Il 15 febbraio 2012, la petroliera italiana Enrica Lexie viaggia al largo della costa del Kerala, India sud occidentale, in rotta verso l’Egitto. A bordo ci sono sei marò del Reggimento San Marco col compito di proteggere l’imbarcazione dagli assalti dei pirati. Nel corso di un presunto attacco pirata, due marò, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, secondo l’accusa sparano contro la St. Antony, uccidendo due membri dell’equipaggio.
Interviene via radio la guardia costiera che chiede all’Enrica Lexie di attraccare al porto di Kochi, dove i due marò, fatti scendere dalla petroliera, vengono arrestati con l’accusa di omicidio.
Da quel momento inizia una querelle sulla competenza di chi dovrà giudicare il caso. Tra i punti più importanti per stabilire le competenze, la posizione nave al momento dell’incidente che secondo le autorità italiane si sarebbe trovata a33 miglianautiche dalla costa del Kerala, ovvero in acque internazionali, mentre secondo il governo indiano l’incidente si sarebbe verificato all’interno delle acque territoriali.
Secondo quanto riportato da alcuni organi stampa, i dati recuperati dal GPS della petroliera l’Enrica Lexie dimostrerebbero che la stessa si trovava a20,5 miglianautiche dalla costa del Kerala, nella cosiddetta «zona contigua».
Per la legge italiana, in accordo con le risoluzioni dell’Onu, i due marò andrebbero giudicati in Italia, mentre la legge indiana prevede come qualsiasi crimine commesso in danno di un cittadino indiano deve essere giudicato in territorio indiano.
A livello internazionale vige la Convention for the Suppression of Unlawful Acts Against the Safety of Maritime Navigation (SUA Convention), adottata dall’International Maritime Organization (Imo), che viene interpretata in maniera diversa dagli esperti.
Una vicenda caratterizzata da parecchie ombre a partire dall’anomalo comportamento dell’India, per finire con l’assurdo silenzio della stampa, e non solo di quella italiana. Abbiamo ritenuto opportuno chiedere ad un militare esperto, che ha partecipato a parecchie missioni all’estero, il proprio punto di vista ed è per questa ragione che abbiamo consultato il Generale Fernando Termentini, che più di altri ha seguito fin dall’inizio questa storia.
– Generale Termentini, lei che della vicenda si è interessato più volte, vuol spiegare il suo punto di vista ai nostri lettori?
T: Procedo nella risposta per punti, tenendo conto dell’articolazione della sua domanda. Premetto che allo stato attuale, ed in carenza di notizie ufficiali certe, si può solo sviluppare una valutazione analitica dei fatti, peraltro sulla base di elementi forniti dall’informazione ed in nessun caso con valenza certa. Un’unica doverosa premessa da parte mia: esprimerò un libero e non vincolato pensiero come penso di aver fatto e dimostrato in questi 11 mesi .
- 1. A meno delle accuse dell’India peraltro non risulta provate da elementi oggettivi di riscontro in quanto mancano riferimenti certi come i cadaveri dei due poveri pescatori uccisi (cremati), il natante St. Anthony affondato, quali siano con certezza i proiettili estratti dai corpi dei due uccisi, i risultati della perizia balistica indiana ecc. – non risultano esistere altri elementi che portino ad affermare che i due nostri Marò abbiano sparato contro il peschereccio indiano. Peraltro, scarne immagini sui punti del peschereccio colpiti, arrivate in Italia attraverso svariati organi di stampa, inducono seri dubbi sul fatto che i fori siano stati procurati da proiettili sparati da un’altezza di 22 metri dal livello del mare (tolda della petroliera scarica) ad una distanza di 100-200 metri del possibile obiettivo (quale la distanza del natante dalla nave al momento di fatti). Fori pressoché tangenti e non verticali rispetto alla superficie di impatto .
- 2. La guardia costiera di Koci ha attirato la Enrica Lexie sul porto con una comunicazione ingannevole in quanto ha motivato la richiesta per il riconoscimento di pirati appena arrestati e sapendo bene che la Enrica Lexie era stata oggetto di un tentativo di attacco che gli italiani avevano segnalato come previsto, avvenuto in acque internazionali e sviluppato da una barca diversa dal St. Anthony. Comunicazione ingannevole quella della Guardia Costiera punibile penalmente secondo il Diritto Internazionale Marittimo.
