Quanta sofferenza, quanta solitudine, quanta amarezza c’è lungo la strada di chi ha perso un proprio caro, ucciso da killer feroci e spietati che non si fanno scrupolo di sparare contro donne, vecchi e bambini, pur di raggiungere i propri obiettivi? L’idea di aprire una nuova sezione sul giornale, dedicata alle vittime innocenti di mafia; ai familiari; a quanti non hanno mai avuto voce; a quanti troveranno il coraggio di averla, l’avevamo già anticipata alcuni giorni addietro (leggi l’articolo)
Una sezione, resasi necessaria per farci riflettere su quanto la mafia, autentica cancrena della nostra terra, condizioni la vita quotidiana di tanta gente onesta e per evitare di assistere, come sempre più spesso accade, a quella che non esitiamo a definire come un’aberrazione etico-culturale, che pone quasi sullo stesso piano le vittime di mafia e i loro carnefici. Purchè possano questi ultimi essere ascritti alla categoria dei ‘pentiti’.
Il primo protagonista di queste nostre storie, è Angelo Vaccaro Notte, fratello di Vincenzo e Salvatore, uccisi dalla mafia a Sant’Angelo Muxaro (Agrigento).
La vicenda dei Fratelli Vaccaro Notte rappresenta una storia emblematica del Meridione italiano.
Emigrati i Germania per cercare lavoro, grazie alla loro buona volontà, capacità imprenditoriali e sacrifici, riescono a mettere da parte del denaro, con il quale tornati al loro paese, avviano un’attività in proprio.
La loro attività collide con gli interessi di altri, che gestiscono abusivamente un’altra azienda che opera nello stesso settore.
A tal proposito, va sottolineato come appaia inverosimile che quanti preposti al rilascio delle autorizzazioni e quanti addetti al controllo delle attività commerciali, non si accorgano dell’esistenza di ditte che operano senza le necessarie autorizzazioni.
La ditta ‘abusiva’ con la quale entrano in concorrenza i Vaccaro Notte, purtroppo per loro appartiene ad altri due fratelli, ritenuti vicini alla famiglia dei Fragapane di Santa Elisabetta. Un nome, quest’ultimo, che di norma da queste parti indurrebbe chiunque a più miti consigli.
Chiunque, ma non i Vaccaro Notte, che di sottostare a diktat mafiosi, proprio non ne vogliono sapere. Dopo un tentativo di accomodamento, proposto da un imprenditore edile quasi loro omonimo, Giuseppe Vaccaro, i due fratelli rifiutano qualsiasi compromesso con la consorteria mafiosa locale, meglio conosciuta con il nome di “Cosca dei Pidocchi”.
La reazione del gruppo criminale non si fa attendere a lungo. Vincenzo Vaccaro Notte, viene ucciso il 3 novembre del 1999. Salvatore, non rinuncia a mandare avanti l’attività e inizia ad indagare sul delitto del fratello, redigendo anche un memoriale.
Il 5 febbraio del 2000, la lupara, pone fine anche alla sua esistenza.
Il terzo fratello, Angelo, che ancor prima dei delitti si era rivolto alle forze dell’ordine denunciando le pressioni subite, racconta i retroscena dei due omicidi. Le indagini avviate, nel maggio del 2006 portano all’arresto di noti mafiosi latitanti, alla scoperta di un traffico di armi e droga, di appalti pilotati e corruzione politica.
Vengono indiziati come assassini dei fratelli Vaccaro Notte: Giuseppe Vaccaro, che confessa subito dopo l’arresto e diventa collaboratore di giustizia, e Pietro Mongiovi. Quest’ultimo collaborerà con i giudici ma sarà trovato impiccato nella cella del carcere di Padova dov’era rinchiuso.
Angelo Vaccaro Notte, per questa sua collaborazione come testimone di giustizia verrà sottoposto al programma di protezione assieme ai suoi familiari e lascerà la Sicilia.
La serie delle nostre interviste, comincia con Angelo. Un uomo, che ha visto distrutta la propria famiglia, che ha dovuto abbandonare la propria terra, che ha vista stravolta la propria vita e quella dei propri familiari, a causa di un fenomeno che sopravvive grazie alla viltà e alle collusioni di tanti: la Mafia!
