la destinazione d’uso del territorio comunale e la procura della Repubblica che, sistematicamente applicando la legge, faceva condannare i cittadini che realizzavano gli abusi edilizi. Ad aggravare ed incancrenire la situazione vi erano stati diversi scellerati condoni edilizi, effettuati da governi affamati di riscuotere versamenti, per sanare a volte degli obbrobri di sette piani in evidente contrasto con tutte le più elementari regole urbanistiche. I risultati dell’abusivismo selvaggio in quei quartieri erano: la creazione di strade dalle carreggiate talmente strette che non consentivano a due vetture di transitare contemporaneamente, una edificazione di stabili, villette, palazzine, che non avendo una pianificazione non prevedevano parcheggi, parchi, spazi di uso comune. Questa era la problematica dell’abusivismo, che a volte diventava di necessità, poiché non vi era stata da parte della politica la volontà di fornirsi di piano regolatore. Nel frattempo, la città si espandeva in preda a una vera e propria follia urbanistica.
Di Falco mentre faceva queste riflessioni si distese sulla poltrona, giusto per rilassarsi un attimino, quando improvvisamente entrò il collega che mai avrebbe voluto vedere, ovvero il suo collega Tarallo. Famoso portatore di iella, foriero di notizie criminis tra le più disparate e complicate. Anche in questo caso la suo nomea non fu smentita e infatti, entrando allarmato con affanno, comunicò: “Ci sono i militari con le ruspe per abbattere la casa di Vella e una folla che manifesta contro di loro, ci sono pure i portatori di San Calogero.”
“Ma che è sta storia? – replicò piccato Di Falco – non è mio compito gestire questa situazione, vallo a dire al Commissario Capo Capuozza che è lui il responsabile dell’ordine pubblico e poi che ci fanno i portatori di San Calogero?”
“Mi dispiace ma Capuozza è in ferie e tu sei il più alto in grado in commissariato, dei portatori non ho idea che ci facciano lì” ribatté con un sottile filo di soddisfazione Tarallo.
“Minchia! Giusto in mezzo a ‘sto casino Capuozza doveva prendere le ferie” si lagnò Di Falco, poi rivolgendosi al collega iettatore lo rimproverò “Sia mai che portassi una notizia buona tu, che ne so un rinnovo di contratto, arretrati, premi produzione, sempre problemi porti.”
Dopo le frasi di rimprovero, chiamò Ombra e Romano e scese assieme a loro nel garage del commissariato, dove salirono a bordo della vettura, per recarsi alla costruzione abusiva di Vella.
Mentre si avvicinava al fabbricato abusivo, posto in cima ad una collina, Di Falco intravedeva qualcosa di anomalo sopra la villa del Vella. Più si avvicinava e meglio distingueva quella che a prima vista sembrava una colonna. Giunti ai piedi della collina, al poliziotto non sembrò vero quello che i suoi occhi vedevano. Una statua di sette metri in calcestruzzo era stata ancorata ad un pilastro dell’edificio abusivo che doveva essere abbattuto.
“Brutto figlio di puttana – esclamò Di Falco – Vella ce l’ha combinata, ha messo la statua di San Calogero sopra la sua casa, quindi se abbattiamo il fabbricato siamo costretti ad abbattere pure la statua. Questo è
giocare sporco. Ora capisco perché Tarallo ha detto che c’erano i portatori del Santo e sono sicuro che ci sarà il parroco di Santa Ninfa a fare bordello, considerato che anche la sua chiesa è abusiva.”
Percorsi i tornanti che conducevano alla villa oggetto del provvedimento della magistratura, Di Falco si rese conto dello schieramento delle forze in campo. Alla sinistra della villa, che sicuramente non era una struttura realizzata per necessità, in quanto grande e molto lussuosa, erano schierati i mezzi dell’esercito con dei soldati in mimetica, posizionati attorno ad una ruspa ed un escavatore che aveva montato un martello pneumatico. Alla destra, c’erano i manifestanti, circa un centinaio di persone, che dalla espressione dei visi erano molto incazzati ed urlavano epiteti contro i poliziotti e i carabinieri che si trovavano al centro dello schieramento, i quali indossavano un equipaggiamento antisommossa e si sforzavano di contenere la folla.
“Minchia! Che bella situazione di merda” disse Di Falco ai fidi Ombra e Romano.
Ombra, da buon uomo d’azione espresse subito il suo piano d’attacco: “Dammi due squadre della celere e questi quattro coglioni te li mando tutti in ospedale con fratture scomposte multiple al cranio.”
Di Falco sapeva, per esperienza, che la soluzione violenta doveva essere l’estrema ratio e prima come al solito si doveva cercare una mediazione.