- 3. La posizione della nave riferita dalla Autorità Italiane, e riscontrabile in rilevazioni georeferenziate satellitari, è quella in cui si trovava la petroliera quando è avvenuta l’azione antipirateria sventata sparando colpi di avvertimento e prontamente segnalata dal Comandante del natante e sicuramente memorizzata nella “scatola nera della nave”, sui tracciati radar e da quanto riportato nel report inviato in Italia subito dopo gli eventi. Report che risulta essere stato trasmesso via email e quindi rintracciabili come ora di trasmissione, elemento se del caso da incrociare con gli altri dati per determinare l’esatta posizione della nave. Alcuni organi di stampa come specificato nella sua domanda riportano dati diversi. Non si conosce in base a quali elementi certi in quanto non mi sembra che sia stato mai pubblicato un tracciato GPS, ipotesi quindi che si aggiunge alle altre e che, credo, possa essere semplicemente definita “un’altra ipotesi”. Peraltro, l’assurdo ritardo che sta caratterizzando le decisioni dell’Alta Corte indiana lascia presumere che o c’è malafede da parte indiana o, molto probabilmente, mancano le prove certe per dimostrare il contrario di quanto affermato dalle Autorità italiane. Gli stessi Giudici indiani hanno perso la memoria dimenticando una frase di Gandhi : “ La giustizia nei confronti dell’individuo fosse anche il più umile, è tutto. Il resto viene dopo”. Sicuramente in questo modo non stanno facendo giustizia né nei confronti delle vittime né tantomeno dei due marò italiani tenuti in ostaggio da 11 mesi.
- 4. L’Italia avoca a se il diritto di giudicare i propri cittadini sulla base di contenuti del Diritto Internazionale e di Convenzioni ONU sottoscritte e ratificate dall’India, sicuramente prevalenti nella fattispecie rispetto a qualsiasi normativa nazionale, compresa quella indiana.
- 5. Non posso rispondere sulle possibile interpretazioni delle normative internazionali vigente nella specifica fattispecie degli eventi. Lei mi parla di diverse interpretazioni ma non credo che ci sia da meravigliarsi trattandosi di materia legale storicamente da sempre ed ovunque oggetto di interpretazione.
– La sentenza della Corte Suprema di New Delhi creerà un precedente del diritto marittimo internazionale, eppure, della vicenda dell’Enrica Lexie si sono occupati solo saltuariamente i telegiornali nazionali. Solo alcuni giorni dopo una sua lettera al Direttore Generale della Rai, i TG hanno dato brevi notizie, trincerandosi dietro l’opportunità di un silenzio stampa atto a non interferire con trattative in corso tra i due governi. Cosa ne pensa?
T: Non bisogna aspettare la sentenza dell’Alta Corte Indiana per affermare l’esistenza di un “precedente” giuridico in ambito internazionale. Di fatto il precedente a cui si riferisce è iniziato al momento dell’arresto dei due militari e dagli 11 mesi di indebito trattenimento da parte indiana. Il silenzio degli organi di stampa italiana a meno di qualche rara eccezione è stato assordante ed offensivo di quella che i mass media – riempiendosi spesso la bocca – definiscono libera informazione. Sicuramente hanno influito anche le “raccomandazioni” a livello istituzionale di mantenere un low profile ma questo non giustifica la carenza di informazione, se non altro dedicata a ricordare agli italiani il fatto e la condizione di due nostri concittadini, sui quali uno stato estero sta esercitando coercizione e limitazione della libertà personale per ipotetici fatti tutti da provare e comunque connessi al ruolo specifico ricoperto dagli interessati. Quello di militari nell’esercizio delle loro funzioni di difesa degli interessi nazionali e del territorio nazionale rappresentato da una nave battente Bandiera italiana, nel rispetto di un mandato ricevuto dal parlamento (legge 130/agosto 2011) e quindi di fatto garantiti dalla normativa internazionale sui “militari in transito”. Questo è il vero, grave e negativo precedente internazionale creato dall’India. In questo contesto subito dopo il rientro dei marò in India al termine del “permesso natalizio” un particolare settore dell’informazione italiana sta pubblicando una serie di interpretazioni a dir poco azzardate degli eventi contestando ora per allora notizie, pareri e quanto altro espressi da altri a ridosso degli eventi ed improvvisamente scoperti da questa categoria di “comunicatori”.
