I sequestri dei fondi della Lega Nord ha suscitato le proteste, sicuramente giuste, di Salvini e compagnia, curiosità, commenti più o meno sciocchi e, al solito, ulteriore disinformazione.
In realtà il provvedimento, a dir poco avventato ed inopportuno, è però il prodotto di una serie di baggianate legislative e giurisprudenziali e, soprattutto, di una sciocca ipocrisia furbastra e suicida di tutte le forze politiche che godono (si fa per dire) del finanziamento pubblico.
Finanziamento pubblico che, demonizzato ed intollerabile per l’opinione corrente si è, con un’operazione di furberia legislativa all’italiana, voluto camuffare in rimborso delle spese elettorali, mentre poi la cosiddetta giurisprudenza (che ha ben poco del giure e nulla della prudenza) ha voluto, nientemeno che agli effetti penali, considerare invece il denaro del “rimborso”, anziché quello che è secondo il dettato della legge, quello che avrebbe dovuto essere secondo la sua finalità che i legislatori avevano voluto occultare.
Si può dire che l’episodio, valutabile peraltro anche sotto altri aspetti come un’ingerenza pericolosa nella vita dei partiti, è il classico nodo che viene al pettine di una serie di balordaggini del sistema Italia.
Se è vero, ed è vero secondo la legge che i magistrati dovrebbero rispettare, che non si tratta di finanziamenti per affrontare spese del partito, elettorali o no, ma di un rimborso, cioè un “tornare nella borsa” (“privata”), di ciò che è già stato speso, è un manifesto assurdo, un palese abuso perseguire i rappresentanti dei partiti e, oggi, mettere le mani sulla borsa, col pretesto che quei soldi, avendo uno scopo (la spesa elettorale) non potrebbero essere spesi altrimenti né fatti oggetto di manomissioni senza commettere il reato (reato contro la P.A.) di malversazione, come se si trattasse anziché di “rimborso” (cioè di ritorno nella borsa – privata – di ciò che è stato speso per una finalità pubblica) di denaro ancora da spendere per tale finalità e solo per tale finalità.
La norma penale non protegge la finalità politica dell’erogazione avente il carattere del rimborso, vincolando la somma erogata al privato ad uno scopo peraltro già esaurito. Il fatto che il “rimborso” sia liquidato forfettariamente può costituire una balordaggine della scelta legislativa, ma non può mutare il titolo del possesso di chi lo riceve che, appunto perché esso è un “rimborso” non è vincolato, diciamo così, per destinazione retroattiva che non ne ha e non né può avere.
Si tratta di ragioni elementari ed evidenti. Perché, allora, di fronte all’abuso fatto dalla magistratura che ha creato questa destinazione a finalità già esaurite, negando il carattere del tutto privato di ciò che “torna nella borsa” di chi ha compiuto (o avrebbero dovuto o potuto compiere) spese con finalità pubbliche, non ha suscitato, di fronte ai primi episodi adeguate reazioni?
E’ chiaro. Tutte le forze politiche sanno di aver combinato un pastrocchio. Di avere compiuto, semmai, una truffa legislativa a danno dello Stato con una “forfettizzazione” quanto meno troppo generosa. Il che però non cambia l’effetto della legge e l’obbligo dei magistrati di rispettarla ed applicarla.
Ma l’abuso crea l’abuso. Così si sfaldano le libere istituzioni.
Mauro Mellini