Come voleva la prassi, in questi casi era necessario contattare i leaders per trovare una mediazione. Guardò tra la folla e notò che uno dei caporioni era proprio il Vella, il proprietario della villa da demolire.
Chiamò Romano e dispose “vedi quello col megafono è Vella, devi trovare il modo di contattarlo e di portarmelo dietro i mezzi dell’esercito, dobbiamo iniziare una trattativa con questo abusivo, se ti può aiutare è difeso dall’ufficio legale associato Pennino & Bianchi.
Romano comprese che la missione non era facile, fece un gesto con la testa per indicare a Ombra che aveva bisogno di lui ed assieme si infiltrarono tra la folla. Vella era in prima fila e incitava gli abusivi contro i poliziotti e contro i magistrati che avevano disposto l’abbattimento della sua villa. I due poliziotti, con molta difficoltà, si fecero strada tra i contestatori e raggiunsero il Vella. Romano si avvicinò al leader della contestazione e gli disse ad un orecchio che lo mandava l’avvocato Pennino e aveva importanti comunicazioni in merito a un ricorso presentato contro il provvedimento di demolizione. Al Vella non sembrò vero che ci poteva essere una deroga al provvedimento e lasciò la prima linea e seguì i due poliziotti che si erano finti emissari dello studio legale. Lo condussero in un posto abbastanza lontano dalla folla, dietro un camion dell’esercito, con la scusa di non poter parlare a causa della baraonda.
Quando Ombra lo ebbe in pugno gli disse: “Grande uomo ora che sei faccia a faccia con un poliziotto prova a ripetere sbirri di merda.”
Vella capì immediatamente di essere finito in trappola e la stazza fisica di Ombra e i suoi bicipiti gonfi ben scolpiti su un maglioncino aderente lo rabbonirono notevolmente.
“In realtà, io l’avevo con i poliziotti in divisa, con voi in borghese non ce l’ho” si giustificò malamente Vella.
“Ma che minchia dici, cosa inutile? Non ti metto le mani addosso e non ti spacco quella faccia di cazzo che ti ritrovi solo perché ti serve la bocca per parlare con l’Ispettore Di Falco, andiamo minchione” replicò a modo suo Ombra.
Giunti nei pressi di una tenda, montata dai militari, Vella Carmelo fu fatto entrare all’interno dove lo aspettava Di Falco, che si fece trovare col viso severo e le braccia conserte.
“Eccoti il capo branco che senza branco è diventato solo capo di cazzo.” fece le presentazioni Ombra.
Vella con lo sguardo basso esordì: “Io devo farle le mie scuse per gli insulti di prima ma sa mi vogliono abbattere la casa.”
Tu hai uno splendido appartamento in città e noi lo sappiamo, perché siamo venuti a farti la notifica a casa, quindi giusto tu non mi puoi raccontare la stronzata dell’abusivismo per necessità. Eri consapevole quando hai costruito che eri fuori legge e ti sei fatto una villa coi contro coglioni e con la piscina. Ma la merdata più grossa che hai fatto è quella di murare la statua di San Calogero a difesa della tua villa. Questo non te lo perdono, non si sfrutta il credo di un santo miracoloso che si è prodigato per i più deboli e bisognosi per salvarti la villa super lusso. Questa è stata una mossa scorretta anche perché hai scatenato una situazione che può creare tafferugli, quindi feriti, sia da parte dei poliziotti che da parte dei manifestanti e non è raro che in queste circostanze ci possa anche scappare il morto. Sei un irresponsabile pezzo di merda e per questo sarai denunciato e spero che ti possa fare qualche mese di galera in modo tale da renderti conto della porcata che hai combinato. Ora che hai creato questo casino, come credi di risolvere la questione?
“Io veramente non credevo che finisse così, mi dispiace, adesso cerco di convincere gli altri ad andare via, ma ho paura che non mi ascoltino, sono inviperiti perché hanno paura che anche le loro case verranno abbattute.”
Ombra lo prese per il bavero della giacca e gli urlò “Vattene a fare in culo e se ti vedo riprendere di nuovo quel megafono e urlare stronzate, giuro che vengo di notte a casa e te lo ficco nel culo, così quando fai una scorreggia ti sentiranno per tutto l’isolato.”
Una volta uscito dalla tenda, del Vella si persero le tracce. I contestatori ad ogni modo non avevano terminato la loro protesta, ed anche se era pacifica, non permetteva ai militari di demolire il fabbricato abusivo, considerato che gli abusivi si erano posti come scudi umani a difesa della villa e a difesa della statua i portatori e devoti a San Calogero. Tra questi c’era anche Padre Panepinto che era parroco della parrocchia di Santa Ninfa.
