Una storia che potrebbe sembrare italiana, ma che ha avuto invece come teatro il Québec, una provincia del Canada.
Claude Lavallée, pioniere delle tecniche d’intercettazione in Quebec alla fine del 1960, nel suo libro “Révélations d’un espion de la SQ” (Rivelazioni di una spia SQ), ricostruisce i retroscena dell’omicidio del ministro Pierre Laporte (v. foto), avvenuto nell’ottobre del 1970, a opera del Fronte di Liberazione del Québec.
L’autore sostiene anche che le intercettazioni “catturarono” una figura di spicco della mafia che offrì un aiuto nella ricerca del ministro Laporte prima che lo stesso fosse ucciso.
Una storia molto simile alle tante storie degli anni bui italiani.
Dal bandito Giuliano alle Brigate Rosse. Dal sequestro di Aldo Moro alle stragi dei primi anni ‘90, fino ad arrivare ai giorni nostri.
Lavallée, nel libro spiega come il suo team, istituito per raccogliere informazioni sulla criminalità organizzata, inciampò sugli interessi della mafia e nel tentativo della stessa d’infiltrarsi nelle più alte sfere della leadership politica.
I ricordi nel libro di Lavallée si trasformano in veri atti d’accusa.
Per lungo tempo l’investigatore aveva ascoltato conversazioni tra Frank Cotroni, il capo del crimine organizzato di Montréal, e il suo fedele emissario Frank Dasti,.
Un uomo, il Dasti, che controllava tutti i traffici illeciti che facevano capo al suo boss.
Nel corso dell’Operazione Las Vegas, Lavallée scoprì che Dasti era in contatto con i vertici del partito di Laporte e che lo stesso Cotroni, il 17 Gennaio 1970, partecipò ad un convegno, dove discusse con la leadership del partito, quello che appariva come un tentativo di corruzione e ricerca di protezione politica.
Successivamente a Lavallée e i suoi uomini, venne vietato di intercettare le conversazioni del ministro Laporte.
Il 10 ottobre 1970. Laporte fu rapito dal FLQ. “L’evento pose fine alla nostra indagine sulla corruzione e sul legame mafia-politica – scrive Lavallée – Come ostaggio, Pierre Laporte divenne automaticamente irreprensibile “.
Una settimana dopo, il ministro venne ucciso.
A differenza che in Canada, se Lavallée avesse operato in Italia, non avrebbe mai avuto la possibilità d’intercettare un ministro, né quest’ultimo sarebbe diventato probo solo dopo essere stato vittima di un sequestro.
Gli uomini politici italiani, godono di questi privilegi prima, durante e dopo il proprio mandato e a nessuno è permesso ficcare il naso negli affari di un ministro, né tantomeno ascoltarlo mentre colloquia amorevolmente con un capomafia.
Tutto il resto della storia, dallo stop alle indagini, ai depistaggi, al sequestro e relativo intervento della mafia, fino arrivare all’omicidio, potrebbe sembrare una storia tutta italiana, se non ci fosse ancora una piccola differenza che la distingue: in tutta questa vicenda, Lavallée non ha mai menzionato servizi deviati e altri poteri occulti, che invece caratterizzano tutte le storie più sporche del nostro paese.
Eh sì, il Canada non è l’Italia…
Gian J. Morici