Due diverse vicende delle quali scrive la giornalista Alida Amico per il settimanale ‘Centonove’, destinate a far discutere ancora per molto tempo.
“Callari, studente “a spese nostre”
“La sfilza di reati, per i quali la magistratura di Agrigento lo sta indagando – scrive la Amico -, è uno spaccato a dir poco “pittoresco” di illegalità. Per Carmelo Callari, di professione vigile del fuoco, nonché presidente del consiglio comunale della città dei Templi – in quota Pdl fedelissimo del Ministro Angelino Alfano – i magistrati della Procura della Repubblica di Agrigento, avevano chiesto gli arresti domiciliari, contestandogli i reati di peculato, truffa, abuso d’ufficio e falso.“
La vicenda è tra quelle che nel corso di questa settimana hanno fatto parlare gli agrigentini. Quella che vede coinvolti a vario titolo l’ex presidente del consiglio comunale di Agrigento e due funzionari dello stesso Comune, per le presunte “false missioni”a Roma e Milano” del politico agrigentino.
Callari, uomo di punta del Guardasigilli Alfano, “dall’ottobre del 2007 alla primavera 2010, secondo gli investigatori della Digos, ha compiuto una miriade di missioni fasulle“.
Nell’articolo della Amico, vengono ricostruite “le missioni ”istituzionali” per finta, al Ministero della Giustizia e delle Finanze, che si protraevano più del dovuto – ovviamente a danno delle disastrate casse del Comune di Agrigento – servivano al Callari – secondo l’accusa – per permettergli qualche giorno di vacanza in piacevole compagnia. I viaggi a Roma per gli esami universitari”, la frequentazione di corsi universitari e gli esami da svolgere presso la Libera Università “San Pio V” di via Sette Chiese a Roma, dov’era iscritto insieme alla figlia ed alla collaboratrice del suo studio di consulenza , riuscendo a sostenere, in un solo giorno, il 20 febbraio 2008, ben 4 esami: “politica economica”, “scienze delle finanze”, “contabilità di Stato – finanza e contabilità pubblica”, “finanza e gestione pubblica”.
Storie di pedinamenti avvenuti anche a Roma, dove secondo gli inquirenti le missioni istituzionali si traducevano in brevi incontri occasionali con il capo della segreteria del Guardasigilli, Baldo Di Giovanni.
Le trasferte “istituzionali” a Roma, infatti coincidevano con i giorni in cui, lui, la figlia o la collaboratrice dello studio di consulenza del Callari, dovevano sostenere esami all’Università privata “San Pio V” di Roma.
Il secondo articolo, anche questo destinato a sollevare un polverone, è quello che riguarda la Villa romana del Casale in territorio di Piazza Armerina.
“Villa Romana, diktat del prefetto”
“L’accesso al cantiere – scrive Alida Amico -, che sta restaurando la Villa romana del Casale in territorio di Piazza Armerina, era stato disposto lo scorso giugno, dal Prefetto di Enna, Giuliana Perrotta. Una misura di “verifica” antimafia, che scaturiva sia da una recente direttiva del Ministero dell’Interno – che punta ad attenzionare le attività a rischio di infiltrazioni mafiose, che si annidano “a valle” dell’aggiudicazione degli appalti pubblici – ed è espressamente prevista anche nel Protocollo di legalità, sottoscritto nel 2005 tra la Regione siciliana, il Ministero dell’Interno ed i 9 Prefetti dell’isola (nell’ambito dell’accordo di programma quadro “Carlo Alberto Dalla Chiesa”). Ma soprattutto, per l’appalto in corso alla Villa romana del Casale – che sta anche realizzando la nuova copertura della struttura (realizzata alla fine del III secolo a.c.) – la verifica prefettizia, scaturiva da un ulteriore “protocollo” sottoscritto tra la Prefettura di Enna, l’Assessorato regionale ai Beni Culturali, l’Alto commissario Vittorio Sgarbi, la locale Soprintendenza, nonché la Provincia (per la costruzione del parcheggio e della zona commerciale adiacente al sito, dal ’97 patrimonio dell’Unesco).”
Un protocollo di legalità che è stato ignorato
“Il Rup, che avrebbe dovuto vigilare sul rispetto del Protocollo di legalità, nell’intera “filiera” dei subappalti e delle forniture, è l’architetto ennese Rosa Oliva, già responsabile della sezione Beni Culturali della Soprintendenza (ed oggi neo direttrice del Parco della miniera Floristella). La dottoressa Oliva, avrebbe dovuto, quale “titolare dell’ufficio di direzione dei lavori” – come si legge nella relazione sull’accesso – vigilare sull’iter e comunicare alla Stazione appaltante (cioè alla Soprintendenza e quindi all’ Assessorato ai Beni culturali), le gravi omissioni del Consorzio aggiudicatario dell’appalto principale. Il che avrebbe bloccato tutte le autorizzazioni da parte della stazione appaltante.”
L‘unico a rispondere alle domande della giornalista, Guido Meli, direttore del Parco Villa del Casale, è anche il responsabile del cantiere che si occupa del restauro della Villa del Casale: “Ci siamo accorti dell’errore…Occorreva verificare le forniture dei materiali, riguardanti il terzo livello, una cosa abbastanza complessa…”
Dall’articolo viene fuori anche la partecipazione ai lavori da parte di una ditta di Favara, la Italcoop, che fornisce prefabbricazione. La principale fornitura, è legno e ferro da parte della Italcoop, che si procura il materiale altrove, interrompendo così la filiera dei subappalti e delle forniture avvenute nel rispetto del Protocollo di legalità.
L’Assessore regionale ai Beni Culturali, Sebastiano Missineo – fortemente imbarazzato -, intanto dichiara. “Con la verifica della Prefettura, ci si è accorti che tutte le ditte erano in regola con la certificazione antimafia. Tranne una – aggiunge – che ha fornito un nolo e ormai aveva esaurito il suo compito. Si è trattato di un affitto di 12 mila euro – calcola Missineo – a fronte di un appalto complessivo del restauro di quasi 19 milioni”…
Mi vergogno a leggere quanto riferito in questo articolo.
Ma con quale faccia il Sig.Callari abita ancora ad Agrigento,roba da matti .