Il sacerdote era messo in disparte e per Di Falco fu facile avvicinarlo.
“Bella situazione, vero Padre Panepinto?” disse l’ispettore di polizia.
“Una brutta situazione ma non voluta certo da noi ma da una legge assurda che non comprende le reali esigenze della popolazione” replicò il prete che aveva una barba incolta e capelli lunghi che lo facevano assomigliare più a Che Guevara che a Padre Pio.
“Padre Panepinto, secondo me quella colata di calcestruzzo, sopra il pilastro non può considerarsi una statua di San Calogero. Non è stata benedetta, gli manca l’aureola, si tratta solo di cemento, inerti e sabbia, direi che più che altro è una colonna che somiglia ad una statua.” disse Di Falco provocatoriamente.
Il prete prese tempo e poi rispose “sa ognuno può vedere ciò che vuole e credere in ciò che vuole, per me e per i portatori quella che lei chiama una colonna di calcestruzzo è una statua di San Calogero e penso che la difenderemo con i denti, nonostante lei dia l’ordine di abbatterla.
La folla continuava a urlare e la situazione si faceva sempre più tesa, ad aggravarla fu l’arrivo del procuratore dr. Bressan.
Il magistrato si avvicinò a Di Falco e gli chiese: “A che punto siamo con la demolizione, la legge va rispettata ispettore Di Falco e lei ancora tentenna.”
A Di Falco, in quel momento gli sembrava di impazzire, sapeva che con una carica di alleggerimento e con lo sparo di qualche lacrimogeno avrebbe disperso i manifestanti, che fondamentalmente erano padri di famiglia che reclamavano solo di non vedere abbattute le loro case. Nel suo intimo, era consapevole che quella statua di sette metri, anche se di calcestruzzo, rappresentava San Calogero e non se la sentiva di vederla abbattuta, ancora peggio se doveva essere lui a dare l’ordine di farlo. Del resto, le statue che erano dentro le chiese, erano fatte di marmo o di legno, ma aldilà del materiale di cui erano fatte per i fedeli avevano un valore mistico divinatorio, anche se per logica erano solo oggetti materiali. Questa volta un senso di sconforto e di insicurezza lo assalì.
Di solito, nelle questioni di lavoro l’Ispettore Di Falco aveva sempre le idee chiare. Non dubitava se procedere a una perquisizione o a un arresto, se intercettare o meno il telefono di un soggetto, ma questa volta ebbe la sensazione che per lui la questione era molto più grande.
Per la prima volta desiderò che arrivasse a salvarlo o ancora meglio a prendere la decisione al posto suo il Commissario Capo Capuozza, invece era da solo con quegli enigmi amletici. Da una parte il suo ruolo di poliziotto, obbligato a rispettare la legge, dall’altra la consapevolezza di dover usare violenza contro dei soggetti male amministrati da politici solo opportunisti e poi la statua di San Calogero che non avrebbe voluto abbattere per non essere assalito da un senso sacrilego.
Stranamente mentre era in preda a questi dubbi sentì come uno strano odore di sgombro, poi percepì del limone e qualcosa di piccante che doveva essere pepe nero. Gli odori combinati, sempre più intensi, lo fecero svegliare. Si trovò davanti Ombra, che gli aveva messo sotto il naso un panino imbottito con lo sgombro sott’olio di Lampedusa.
Appena si riebbe gli urlò: “Che fai brutto testa di minchia?”
L’altro sorridendo rispose: “Capo, ti eri addormentato, ma avevi come un sogno disturbato, ti agitavi continuamente, poi ho pensato che a quest’ora potevi avere fame, sono uscito ho fatto imbottire i panini e ti ho svegliato con l’odore dello sgombro sott’olio.”
Di Falco lo guardò ed ammise: “Ho fatto un maledetto incubo, c’era una sommossa, una statua di San Calogero e una casa da abbattere.”
Ombra lo guardò con uno sguardo tenero e gli disse: “Ok, capo, non ti preoccupare il rapporto che dovevi scrivere stamattina lo ha redatto Romano e lo ha già inviato al dott. Bressan, questa mattina eri proprio stanco.”
Di Falco afferrò il suo panino e cominciò a morderlo. Fece ordine nel suo cervello e comprese che quello che aveva fatto era il classico incubo professionale, che fanno quasi tutti i poliziotti quando hanno dei periodi di insicurezza e poi si ricordò che il giorno prima aveva letto le novelle di Pirandello e quella dove lui lavorava era la terra del Kaos.