Tre dipendenti congolesi della ONG Save the Children sono stati rapiti mercoledì 2 marzo nell’Est della Repubblica Democratica del Congo da uomini armati non identificati.
Non è la prima volta che nella zona vengono attaccati degli umanitari che si prodigano per aiutare come possono la popolazione.
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Li incontri e hanno quel velo di nostalgia negli occhi. I colori del mogano e dell’ebano, il ricordo delle mangrovie, della savana, degli alberi della cola e delle palme da olio. Una goccia tremula tra le ciglia, ma è solo un attimo. Hanno dentro il dolore sordo di chi è partito lasciando la propria casa, gli affetti, i propri sogni.
Vengono da un paese tra i più poveri del mondo, devastato dalla paura del loro stesso popolo. Guerra, violenze, sangue. Eppure è un paese ricco. Ricco di cultura, ma anche di materie prime, come il coltan, utilizzato per la costruzione di dispositivi elettronici, la cassiterite e i diamanti. Senza considerare i proventi del settore petrolifero e di quello del gas naturale.
Ma i loro occhi parlano di stupri, di massacri, di corruzione e di silenzi imposti. Di una giustizia che non c’è. Chi ha lasciato il Congo, tutto questo se lo porta dentro. Ha il peso di una condanna mai proclamata ma di fatto attuata costringendo a lasciare la propria terra questi tanti senzapatria che sognano ancora.
Dal genocidio ruandese ai massacri della popolazione congolese, abbiamo giocato la carta dell’ipocrisia fingendo di non vedere quale fosse il futuro che si prospettava per il Congo.
Un futuro che poteva prendere tutt’altra piega se realmente ci fossero state elezioni democratiche nel paese.
E la scia di sangue continua. Ai morti si aggiunge la “guerra contro le donne”. Storie di violenze e stupri. A volte nel silenzio delle autorità, altre, ancor peggio, ad opera di queste.
Omicidi, violenze, schiavitù e reati sessuali resi possibili dal fatto che la Repubblica Democratica del Congo non adotta neppure le norme minime per l’eliminazione dei traffici, con la conseguenza dei congolesi che migrano verso altri paesi in Africa, in Medio Oriente e in Europa.
Collusioni, risorse limitate per il contrasto alla criminalità dilagante, la supervisione inadeguata che permette di infiltrare un sistema bancario vulnerabile al riciclaggio di denaro, ha favorito anche il mercato delle droghe, che vede il paese, che è tra quelli meno sviluppati al mondo e con un alto tasso di mortalità materna e infantile, come uno dei maggiori produttori africani di cannabis.
Secondo i dati risultanti dagli archivi della CIA, Central Intelligence Agency, nel 2013, la stima della quantità di denaro che un congolese spende come consumatore rispetto alla spesa della popolazione totale su prodotti e servizi nel suo complesso, veniva indicata in 400 dollari americani annui, portando il paese al penultimo posto della graduatoria mondiale.
Nel 2006, è stato classificato da Transparency International al 156° posto su 163 paesi nell’indice di percezione della corruzione. Un dato che secondo gli analisti, nonostante si cerchi di sottacerlo, sembra essere ancora attuale.
Ad affliggere il Congo, anche gli aspetti sanitari che portano ad un’aspettativa di vita molto bassa (54 anni di età per entrambi i sessi) anche a causa degli alti livelli di malattie trasmissibili. Basti pensare che oltre un milione di congolesi hanno contratto l’HIV / AIDS, mentre malaria e la malnutrizione falcidiano il resto della popolazione, in gran parte quella infantile.
Se gli aspetti sociali ed economici del paese rimangono ai livelli minimi, inaccettabili anche per molti paesi poveri, la causa va cercata anche nella mancanza di un governo indipendente e realmente democratico.
È noto infatti come i leader del Congo abbiano permesso, se non abusato, violenze, omicidi, sequestri di persona, torture, sfruttamento di forza lavoro anche minorile, detenzioni arbitrarie in condizioni estreme e degradanti, a tal punto da far conseguire al paese il triste primato di essere conosciuto come uno dei paesi meno umanitari del mondo.
Li incontri e hanno quel velo di nostalgia negli occhi, il dolore sordo di chi è partito lasciando la propria casa, gli affetti, i propri sogni.
Sono i congolesi che sperano ancora nella creazione di un paese democratico di successo.
Sperano nelle imminenti elezioni. Discutono di costituzione e diritti. Una goccia tremula tra le ciglia, come un diamante venato di sangue. Forse è la consapevolezza che senza il risultato delle prossime elezioni, un governo libero per il popolo congolese è solo un’illusione da rimandare ad in un lontano futuro.
GJM