C’è una espressione dell’armamentario retorico della politica del nostro tempo: “una pausa di riflessione”.
Bisognerebbe cominciare a fare molte riflessioni che possono essere suggerite da questa espressione, in realtà ipocrita e inconcludente come poche altre.
Quando si dice che “occorre” (a chi? in genere a chi ha il potere e ne ha fatto l’uso peggiore) una “pausa di riflessione”, quasi sempre ciò corrisponde al bisogno di riprender fiato per continuare a fare come prima e peggio di prima (cioè, per lo più, senza riflettere abbastanza) quello e solo quello che si ha e si è avuto intenzione di fare.
Siamo, dopo la batosta subìta dal renzismo il 4 dicembre, in una classica “pausa di riflessione”, anche se, piccolo sacrificio del mare di ipocrisia dilagante, questa volta il termine non è stato usato e tuttavia si è saputo abusarne anche senza farne uso.
Il Governo Gentiloni sembrerebbe proprio l’espressione di una “pausa di riflessione” di quel brutto genere.
Nel senso falso ed ipocrita in cui il termine è quasi sempre stato usato. In realtà la fotocopia che esso rappresenta del Governo precedente, significa che da quella parte “riflettere” sta, appunto, per “riprendere fiato”. E riprendere con le peggiori malefatte.
Il guaio è che, se quelli cui il Paese ha dato quell’entusiasmante calcio in quel posto, non sembrano portati a riflettere, gli altri non sono da meno.
Il problema per tutti sembra sia quello e solo quello di fare la pelle ai Grillini che hanno “rubato ai voti” a destra e a sinistra. Come? Puntando il dito contro le loro cavolate, magari proprio quelle meno gravi, dimostrando che sono ignoranti, inconcludenti, supponenti e “brutti e antipatici”. Tutte cose che non hanno loro impedito di venire in essere e di crescere. E che non impediranno loro di sopravvivere.
Ma la cosa più assurda e grottesca è quella per cui la “strategia” antigrillina, la stampa “per bene” e compagnia bella, puntano soprattutto a far emergere e dimostrare che i Grillini “sono come tutti gli altri”. Il che è, o dovrebbe essere una forma di autolesionismo ed al contempo, un’offesa per la gente e per chi appartiene, bene o male, alla schiera degli altri.
Non mi stancherò mai di ripetere la proposizione ovvia e, magari, un po’ ottimistica: l’antipolitica si combatte facendo della buona politica.
Ed allora se una riflessione vera dobbiamo fare (dico, con una certa supponenza), NOI, non mancando del buon senso che mi suggerisce che è pretesa inutile sperare che tali riflessioni facciano gli altri, questa è che il problema è la qualità.
Qualità di una classe politica, qualità di una stampa, qualità morale, culturale.
Purtroppo è la cosa più difficile e complessa che si possa e si debba cercar di ottenere.
Io non pretendo di poter dare un qualsiasi contributo ad un’opera tanto meritoria. Salvo quella di denunciare ipocrisie ed ulteriori pericoli di deterioramento (il peggio è sempre in agguato).
Denunziare la retorica, il potere delle chiacchiere, modelli di scelta rispondenti a criteri di pubblicità dei biscotti o delle scarpe (ministri “simpatici”, ministre “procaci”, volti giovani etc. di cui Berlusconi e soprattutto Renzi ci hanno ammannito esempi disastrosi).
Ma è un po’ poco. Bisogna, soprattutto, evitare di pensare che ciò possa farsi per legge, magari istituendo un’altra “authority” per la qualità della politica. Visto che sono i Cinque Stelle che preoccupano di più e occupano lo spazio che dovrebbe essere riservato alla riflessione, cominciare a rendersi conto che l’onestà, ad esempio, non è classificabile secondo le risultanze dei registri delle Procure. Criterio non inventato, a dire il vero, dai Grillini. Lo adottò Ciampi, pretendendo di far fuori tutti gli “inquisiti” (come si diceva allora) dal Governo. Ottenne che ne fosse estromesso un Ufficiale dei Carabinieri in quota socialdemocratica (che, in realtà a fare il sottosegretario alle Finanze ci stava come i cavoli a merenda, perché “inquisito”. Del reato di “diffamazione militare” – codice penale militare di pace – reato dal quale fu poi pure assolto).
Qualità della politica e dei politici significa che occorre dare agli elettori la possibilità di sceglierli. Senza che la possibilità che scelgano male diventi un pretesto perché altri scelgano al loro posto. Mi riferisco prima che al voto di preferenza, alla scelta che si affida alle Procure (salvo poi a fare misteriose “eccezioni”). Siano gli elettori a decidere se indagati o, magari, condannati, siano da preferire a teste di cavolo o ad altri indagati. Sbaglieranno. Ma faranno sempre meglio di quelli che ci dovrebbero dare “regole fisse” o, magari, le turpitudini di elenchi di “impresentabili” redatte all’ultimo momento da grottesche congreghe di “lottatori” per la moralità, presieduta da una “più bella che intelligente”.
Il voto di preferenza: è indispensabile ristabilirlo sia che si adotti la proporzionale, sia un qualsiasi sistema maggioritario con liste di candidati. Tutti gli argomenti contro le “preferenze” sono sciocchi ed ipocriti. Si consente ad una Commissione presieduta da Rosi Bindi di fare elenchi di qualche “impresentabile” con i risultati grotteschi che conosciamo e non si consente agli elettori di scegliere chi deve essere eletto perché potrebbero scegliere male!
Certo, può darsi che il ritorno alle “preferenze” non ci dia subito ottimi risultati.
Ma le leggi non sono fatte solo per il giorno dopo.
Ci sono, poi, tante altre cose da dire e da fare.
Chi vivrà vedrà. E, speriamo, le farà.
Mauro Mellini