D – Innanzitutto, la ringraziamo per averci concesso questa intervista. Il nostro giornale è da sempre attento al tema della mafia, nella speranza di poter aiutare la crescita di una cultura della legalità e della giustizia nei nostri giovani. È in quest’ottica che si colloca questa intervista, affinchè le diverse testimonianze di chi la mafia l’ha subita e la combatte, possano scuotere la sensibilità di tanti e aiutare a mettere la parola fine a questa piaga della nostra terra. Dopo il brutale assassinio dei suoi fratelli lei ha aperto un blog, nel quale, oltre a parlare delle cosche mafiose dell’agrigentino, quelle che hanno determinato l’omicidio dei suoi congiunti, scrive un po’ di tutto ciò che riguarda le cronache di fatti di mafia. Cosa l’ha spinta a creare il blog e in che maniera pensa possa influire nella lotta contro le organizzazioni mafiose?
R: Innanzitutto la ringrazio per avermi contattato e mi fa piacere che un giornale Agrigentino finalmente si dedichi alle vittime innocenti della mafia e non a qualche fasullo criminale, che dopo aver assaporato le patrie galere si trasforma in pentito. Le ragioni che mi hanno spinto a creare i miei blog antimafia, sono quelle di evidenziare il marciume che da oltre un secolo vive e convive nel DNA di quei siciliani meschini che sono orgogliosi e fieri di essere mafiosi, non rendendosi conto di cos’è veramente la mafia e di quali sono gli effetti devastanti che provoca. La vita di un mafioso ha il valore pari a quella di un nobile maiale. Mentre il maiale all’incirca vive un anno ed è molto utile per l’umanità per i mille consumi nutrizionali, viene ingozzato trattato bene per ricavarne carne pregiata e quando raggiunge il peso ideale, poveretto, viene macellato, il mafioso è l’opposto del maiale per l’utilità che può dare alla società civile. Rovina le famiglie, uccide senza approfondire e conoscere le persone, solo perché gli è stato impartito un ordine da eseguire. Sono persone sottomesse prive di riflessione, coscienza e totale assenza di intelligenza. Anche loro spesso fanno la fine dei maiali macellati, ma a differenza del maiale vengono bruciati, crivellati o vengono seppelliti e mai trovati, perché non sono più affidabili o in contrasto con altre cosche criminali. Ma per alcuni fortunati c’è la galera. I miei blog (clicca qui per entrare nel sito) hanno acquisito nell’arco di questi anni un’ottima notorietà internazionale, con oltre 2 milioni di visitatori da tutto il mondo, da tutte le università, associazioni o enti, da gente comune, da vittime o carnefici, da curiosi. Mi onorano spesso le visite delle più alte cariche dello Stato che visitano i miei siti, non so se per curiosità o interesse. Alcuni dei miei blog sono stati mandati in tilt da hacker, forse parenti di mafiosi Quotidianamente sbeffeggio la “cosca dei pidocchi”, questa sporcizia che ci aveva accerchiato. Scese in campo un esercito contro tre fratelli che lavoravano onestamente, in un paese dove le connivenze erano all’ordine del giorno. Molti giovani che seguono quotidianamente il mio blog sono attivissimi in prima linea nel volontariato e a contrastare tutto ciò che rappresenta la criminalità organizzata.
D – Che cosa ricorda dei giorni in cui vennero uccisi i suoi fratelli?
R:Tutto. È difficile dimenticare quei tragici momenti che ho vissuto, sia per il primo che per il secondo omicidio dei miei fratelli. Quei fotogrammi rimarranno indelebili nella mia memoria. Quasi quotidianamente, in quei pochi minuti di tranquillità che ho, rivivo questa triste storia.
D – Suo fratello Salvatore, a suo giudizio, si sarebbe potuto salvare?
