Sicilia – Agrigento – Volevamo dar voce a chi spesso voce non ha, per poter fare conoscere a quanti hanno avuto la fortuna di non averlo mai visto, il volto di quella cancrena della società che conosciamo con il nome di mafia.
A questo proposito, abbiamo creato un’apposita rubrica (leggi qui) nella quale narrare le storie umane di chi ha vissuto eventi drammatici che hanno sconvolto la loro vita. Una rubrica che a breve andremo ad arricchire con nuove storie e nuove interviste.
Quello che non potevamo certo immaginare, era di dover prendere posizioni in difesa di vittime o familiari di vittime di mafia non già contro l’organizzazione criminale, bensì contro un sistema burocratico che penalizza e umilia chi ha già pagato un prezzo troppo elevato, rendendolo vittima due volte. Una volta della mafia, la seconda delle Istituzioni.
Un caso ormai noto a tutti, conosciuto anche all’estero grazie all’intervista rilasciata a Marie Jeanne Atanasia per la radio svedese (clicca qui), quello di Ignazio Cutrò, che nel corso di un’intervista rilasciata alla nostra testata giornalistica (clicca qui), aveva denunciato all’opinione pubblica la scandalosa vicenda di una cartella esattoriale di quasi 86 mila euro che ai sensi della vigente normativa doveva essere bloccata.
Il caso Cutrò, è purtroppo solo la punta dell’iceberg.
Una prima discriminazione delle vittime, avviene già con il riconoscimento dello status, che prevede un diverso trattamento nei diversi (ma analoghi) casi.
Esistono infatti le vittime del cosiddetto “terrorismo mafioso” e le “vittime della mafia”.
Una distinzione di non poco conto visto che diversi sono i benefici, quali l’anticipazione delle spese legali e l’aumento figurativo di 10 anni di anzianità contributiva utile ai fini del diritto e della misura della pensione per chi ha subito una riduzione permanente della capacità lavorativa di qualunque entità e grado, nonché ad eventuali familiari aventi diritto. Benefici previsti per quanti vittime di atti di terrorismo e di stragi di tale matrice, ma dai quali sono esclusi le “vittime di mafia”.
Per meglio comprenderne (o forse non comprenderne) il significato, prendiamo come esempio le vittime delle stragi organizzate da Cosa Nostra nel ’93 nel centro-nord – o come l’attentato a Maurizio Costanzo – che rientrano tra quelle indicate come “vittime del terrorismo mafioso”, mentre diverso è lo status di quanti hanno avuto la sfortuna di essere uccisi – sempre da Cosa Nostra – in una delle tante stragi avvenute in Sicilia.
Ma anche in Sicilia, vanno fatti i dovuti distinguo.
Strage di Capaci e quella di via D’Amelio, nelle quali persero la vita i giudici Falcone e Borsellino.
Se per i due giudici, caduti nell’adempimento del loro dovere, è stato riconosciuto giustamente (e ripetiamo giustamente!!!) lo status di “vittime del terrorismo mafioso”, altrettanto purtroppo non è accaduto (ingiustamente) per quanti facevano parte delle scorte, che riconosciuti come “vittime di mafia” non rientrano in quella categoria annoverata per taluni benefici di legge.
Esiste poi un’ulteriore differenza anche tra le stesse “vittime di mafia”.
Se ci vuole fortuna a nascere in un determinato luogo, non ce ne vuole meno a morire in un posto anziché in un altro. E questo, anche quando si muore uccisi dalla mafia.
Mentre trova applicazione su tutto il territorio nazionale quanto previsto dai provvedimenti normativi in materia pensionistica, riportati sul sito dell’Inps (clicca per vedere il sito ufficiale), altrettanto pare non accada ad Agrigento, dove tali norme verrebbero disattese e dove dopo anni si è ancora in attesa di un “miracolo” che metta la parola fine ad una storia ormai veramente vergognosa.
Citiamo un caso per tutti. Quello della Signora Ciminnisi Nazarena.
Ciminnisi Nazarena, vedova di Michele Ciminnisi ucciso nella strage del 29 settembre 1981, quando a San Giovanni Gemini vennero uccisi Gigino Pizzuto, capo mandamento di Castronovo di Sicilia e due persone innocenti che pagarono il fatto di essersi trovate nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Una strage che portò ad una condanna all’ergastolo per Salvatore Riina e Bernando Provenzano, emessa dal Tribunale di Agrigento (leggi l’articolo e l’intervista a Giuseppe Ciminnisi, figlio della vittima).
Nazarena Ciminnisi, nell’82 si vide liquidato il trattamento di reversibilità della pensione del marito, andando inizialmente a percepire circa 900mila lire ogni due mesi, per arrivare successivamente a circa 900€ mensili.
Impiegatasi presso il Comune, si è vista la pensione decurtata in misura tale che ad oggi percepisce circa 220€.
Tutto ciò, nonostante la legge riconosca alle vittime di mafia e ai loro familiari i seguenti benefici:
“benefici economici
•speciale elargizione, nella misura massima di euro 200.000,00;
•assegno vitalizio non reversibile esente da IRPEF;
benefici non economici
•esenzione dal pagamento del ticket per ogni tipo di prestazione sanitaria;
•collocamento obbligatorio con precedenza e preferenza a parità di titoli;
•riserva di posti per l’assunzione ad ogni livello e qualifica;
•agevolazioni in ambito pensionistico.
I trattamenti pensionistici riconosciuti nell’applicazione di tale normativa non sono imponibili ai fini Irpef per l’intera somma; tale criterio si applica anche alle pensioni di reversibilità o indirette.
Le pensioni di reversibilità o indirette sono poste in pagamento per un importo pari alla pensione diretta senza applicazione delle quote di reversibilità, in caso di decesso della vittima al momento dell’evento terroristico o dell’azione criminosa compiuta sul territorio nazionale in via ripetitiva, rivolta a soggetti indeterminati e posta in essere in luoghi pubblici o aperti al pubblico ovvero in caso di decesso della vittima portatrice di invalidità pari o superiore al 25 per cento della propria capacità lavorativa che abbia . proseguito l’attività lavorativa e abbia raggiunto l’anzianità contributiva massima riconoscibile in ciascun ordinamento.”
Né tantomeno alla Signora Ciminnisi è stata riconosciuta l’attribuzione della doppia annualità, prevista dall’art. 5 comma 4 della legge 206/2004, che, in caso di decesso delle vittime come individuate dall’articolo 5, comma 3, della legge n. 206 del 2004, riconosce ai superstiti aventi diritto alla pensione ai superstiti un trattamento di “doppia annualità” del trattamento ai superstiti.
Una vicenda, che ad oggi presso l’Inps di Agrigento pare non debba trovare soluzione e che sembra confermare come oltre ad essere vittime della mafia, si possa diventare vittime dello Stato.
E ancor più vittime, secondo dove si ha la sfortuna di abitare o di morire…
gjm
La storia di Cutrò visionata a parte al 35o GIFF attualmente in corso anche al IIC ad aprile in Svezia: attraverso il documentario “Italy: love ir or leave it” di Hofer & Ragazzi (leggete art. prossimamente su LVDT.net).