(Tratto da perlacittà.it)
Agrigento – Sono circa dodici i chilometri per poter effettuare il periplo di Punta Bianca. Dodici chilometri di sterrato circondato da una natura ancora selvaggia attorniata da palme nane e da numerose specie floreali.
Un luogo caratterizzato da ambienti rocciosi, da una macchia arbustiva con molte specie in via di estinzione, da spiagge e calette sabbiose bagnate da un mare cristallino che esalta la trasparenza dell’acqua.
Questa splendida cornice fa a pugni con i cumuli di rifiuti sparsi in ogni dove, addirittura in bella vista a offendere con uno scenario da Terzo mondo l’ambiente stupendo.
La prima sciabolata in mezzo agli occhi, il visitatore la riceve all’ingresso del sentiero che porta a Punta Bianca, dove lo attendono cassonetti dell’Ato sudici e maleodoranti, regolarmente lasciati aperti in modo da favorire gli animali randagi e il vento nello spargere i rifiuti in tutta la zona.
Il biglietto da visita, al momento, è un materasso e tanta sporcizia che anticipano altro squallore, quello che si trova prima di arrivare alla roccia calcarea bianca che da il nome a questo magico posto.
Percorriamo pochi metri, a sinistra della strada ci sono cumuli di legno, plastica, cartone. Tutto in fila come in una sorta di raccolta differenziata.
Si arriva in un piccolo vallone e a sinistra in un piazzale utilizzato dai militari come accampamento, ci sono, tra giocattoli e sedili abbandonati, rifiuti di ogni genere dalle mattonelle al cemento ai tronchi di palme, ovviamente abbandonati da qualche incivile cittadino che ha ristrutturato la casa e pulito il giardino, pensando bene di dedicare i resti a tutti quelli che sperano ancora nella vocazione turistica di Agrigento.
Continuiamo nel percorso. Al bivio che porta alla Baia del Cucco o verso Punta Bianca non mancano due servizi igienici, con una montagna di materiale di risulta.
Manca all’appello l’amianto? Eccolo a destra sulla strada.
Le vasche di eternit sono anche utilizzate come contenitori per i rifiuti. Come a dire ci sono, utilizziamole, invece, di trascinare le buste fino alla macchina per depositarle dove si può e si deve.
Lasciamo alle spalle il mare, ci addentriamo costeggiando le vecchie masserie incastonate tra le rocce, regno di rapaci e corvi che dall’alto inermi assistono allo scempio dell’uomo.
Questo è il posto ideale dove depositare le cisterne di eternit, ne troviamo quasi una dozzina, alcune integre, altre, peggio, frantumate e disseminate con la plastica lasciata da scellerati agricoltori assieme a tubi contenitori e sacchi contenenti chissà quali additivi, fertilizzanti e pesticidi.
Arrivati sugli scogli di Punta Bianca scendendo da Monte Grande, si trova la ciliegina sulla torta delle numerose bottiglie di vetro e l’immancabile frigorifero incastonato tra gli scogli rigogliosi di posidonia.
Manca qualcosa per fare assomigliare questo lembo di terra a Bellolampo? Forse i copertoni? Ci sono!