R:Certamente. Poteva essere salvato e doveva essere salvato. Purtroppo, di questo devo anche ringraziare l’incapacità di un magistrato, che ho anche denunciato per il lavoro svolto con i piedi. Ancora oggi sto aspettando una risposta da parte della procura di Palermo. Sin dal giorno del primo omicidio, ho evidenziato i minimi sospetti su chi e su come avrebbero potuto commettere l’omicidio. La leggerezza, la superficialità e l’incapacità di chi conduceva le indagini, accompagnate dalla fuga di notizie molto delicate da parte di qualche fasullo soggetto che forniva indicazioni sui miei verbali (come poi confermato anche da parte del pentito Giuseppe Vaccaro) hanno fatto sì che la cosca dei pidocchi ha attentato più volte alla mia persona, grazie a Dio senza riuscirci, e uccidendomi alcuni cani da guardia. Ricevevo conferma da parte delle istituzioni di stare tranquillo. Che la situazione era sotto controllo e non vi era alcun timore che si potesse verificare un altro omicidio. Disgraziatamente le rassicurazioni da parte di chi ci avrebbe dovuto tutelare, si sono dimostrate infondate, dando spazio alla cosca dei pidocchi di poter portare a termine con enorme tranquillità anche l’assassinio di mio fratello Salvatore. Il tutto, con le agevolazioni e partecipazioni da parte di una buona fetta di meschini soggetti di Sant’Angelo Muxaro e dintorni. Alcuni per omertà, altri perché legati o vicini alla cosca che ha ucciso i miei fratelli.
D – Cosa rappresenta Angelo Vaccaro Notte per la mafia?
R: Ho sempre contrastato tutto ciò che rappresentava mafia, “politica fasulla e corrotta” e pidocchi, prima degli omicidi. Figuriamoci dopo il sacrificio dei miei fratelli. Il mio contributo è stato molto determinante a far sì che alcuni allora famosi boss e killer latitanti venissero arrestati. Dopo di che, grazie alle loro dichiarazioni, sono state condotte una decina di operazioni antimafia che hanno portato all’arresto di molti soggetti e al sequestro di beni, sia nell’hinterland Agrigentino che fuori dal territorio. Se guarda un po’ la cronistoria della mafia Agrigentina-Palermitana, noterà che dal 2000, illustri boss, venerati da un esercito di pidocchi che erano alla mercè di questi criminali, oggi non possono più spadroneggiare perché sono stati assicurati alla giustizia, e tanti altri, da partecipanti a progetti criminali, omicidi, racket ed estorsioni, si sono trasformati in partecipanti di x-factor, Sono diventati dei bravi canterini a disposizione dell’Autorità Giudiziaria che sta vagliando le loro dichiarazioni per ulteriori bonifiche del territorio siciliano, martoriato e infestato da questi parassiti.
D – Lei definisce i mafiosi ‘pidocchi’, tant’è, che il suo nome è associato alla ‘cosca dei pidocchi’. Un termine da adoperato anche nel suo blog per definire le famiglie mafiose dell’agrigentino. Cos’è per lei la mafia?
R: In effetti i mafiosi li definisco pidocchi, anche se ogni tanto uso l’acronimo “pidopucys”. Un incrocio tra la pulce e il pidocchio, ovvero politica e malaffare. La cosca dei pidocchi che dettava ordini nei monti sicani, era capeggiata da soggetti criminali primitivi e subdoli, che per un nonnulla agivano sulle vittime in gruppo e armati, colpendoli alle spalle e finendoli successivamente. Gente che aveva a che fare più che altro con gli animali, che rispetto a loro sono nobili creature. Vi sono anche soggetti che fanno parte di questa “cupola” per tradizione, per il nonno……il papà o lo zio. Ereditano una certa rispettabilità da parte di quella popolazione meschina che dà loro un certo peso in mezzo alla società civile, quando in realtà non sono altro che un pugno di vermi. Soggetti che quando sono da soli fanno davvero pena e per incanto si trasformano in lampadine fulminate.
D – Tra le vittime della mafia, altre i suoi fratelli, ce n’è qualcuna che ricorda in particolare?
R: Tra le vittime innocenti di mafia oltre i miei fratelli ricordo con Stima e tanto affetto i fratelli Pacilio, originari di Grumo Nevano, in provincia di Napoli. Due imprenditori nonché miei amici. Domenico, assassinato il 4 gennaio 2003, e Rodolfo Giancarlo ucciso il 31 Ottobre del 2006 dalla camorra. Barbaramente assassinati anche loro, per non essersi piegati ai diktat della criminalità organizzata.
D – Qual è il ruolo dell’informazione nelle vicende della mafia in Sicilia; cosa viene fatto e cosa invece potrebbero fare i media?
R: Molto superficiale. Sono rare le inchieste giornalistiche che vengono approfondite e portate alla luce del sole con chiarezza e professionalità. Molti giornalisti non fanno altro che sciacallaggio mediatico. I media possono essere i pilastri portanti di un’informazione molto più incisiva e determinante e far sì che la gente possa collaborare e rendersi utile per la società civile.
