Un’”ANSA” di ieri 29 maggio ci informa che Don Ciotti, il prete “antimafia” e, soprattutto, “pro beni mafiosi sequestrati” ha dichiarato che le minacce di morte di Totò Riina non gli fanno paura.
Il suo impegno (“Libera”, beni sequestrati etc.) va avanti.
Poiché le “condanne a morte di Totò Riina” conferiscono ai personaggi antimafia il massimo grado e la massima scorta, nonché il diritto “a ricevere l’omaggio del Presidente della Repubblica” e, soprattutto le cittadinanze onorarie di Città e villaggi su proposta dei “5 Stelle”, è da ritenere che gli ultras antimafia di Palermo inizieranno un’adeguata campagna in tal senso.
“Due pesi e due misure” tra il magistrato Di Matteo ed il prete Ciotti sarebbe assai ingiusto e sconveniente.
Ma quel che suscita qualche perplessità è apprendere che il prete, diversamente dal magistrato, si è costituito parte lesa a Milano (la “condanna” sarebbe stata pronunziata da Totò Riina nel carcere di Opera!…) nel corso di una udienza avanti al G.I.P. Anna Magelli, dove il dinamico e combattivo prete aveva impugnato la richiesta di archiviazione del procedimento per il “reato” di Totò Riina.
Quale reato? Si è parlato di “minacce che non fanno paura…”. Ma, oltre che non far paura le “minacce” furono pronunciate da don Totò parlando riservatamente, benché “intercettato”, il 14 settembre 2013 con tal Alberto Lorusso, supposto appartenente alla Sacra Corona Unita. Ma il reato di minacce presuppone che esse siano, oltre che dirette, fatte pervenire e pervenute al minacciato (non c’è reato di “tentate minacce”). E allora? Omicidio? Via! Anche perché possa parlarsi di tentato omicidio, occorre che ci sia qualche atto idoneo a provocare la morte o almeno preparare quanto occorre per provocarla. Il “pensiero di morte”, il “morammazzato” pronunziato all’indirizzo di qualcuno (conosciamo molti cui tali pensieri ed anche tali espressioni vengono rivolti in tutta Italia in ogni istante!) senza fargliele pervenire non è né una minaccia né un “tentato omicidio”. E’ chiaro?
E allora? Don Ciotti è pur sempre un prete e pertanto si spiega che, faccia una certa confusione tra peccato e delitto. Poiché col pensiero, molto si può peccare, tanto da guadagnarsi l’Inferno, riterrà che, quindi basti il pensiero anche per guadagnare alla “vittima” la qualifica di parte lesa e, se del caso, gli onori relativi. Ma, soprattutto è un prete “antimafia”, un personaggio di spicco dell’Antimafia e, come tale non ha simpatie per i “cavilli” con i quali certa gente, magari lo Stato “deviato” delle “trattative” vogliono circoscrivere il reato e negare a lui la “dovuta” qualifica.
Comunque vada a Milano, c’è da aspettarsi che anche per Don Ciotti si apra un avvenire di cittadinanze onorarie. Di Matteo non avrà nulla da eccepire. Non ha da temere la concorrenza.
Mauro Mellini