A volte basta un commento a un post su Facebook che ti fa tornare alla memoria fatti che avevi dimenticato.
Questa parte di un commento di I. S. (le iniziali del nome dell’utente) al mio articolo ‘La lectio magistralis del Professor Giovanni Fiandaca e il duello mediatico’ postato ieri sulla mia pagina:
“Io l’unica cosa che trovo a proposito di Salamone e l’informativa che lo riguardava, è una notizia stampa con la quale si afferma che i Ros indicavano intercettazioni che dimostravano la partecipazione di Filippo Salamone all’attività illecita di controllo degli appalti pubblici. Si tratta di una telefonata tra tale Farinella e Siino, nel corso della quale Farinella dice a Siino che si sta recando a una riunione con Salamone «… io sto in autostrada che sto venendo a Palermo siccome oggi abbiamo riunione con Filippo Salamone per problemi di lavori pubblici…»”.
Preso dalla curiosità sono andato a cercare l’articolo.
Una smentita a ciò che disse Giovanni Brusca in merito al fatto che secondo lui era stato omesso il gruppo imprenditoriale Salamone, Vita e Miccichè, aggiungendo che c’era stata la volontà di salvare una parte politica e imprenditoriale ben precisa a discapito di altri, tra cui quella di Salvo Lima.
“Peccato che però nel famoso dossier dei Ros, apprezzato e voluto da Giovanni Falcone, tali gruppi imprenditoriali vengono attenzionati eccome – scrive il giornalista, che prosegue affermando che “…è nella loro informativa che i Ros indicavano anche le intercettazioni le quali dimostravano la partecipazione di Filippo Salamone all’attività illecita di controllo degli appalti pubblici. Ve ne è traccia in una telefonata del 3 aprile 1990, di cui è riportata la trascrizione, dove Farinella chiama Siino per invitarlo a pranzo e gli riferisce che si sta recando a una riunione con Salamone «… io sto in autostrada che sto venendo a Palermo siccome oggi abbiamo riunione con Filippo Salamone per problemi di lavori pubblici…». In realtà si fa cenno anche di Miccichè, in quanto viene fatto il suo nome nel corso di un’intercettazione: riconosciuto come amico di Siino, ma anche come il Presidente del Consorzio medio – alto Belice. È proprio su Miccichè che i Ros riferiscono che avevano in corso degli accertamenti”.
Che i Ros avessero ‘cannato’ scambiando Salamone per Siino, lo dice Antonio Di Pietro, ma che dalla telefonata riportata nell’articolo si potesse dedurre l’attività illecita di controllo degli appalti pubblici da parte di Filippo Salamone, ci vuole molta fantasia per crederlo.
Filippo Salamone era un big nel mondo dell’imprenditoria siciliana – e non solo siciliana – tanto da essere unico referente nel mondo imprenditoriale dell’allora presidente della Regione Sicilia, Rino Nicolosi.
L’azienda di Salamone, l’Impresem, già negli anni ’80 vantava un fatturato superiore ai cento miliardi di vecchie lire.
Che Paolo Borsellino sapesse del dossier mafia-appalti lo dichiara il generale Mario Mori, dicendo che era stato informato da Giovanni Falcone e che successive notizie le aveva apprese dagli sviluppi delle dichiarazioni del collaboratore Lipera alla Procura di Catania.
Che il nome di Filippo Salamone comparisse nel dossier mafia-appalti come colui il quale partecipava all’attività illecita di controllo degli appalti pubblici, verrebbe smentito dalla ricostruzione del colloquio tra Borsellino e Fabio Salamone, il magistrato fratello dell’imprenditore, resa da quest’ultimo.
Stando a quanto dichiarato a suo tempo da Agnese Borsellino, moglie del giudice, Borsellino avrebbe detto a Fabio Salamone “Ti consiglio di andar via dalla Sicilia”.
Diversa la versione che ne dà il magistrato secondo il quale dalle parole di Borsellino si evinceva soltanto l’opportunità ad allontanarsi da Agrigento “non ravvisando alcuna incompatibilità ambientale rispetto alla posizione del fratello imprenditore, su cui «non gli risultava nulla»”.
A riportare questo passaggio è Gioacchino Genchi che ne scrisse anche nel suo libro.
Orbene, se realmente dal dossier mafia-appalti fosse emersa la caratura criminale di Filippo Salamone, sicuramente non si sarebbe arrivati al 1997, quando proprio Genchi scoprirà la collusione con ‘Cosa nostra’ e gli affari legati al ‘Tavolino’, il comitato di affari in Sicilia, dietro cui c’era Riina, che porteranno, 30 aprile del 2008, alla condanna definitiva per concorso in associazione mafiosa di Filippo Salamone, Lorenzo Panzavolta e Giovanni Bini.
Antonino Buscemi era invece morto prima del verdetto.
Se tutto quello che emerge dal dossier mafia-appalti in merito alla figura di Filippo Salamone è quanto riportato nell’articolo, possiamo dire che è il nulla.
Non c’era null’altro nelle registrazioni delle intercettazioni?
Perché dunque non pubblicare tutta la parte dell’informativa che riguarda Salamone e che dimostrerebbe il suo ruolo nella gestione degli appalti?
Un bravo giornalista d’inchiesta, del resto, non può essersi fermato a una sola telefonata dove molto genericamente si parla di un imprenditore interessato ai lavori pubblici.
E quale imprenditore non lo sarebbe stato?
Il rapporto con la stampa da parte di inquirenti e investigatori è sempre stato un rapporto molto complicato.
È sempre Genchi che ne parla nel suo libro (Il caso Genchi) citando articoli comparsi su La Padania, Libero, L’Opinione, L’occidentale.it, l’agenzia Il Velino e altri, compreso diversi blog piuttosto orientati.
Un libro che ancora oggi merita di essere letto con particolare attenzione, anche per la vicinanza di taluni giornalisti, o testate giornalistiche, a determinati personaggi capaci di orientare il mondo dell’informazione.
Gian J. Morici