“Aragona Paese delle Zolfare” può leggere dall’apposita segnaletica posta al bivio d’ingresso al paese, chiunque si trovi a transitare per la statale 189. Lo zolfo fu alla base dell’economia locale di Aragona (Agrigento) tra la seconda metà del 1800 e lo scorcio del secolo successivo, poi la concorrenza statunitense, unitamente, alla trascuratezza del giovane Regno d’Italia di garantire alla Sicilia adeguate infrastrutture nei trasporti ed imporre la necessaria ricerca ed innovazione tecnologica, produsse una crisi irreversibile del settore che scaturì nell’inesorabile chiusura delle miniere e la fine della cosiddetta “civiltà dello zolfo”. Nel 1964 tutte le miniere, ancora operanti in Aragona furono chiuse definitivamente.
Le più importanti miniere di zolfo, dal 1940 sino alla chiusura, erano fondamentalmente quattro, la “Miniera Mintini”, “Taccia Caci”, “Pozzo Nuovo” e “Miniera Scifo”, che facevano di Aragona uno tra i principali centri di estrazione dello zolfo della provincia agrigentina. Un passato minerario importante, arricchito dal legame con la famiglia Pirandello che presso la montagna Mintini, ebbe a gestire la miniera “Taccia Caci”. Un legame, quello coi Pirandello, che se da un lato ha esaltato l’aspetto letterario delle storie legate allo zolfo, comprese le vicende familiari e la poetica del grande drammaturgo, dall’altro rischia seriamente di offuscare l’importanza storico-archeologica e il passato minerario del territorio della terra gialla di Aragona.
Industria, quella collegata all’attività estrattiva dello zolfo aragonese, a testimonianza della quale, dopo l’incuria del recente passato e la distruzione di molte vestigia industriali, rimarrebbero impolverate documentazioni d’archivio e memorie degli anziani.
Anche il “Parco Minerario delle Zolfare”, che secondo alcuni addetti ai lavori non sarebbe stato attenzionato in maniera del tutto scientifica, privilegerebbe più l’aspetto culturale-letterario riconducibile ai Pirandello che le reali valenze storico-culturali-economiche, architettoniche ed etno-antropologiche, inerenti l’archeologia industriale, la storia del territorio e le sue genti. Il parco minerario di c/da Mintini, cinge infatti grosso modo l’area che interessa la “Miniera Taccia Caci”, ossia quella gestita da Stefano Pirandello, avendo peraltro lasciato fuori dal suo circuito tutta una serie di importanti vestigia sia di archeologia industriale che legate alla storia dei luoghi e delle persone che gli stessi frequentavano. A questo proposito, potremmo citare le superstiti strutture della “Miniera Mintini” e l’abbeveratoio “Mintini”, che oggi, se restaurato e reso funzionante, potrebbe costituire per i frequentatori del luogo, tra cui i visitatori del parco minerario, un’oasi di frescura e ristoro specialmente nei mesi estivi quando, imperversa la calura africana.
Parco minerario i cui lavori di recupero e valorizzazione, di alcune delle strutture di superficie reputate più significative, sono stati resi possibili grazie ai fondi POR Sicilia 2000-2006. Tuttavia, visto lo stato d’incuria in cui versano luoghi e strutture – rendendo utopica qualsivoglia fruizione turistica – i danari già investiti rischiano di essere stati spesi invano, risultando agli occhi dei cittadini europei più uno spreco che un investimento.
La “Taccia Caci” gestita, per un decennio, da Stefano Pirandello, padre del più famoso Luigi, drammaturgo agrigentino e Premio Nobel nel 1934, fu al contempo sia fonte di grandi guadagni che d’immenso dolore per i Pirandello che dilapidarono in essa gran parte del patrimonio di famiglia. Vicissitudini e sfortune familiari che da Aragona, precisamente, dalla Taccia-Caci, sfociarono probabilmente nella follia di Antonietta Portulano, moglie di Luigi Pirandello e sua futura fonte di ispirazione riscontrabile nel focalizzare attentamente “La Follia Pirandelliana”.
