L’amore negato! È una frase breve ma ricca di significato. Ognuno di noi può dare un’interpretazione diversa, può pensare ad un amore finito, all’impossibilità di amare, alla difficoltà di sentirsi completamente innamorato/a del proprio partner.
L’amore negato! È inevitabile pensare anche a tutti quei bambini che vivono situazioni di abuso e violenza come nell’ultimo fatto di cronaca risalente il 23 Gennaio.
Una bimba di 10 mesi viene ricoverata al reparto di terapia intensiva del Policlinico Gemelli (Roma) per trauma cranico e lesioni gravissime su tutto il corpo. È in coma.
Vengono indagati i genitori (separati) e il convivente della madre.
Com’è possibile che accada ciò? Come riesce certe gente a picchiare con tale violenza un bambino indifeso? Come fanno a non fermarsi di fronte ad un pianto disperato e continuare imperterriti ad infierire su un corpicino inerme ed incapace di difendersi?
Sono domande che tutti ci poniamo e che spesso, anche se conosciamo le risposte, rimaniamo con una perenne sensazione di sgomento, di vuoto, di turbamento.
Le letture a tali fenomeni possono essere diverse e variegate ma forse hanno un comun denominatore ovvero il senso di solitudine.
Lavorando con la gente e tra le gente mi capita spesso di sentire dire: “prima sti cosi un succidivanu”. Probabilmente è vero! È vero, da un lato, che molte notizie relative alle violenze o abusi non venivano comunicate al mondo perché esse erano celate, nascoste, secretate, e i mezzi di comunicazione erano più “rallentati” rispetto a quelli odierni, dall’altro, il senso di solitudine che una giovane madre può provare era in parte lenito dalla presenza dei familiari (mi riferisco alle famiglie patriarcali) che la sostenevano in questo importante passaggio di ruolo, figlia-moglie-madre.
La mancanza di sostegno emotivo, psicologico implica una condizione di disorientamento nella persona e tale condizione fa aumentare l’ansia (non sono capace di, non riesco a farcela, ho paura), e ciò si aggrava soprattutto quando ci dobbiamo prendere cura di un bambino essendo quest’ultimo totalmente dipendente dall’adulto. L’ansia crea un blocca nell’intenzionalità dell’incontro con l’altro. La mamma ha difficoltà a gestire il neonato.
In una condizione “normale” la neo-mamma, attingendo alle energie positive che provengono da una relazione “sana” con il marito, con la mamma, con sorelle, zie, suocere, che permettono l’attivazione di un processo creativo di adattamento, trova quel sostegno che le permette di controllare e gestire l’ansia, eliminando, così, il blocco, e ciò le permette di immergersi totalmente nella “confluenza”, nella “simbiosi” con il proprio figlio, godendo appieno dei momenti di cura e di relazione con lui.
In una condizione “poco sana”, come nel caso di cronaca precedentemente narrato, accade, che la donna non trovando nell’ambiente di appartenenza un sostegno specifico adeguato si affida a quelle risorse, interne (alla sua autostima o senso di efficacia) o esterne (il compagno violento), che “creativamente” le consentono di adattarsi all’ambiente e gestire così la sua ansia. È talmente ansiogeno il suo senso di solitudine che instaurare una relazione con una persona violenta e che potrebbe ledere gravemente la sua bambina ha poca importanza. L’importante è non rimanere soli nella cura di un neonato, non ha importanza se la persona scelta non è adeguata, l’importante è che IO NON MI DEVO SENTIRE SOLA!
Ogniqualvolta mi imbatto in questi episodi di cronaca un solo pensiero mi sovviene alla mente!
Anziché creare corsi pre-matrimoniali o anche corsi pre-parto, si dovrebbero creare dei “corsi pre-genitoriali”! Non escludo l’importante valenza che hanno i corsi precedentemente elencati, ma credo fortemente in un “Oltre”, ovvero, dei percorsi di accompagnamento-di sostegno rivolti ai neo-genitori da iniziare prima della nascita del bambino ma che debbano avere una continuità almeno dopo i primi tre mesi dal lieto evento, per dare, alla neo coppia genitoriale un sostegno emotivo, psicologico e anche sociale, tale da “contenere” l’ansia legata alla cura del piccolo. Corsi rivolti alla coppia, non esclusivamente alla mamma perché troppo spesso si dimentica che esiste un papà, e che quest’ultimo non deve avere un ruolo marginale ma è protagonista a pari merito della donna.
Un corso siffatto utilizzerebbe “Il modello Spagnuolo Lobb” in quanto lo ritengo particolarmente adatto, perché attraverso una specifica metodologia, vengono estrapolati i vissuti della coppia inerenti all’evento parto-nascita in maniera processuale, ovvero, si cerca di rafforzare quelle capacità che la coppia ha a disposizione, e che non sono immediatamente accessibili alla loro consapevolezza, necessarie per affrontare le varie fasi del parto, e aggiungo, i mesi successivi alla nascita. È importante cogliere l’aspetto proattivo della coppia, cioè, le loro risorse presenti, che esistono, e portarle alla loro consapevolezza.
La pazzia non è espressione di malvagità
Neppure quando porta a compiere il più inconcepibile dei delitti
L’uccisione dei propri figli piccoli.
È malattia.
Sappiamo come sono fatti gli anelli di Saturno e il Grand Canyon
Ma non c’è informazione sulle malattie della mente tranne i soliti luoghi comuni:
“il raptus” o “era in cura per depressione”.
Annelore Homberg
Dott. Irene Grado
Psicologa-Psicoterapeuta della Gestalt
Esperta in Psicodiagnosi Forense
Trainer di psicoprofilassi al parto: metodo Spagnuolo Lobb
Contatti: 338-9908067 e-mail: ire.gr@libero.it
tutti abbiamo bisogno di entrare almeno una volta da uno psicologo,la gente è impazzita negli ultimi anni di piu,sopratutto ce chi non va per scarzi mezzi economici come mè,e chi non ci va perche pensa che non ha bisogno..io ho vissuto momenti da paura nella mia vita e credo personalmente che chi possa andare deve andarci,,almeno si è in due a pensare….grazie
Gent.le sig.ra Turbi,
il suo commento descrive in poche parole, ma in maniera vivida
la realtà di oggi.
esiste il servizio pubblico come il consultorio familiare e il centro salute mentale che gratuitamente forniscono il servizio di psicologia.