D – Accade sempre più spesso che venga data voce ai tanti pentiti, che nel narrare i crimini da loro stessi commessi, prendono le distanze dal passato, accusando Cosa Nostra di aver distrutto la loro vita. Premesso che il ruolo dei pentiti in più circostanze si è rivelato fondamentale per l’esito di molte indagini, cosa ne pensa di questo modo di porre quasi sullo stesso piano le vittime di mafia e i loro carnefici?
R: Si, in realtà i pentiti negli ultimi anni hanno avuto un ruolo determinante per aver fatto luce su tanti omicidi che senza il loro contributo non sarebbero stati risolti. Riferiscono che è stata cosa nostra a rovinare la loro vita, quando in realtà i veri criminali disonesti sono loro, perché solo loro hanno rovinato la vita di tante famiglie perbene. Per questa sporcizia che adesso si proclama pentita è impossibile e improponibile metterli sullo stesso piano delle vittime perché le vittime erano umani, loro sono delle bestie criminali.
D – Secondo lei, cosa dovrebbero sapere i giovani della mafia?
R: I giovani avrebbero bisogno di ampie delucidazioni da parte di chi ha subito in prima linea atti delittuosi come si è verificato alla mia famiglia, e non nozioni fantasiose di improvvisati giornalisti, scrittori e magistrati, che in tanti casi si sono auto improvvisati simboli dell’antimafia, sfruttando le disgrazie altrui. Alcuni arricchendosi con pubblicazioni di libri e altri facendosi spazio in politica, lasciando nella disgrazia chi ha veramente lottato e contrastato la mafia. Sarebbe necessario organizzare periodicamente dei convegni antimafia per tutti i giovani appartenenti agli istituti superiori, spiegando loro che cos’è veramente la mafia, perché solo chi l’ha subita e combattuta può spiegare gli effetti devastanti di questa associazione criminale.
D – Quale pena è stata inflitta agli assassini dei suoi fratelli?
R: Non mi ritengo soddisfatto per la pena inflitta agli assassini dei miei fratelli, in quanto alcuni componenti della cosca dei pidocchi, come già in diverse interviste dichiarato, sono in libertà e qualcuno magari è stato pure risarcito per ingiusta detenzione. Ne mancano ancora altri per concludere la cerchia meschina di questo gruppo di vermi, che da decenni continua a mortificare la dignità delle persone oneste.
D – Non ha dunque ottenuto giustizia?
R: La giustizia italiana, l’ho definita come la condotta idrica Agrigentina. Come lei ben sa, la condotta idrica di Agrigento, è un colabrodo e l’acqua si perde già a partire dalla fonte. Non c’è certezza della pena; ci sono i patteggiamenti, decorrenza dei termini, pentiti fasulli che scagionano i criminali malgrado ci sono migliaia di intercettazioni che inchiodano questi pidocchi, ma non so perché, sembra come se ci fossero degli accordi con questi vermi criminali, per cui parte del materiale raccolto non viene utilizzato per ulteriori arresti.
D – Ritiene che oggi i testimoni di mafia siano sufficientemente tutelati? Cosa direbbe alle vittime che si rifiutano di collaborare con la giustizia?
R: Approfondiremo questa sua domanda nelle prossime interviste.
Il nostro primo colloquio, finisce qui. Angelo è un uomo che sente ancora vivissimo il dolore per i fratelli perduti. Due efferati omicidi, per i quali certamente non sarà facile trovare pace. La voce di Angelo, lascia trasparire tutto il suo dolore, ma anche tantissima rabbia per quello che a suo giudizio si poteva fare e non sarebbe stato fatto. Nelle sue parole, aldilà di quella che potrebbe essere la rabbia, c’è anche tanto disprezzo per coloro i quali, pur autodefinendosi ‘uomini d’onore’, agli occhi di Angelo – ma anche di altri -, sono in realtà i parassiti di una società che spesso per vigliaccheria ne consente il proliferare.
A questa nostra prima intervista ne seguiranno altre, nel corso delle quali con Angelo cercheremo di analizzare i tanti aspetti che caratterizzano il fenomeno mafioso, le conseguenze che lo stesso ha sulla società, le difficoltà di chi decide di contrastarlo e le speculazioni mediatiche e non, di chi a vario titolo si interessa di vicende di mafia.
Gian J. Morici
Intervista coraggiosa & sensibile: si dovrebbe studiare nelle scuole. Diffondo.