Figlia di un socio di Stefano Pirandello, Antonietta Portulano sposò Luigi a Girgenti il 27 gennaio 1894; un matrimonio deciso a tavolino dalle rispettive famiglie per motivi d’interesse, come spesso accadeva in Sicilia a quei tempi. Due caratteri diversissimi e le differenze tra i due non tardarono a farsi sentire.
Antonietta, educata dalle suore, era completamente digiuna di lettere e filosofia, risultando del tutto insensibile a qualsiasi vibrazione dell’animo che, per mezzo del suo sapere, Luigi tentava di procurargli.
Resosi conto di ciò, e percependo la profonda differenza caratteriale e culturale tra Lui e la moglie, Luigi Pirandello iniziò a riversare la sua delusione nelle lettere. Alla nascita del primo figlio, Antonietta ebbe una prima crisi di nervi, fortunatamente in forma lieve. Era comunque latente in lei una fragilità psichica che aspettava solamente una causa esterna per palesarsi. Questo accadde nel 1904, quando si allagò una grande miniera di zolfo gestita da Stefano Pirandello (La Taccia-Caci in Aragona?), che comportò la perdita della stragrande maggioranza del patrimonio di famiglia. Pirandello avrebbe scritto “Il Fu Mattia Pascal” di notte vegliando la moglie che stava a letto perché priva dell’uso delle gambe” e dalle sue pagine filtrerà anche una sorta di fantasticheria dalla “presente” disgrazia. Dopo il 1904 si impadronisce di Antonietta una gelosia morbosa che turba anche il rapporto matrimoniale. Pirandello scrive di questo amore avvelenato dalla gelosia ossessiva in alcune novelle: “L’uscita del vedovo” e “Tu ridi”.
In casa Pirandello si respirava quindi l’atmosfera di un vero e proprio regno di fantasmi: quelli che Antonietta vedeva nella sua vita e nel marito, e quelli che il marito creava nella sua opera.
“Uno, nessuno, centomila”, sarebbe ispirato e idealmente dedicato da Luigi Pirandello a questa moglie che gli faceva scorgere se stesso, come un altro, tutto diverso, ma l’unico vero per lei.
Così nell’opera teatrale “Così è (se vi pare)” del 1917, venne inciso ciò che Antonietta, involontariamente e a prezzo di grossa sofferenza, ha insegnato allo scrittore: ognuno è davanti a ogni altro, un altro da ciò che si crede.
Se non proprio la miniera gestita dal padre, verosimilmente potrebbe essere stata una delle miniere aragonesi, viste o frequentate da Luigi Pirandello, ad ispirarlo per la celebre novella “Ciaula scopre la luna”. La storia di Ciaula, potendosi ambientare presso la contrada Mintini di Aragona, non dovrebbe essere molto diversa da quelle che realmente vissero molti dei “Carusi aragonesi” in quei duri decenni in cui “A Surfara” era portatrice di benessere, ma anche di grande dolore e sofferenze.
Il Parco Minerario delle Zolfare di Aragona è dunque una risorsa culturale indelebilmente legata al territorio e al passato degli aragonesi; un passato che merita di essere recuperato, divulgato e custodito. L’auspicio è quello che le migliori intelligenze del paese possano far sì che questo parco diventi realmente fruibile e produttore di conoscenza storica e sapere scientifico nel più breve tempo possibile, evitando che i soldi investiti vengano definitivamente persi a causa dell’incuria e dell’inciviltà dei vandali.
Passati oltre cento anni da quando Ciaula scopre la luna, non vorremmo che l’avesse nuovamente persa con le miniere e, con queste ultime, anche la storia del Paese delle Zolfare.
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bellissimo articolo…speriamo ke gli aragonesi ne facciano tesoro x riscattarsi da tutto questo scempio …..e di conseguenza paghi ki dell’incuria ne ha fatto un baluardo(kiunque esso sia!).