La vicenda della crisi greca ha segnato, questo credo lo riconoscano tutti, un test dal risultato assai poco lusinghiero, addirittura allarmante, per tutta l’Europa, per la sua tenuta, sia politico-istituzionale, sia economico-finanziaria.
E’ bastato lo sconquasso, prevedibile e previsto, di un paese minore per entità della popolazione e per rilevanza economica, per di più tra quelli “aggregati” più recentemente, per far emergere incongruenze gravissime, contraddizioni ed equivoci in tutta la baracca europea.
Per noi, per l’Italia, il test ha dato un risultato disastroso. Certo non imprevisto, da chiunque abbia gli occhi aperti, non offuscati dalla retorica e dall’esigenza di appannare la vista degli altri.
L’Italia, che, ancora malconcia per la guerra perduta e fragile per la recente restituzione ad un regime libero dalla dittatura e dalla rovinosa politica “autarchica” del regime fascista, ebbe un ruolo primario nella creazione delle prime strutture europee.
Ma era l’Italia di De Gasperi, che, se non fu un secondo Conte di Cavour, come pure si pretende un po’ troppo facilmente, poteva dirsi rappresentarci degnamente nei consessi internazionali. Da quella “prima Europa”, dalla Comunità del Carbone e dell’Acciaio, ne venne il “miracolo economico italiano”.
Da allora la nostra politica estera fu, direi necessariamente e fortunatamente, opaca, corrente su un binario obbligato (quello della NATO e dell’Occidente) non senza qualche indulgenza a velleità di “libera uscita” terzomondista, con diversi equivoci dettati da ataviche tendenze a tenere, in qualche modo, i piedi in due staffe. Ma si trattava, in fondo, di inevitabili inadeguatezze che non ci portarono mai a perdere quel tanto di prestigio internazionale riconquistato dopo la catastrofe bellica.
Certamente sintomi di emarginazione europea se ne sono avuti. I nostri Commissari Europei, la burocrazia italiana in sede europea non hanno brillato per un’accorta e dignitosa difesa degli interessi italiani. Anche i nostri partiti, quello democristiano e quello socialista, non hanno avuto nelle assise europee dei loro omologhi il migliore dei ruoli e dell’autorevolezza. Ma fino ad oggi potevamo considerarci ancora una componente dell’Europa di serie A, anche se in coda alla relativa classifica.
Episodi penosi, come la connivenza alla dissennata azione franco-inglese contro Gheddafi (e, in sostanza, contro l’Italia) che possiamo anche, purtroppo, considerare espressione dell’esigenza di acquistare titoli personali per un vagheggiato segretariato della NATO, sono rimasti dei sintomi, neppure troppo gravi di una mancanza di idee e di uomini adeguati alle responsabilità dei rapporti internazionali.
Il declassamento è apparso evidente quando è cominciata la destinazione alla Farnesina di “vallette” che avrebbero dovuto attestare il “progressismo rosa dei nostri governi”. Quel che è avvenuto con l’indecente comportamento nell’affare dei Marò, apparentemente marginale ed estraneo alla nostra “posizione europea”, è stato un fatto, oltre che doloroso e vergognoso, preoccupante.
Ma è stata la crisi greca che ha “ufficializzato” il nostro declassamento.
Renzi, che non è riuscito che a tirar fuori delle dichiarazioni banali per i giornali di regime italiani, non è riuscito ad ottenere nella vicenda neppure il ruolo di comparsa, di cantante del coro. L’Italia, uno dei paesi maggiori d’Europa per numero di abitanti, per livello di industrializzazione e di rilevanza economica, ma, soprattutto, il terzo paese d’Europa, di poco al di sotto della Francia, nell’esposizione creditoria con la Grecia, ha contato nella soluzione (che è da augurarsi sia tale) della vicenda quanto il due a briscola.
Le istituzioni europee sono state emarginate, sostituite dai “vertici”, dall’”eurogruppo” dei Paesi che contano. L’Italia è rimasta a guardare, con l’aggiunta dell’abbondanza delle chiacchiere, in cui credo abbia superato tutti, con la spedizione in Grecia dei nostri più ridicoli uomini politici (si fa per dire) accorsi come Santorre di Santarosa ed i Garibaldini di Domokos in chiave turistico-comica a dar manforte (anzi, debole) a Tsipras nel suo autolesionistico referendum. Quella “gran prova di democrazia”, rivelatasi quella che era: una beffa aggiunta al danno del popolo greco. Che è stata una beffa screditante anche per noi.
In una trasmissione televisiva ho sentito qualcuno definire la Mogherini “plenipotenziario europeo” a Vienna, nelle trattative per il nucleare iraniano.
Sono finiti i grandi attori comici italiani del secolo scorso, Sordi e quegli altri. Ma si direbbe che un umorismo nero non sia affatto venuto meno.
Oltre tutto facendosi beffa di quella povera ragazza, vittima, in fondo di un ben più ridicolo mimetismo egalitario, rosa di una Sinistra sgangherata. Vittima, naturalmente, fino ad un certo punto. E’ legittimo il sospetto che non si senta affatto tale.
Mauro Mellini – www.giustiziagiusta.info