No. Il “caso Sgarbi-Di Matteo”, che è poi una semplice appendice taroccata del caso Di Matteo-5 Stelle non è chiuso e non deve chiudersi come un “fastidioso” se pur prevedibile incidente. Aggiungo: che chi pretendesse di chiuderlo con una “saggia” considerazione che, cioè, si è trattato di un non imprevedibile inconveniente dell’utilizzazione politica di un personaggio geniale ma “incontrollabilmente stravagante” darebbe prova di un’imprudenza assai maggiore di quella attribuita a Vittorio Sgarbi e di una vacuità cretina peggiore di quella di cui danno prova in questo come in ogni altro caso, i Grillini Cinquestelle.
Dico questo perché, in verità, il fatto del giorno di cui occuparsi oramai non è di certo la frase, fin troppo moderata di Sgarbi su quella icona falsificata dell’Antimafia e neppure lo è l’espressione di ordinaria imbecillità intollerante ed intollerabile della intimazione delle sue dimissioni da parte dei Cinquestelle.
Direi che merita (cioè demerita) maggiore attenzione e qualche poco confortante considerazione il dire e non dire piattamente insulso ma non meno pericoloso di Nello Musumeci, Presidente della Regione.
Musumeci, anche se non per i suoi precedenti politici ed, anzi proprio malgrado questi, è giustamente stimato in Sicilia e non solo al paragone dei suoi predecessori.
Musumeci ha dichiarato: “Il Professor Vittorio Sgarbi è libero, come ogni cittadino, di esprimere qualsiasi giudizio nella stessa misura in cui rivendico la mia libertà di non condividerne nella fattispecie, le forme ed il contenuto” (La Sicilia).
La forma di tale dichiarazione è tendenzialmente e malamente elusiva.
Il contenuto è un non dissimulato fastidio per l’”incidente”. Perché, altrimenti dovremmo prendere atto che quel “non condividere il contenuto” di quanto dichiarato (ripeto, con molta moderazione) da Sgarbi significhi che Musumeci, che pure non è uno sciocco e neppure un disinformato, ritiene che Di Matteo non abbia tratto alcun vantaggio politico-giudiziario dalla (presunta) condanna a morte che avrebbe pronunziato contro di lui Totò Riina, che le quasi cento cittadinanze onorarie gli sono state conferite, vincendo la sua ritrosia, per meriti scientifici e letterari e per il ruolo avuto nella testarda utilizzazione dell’intermittente pentito calunniatore Scarantino nel processo di Caltanissetta con condanne all’ergastolo di innocenti, poi riconosciuti tali in sede di revisione, a varii ergastoli per l’assassinio di Borsellino (cosa contestatagli da Fiammetta Borsellino).
Ed ancora: che senza quella minaccia più o meno fantasiosa e certo mai messa in atto o provata a compiere da Totò Riina, Di Matteo avrebbe potuto anche solo accennare alla sua eventuale “discesa in politica” per fare il Ministro della Giustizia.
Ed ancora: senza la pretesa “condanna a morte” avrebbe potuto essere ignorato, dalla ben organizzata campagna per le “cittadinanze onorarie”, il divieto per i magistrati di ricevere (ricevere ed a maggior ragione, sollecitare) onorificenze.
Ma basterebbe il fatto che Musumeci non ha risposto per le rime a Cancellieri ed agli altri che, con arrogante intolleranza, gli hanno chiesto e gli chiedono di “dimissionare” Sgarbi mandandoli a quel paese, a significare che non ha il coraggio di comportarsi come molti dei suoi elettori vorrebbe, arcistufi dell’inquisizione Antimafia e dell’obbligatorietà dei riti di una sorta di bolsa superstizione antimafiosa, persone che lo hanno votato proprio perché poteva rappresentare qualcosa di diverso rispetto a quella forma di repressione non solo intellettuale.
Certo Musumeci, “seccato” dalle “intemperanze” di Sgarbi benchè più misurato e documentato del dovuto, è pur sempre una indiscutibile antitesi rispetto, oltre alle sciagurate sconcezze amministrative anche allo sfruttamento della mafia-antimafia a fronte del suo predecessore Rosario Crocetta. Il quale, anche in questo caso, non ha perso l’occasione di rendersi ridicolo con una dichiarazione che avrebbe voluto essere, nientemeno, improntata a grande respiro culturale.
Fatto l’elogio di Sgarbi critico d’arte, Crocetta lo ammonisce: “Tu non capisci nulla di mafia perché solo “chi vive nell’ombra sa” e tu non vivi nell’ombra in solitudine cui è condannato un nemico della mafia”. Una frase felicemente cretina che avrebbe dovuto indirizzare non a Sgarbi, ma a Di Matteo.
Concludendo e confermando che ora è preferibile parlare di un caso Musumeci piuttosto che di un caso Sgarbi, non trovo meglio che ripetere quando diceva Sciascia: “I cretini, ed ancor più i fanatici, sono tanti e godono di una così buona salute non mentale che permette loro di passare da un fanatismo ad un altro con perfetta coerenza”.
Musumeci, che non è un cretino e nemmeno un fanatico, ritiene possibile, e forse auspicabile, una democrazia che assecondi ed esprima cretineria e fanatismo e ne sappia governare il consenso.
Stia attento. E’ assai più prudente la “stravaganza di Sgarbi”.
Mauro Mellini