– Sullo sfondo della vicenda, sembra stagliarsi l’intrigo di una commessa militare che vede l’India parte acquirente di dodici elicotteri AgustaWestland (gruppo Finmeccanica). La storia di un bando di gara relativo ai dodici elicotteri destinati alla difesa indiana, che sarebbero stati modificati per consentire alla AugustaWestland di partecipare, modificando poi i requisiti dei velivoli che inizialmente non avevano le caratteristiche richieste nel 2006 dall’India. Un accordo favorito da tangenti pagate e che vede coinvolto il cugino di un alto ufficiale dei vertici dell’Aeronautica indiana. Alla luce di tutto ciò c’è chi avanza l’ipotesi di un possibile “baratto” della libertà dei nostri due marò con la consegna dei dodici elicotteri. Se il timore di un silenzio stampa, voluto per non interferire negli affari tra i due paesi, secondo taluni potrebbe trovare conferma nella vicenda che riguarda i dodici elicotteri italiani, inspiegabile sembrerebbe il silenzio della stampa estera, visto che a seguito della sentenza dell’Alta Corte indiana si verrebbe a creare un precedente del diritto marittimo internazionale che riguarderebbe anche le altre nazioni. Come si spiega il quasi silenzio della stampa estera?
T: Non entro nel merito della fornitura degli elicotteri italiani dell’AugustaWestland in quanto in tutta onestà non conosco esattamente il problema e qualsiasi affermazione da parte mia sarebbe pura illazione. E’ comunque un’ipotesi circolata da più parti e immediatamente a ridosso degli eventi che hanno coinvolto i due nostri Marò, ma ritengo impensabile, almeno consigliato dal mio approccio etico a qualsiasi vicenda, che uno Stato democratico e dalle antiche tradizioni storiche e cattoliche italiane che hanno fatto grande il nostro Paese, che lo Stato possa solo pensare di barattare interessi economici e di immagine con la vita di due persone cittadini italiani peraltro imputati di un possibile reato per cui l’India prevede la pena di morte. Un’assurdità strumentale di cui mi rifiuto di credere, non negando gli eventi che non conosco ma difendendo assolutamente i valori etici del nostro Paese.
Il silenzio della stampa estera ed in particolare di quella degli stati Membri dell’Unione Europea, a mio modesto avviso conferma una triste realtà, quella rappresentata dalla scarsa credibilità internazionale del nostro Paese troppe volte proposto come “repubblica delle banane” proprio da quella stampa nazionale che ha sottaciuto, invece, per 11 mesi le vicende dei nostri marò. Un silenzio che conferma tra l’altro in maniera preoccupante l’assoluta assenza di politica estera europea, di scarsa coesione di quella che viene chiamata Unione Europea come coagulo di Stati Membri e che, invece, è solo una fallimentare holding economica.
Nonostante quanto affermato dal Generale Termentini, i boatos su interessi di carattere internazionale non accennano a diminuire. In particolare, oltre la vicenda tutta italiana dei dodici elicotteri AgustaWestland, l’attenzione di molti si concentra sull’acquisto da parte dell’India di 126 aerei da combattimento francesi. Si tratta del Rafale Dassault Aviation, preferito al Typhoon costruito dal consorzio Eurofighter formato dai gruppi di BAE Systems, EADS e Finmeccanica europea in Italia, che ha iniziato i negoziati per una fornitura il cui valore supererebbe di poco i 15 miliardi di euro (20 miliardi di dollari).
Un progetto ambizioso quello della fornitura di 126 Rafale alla Forze Indian Air che dovrebbe concludersi prima delle elezioni indiane in programma per il 2014, al cui cospetto ben poca cosa sembrano i dodici AgustaWestland che dovrebbe fornire l’Italia. Mentre i più maligni vorrebbero legare il silenzio della stampa francese ad un affare miliardario che vede interessato il Gruppo Dassault Aviation, della famiglia Dassault, che conta nei suoi ranghi anche un senatore dell’UMP (il partito dell’ex presidente Sarkozy), il ministro indiano della Difesa A.K. Antony – lo stesso che si sta interessando al caso delle presunte irregolarità nella commessa per 12 elicotteri di AgustaWestland, al centro dell’inchiesta della Procura di Napoli relativa a Finmeccanica – si sarebbe recato a Kochi, seguendo da vicino il caso dei nostri due marò.
Da una parte due soldati, dall’altra interessi miliardari, sovranità nazionale e giochi politici. Quanto vale la vita di due soldati rispetto quello che messo è in gioco sull’altro piatto della bilancia?
Gian J. Morici
15 miliardi di euro sono tanti perchè la libera stampa possa permettersi di dare le notizie. Prima di tutto gli affari, poi i marò!!!!!!! Grazie Italia!!!!!