Oltre il 40% delle mamme non lavora, e per l’assegno di mantenimento definitivo possono volerci anche anni. Avv. Ruggiero: “Le disfunzioni della giustizia non possono gravare sui cittadini. In ambito famigliare non sono tollerabili tempi così lunghi”
675 giorni in media per lo smaltimento dei processi in Italia, mentre la media dell’Unione Europea è di 237, appena un terzo del tempo. Se, invece, prendiamo in considerazione casi che arrivano alla Corte d’appello, i giorni arrivano quasi a raddoppiare, ben 1.026 (media UE 177 giorni), per la Cassazione si sale a 1.526 giorni, a fronte dei 172 giorni europei.
L’Italia si conferma ancora una volta il fanalino di coda In Europa per quanto riguarda i tempi della giustizia. La recente riforma Cartabia aveva proprio l’obiettivo di snellire e velocizzare il lavoro dei tribunali, ma, a quasi un anno dalla sua entrata in vigore, la situazione continua ad essere critica, anche se è presto per poter dire se le cose stiano effettivamente cambiando.
Resta il fatto che in alcuni ambiti, come quello familiare, tempi burocratici così lunghi si traducono non solo in un danno emotivo per le persone coinvolte, ma anche, e soprattutto, economico. Stando agli ultimi dati di Save the Children, il 42,6% delle donne tra i 25 e i 54 anni con figli non ha un lavoro, il 39,2% delle madri che hanno almeno due figli minori ha un contratto part-time. Questo si traduce necessariamente in una minore indipendenza economica e in un’inevitabile dipendenza dal partner.
“La lentezza nelle emissioni delle sentenze nelle procedure di famiglia danneggia enormemente i soggetti più deboli, che sono spesso donne con figli, gettandolo in uno stato di profondo sconforto psicologico. – Commenta l’Avvocato Valentina Ruggiero, esperta in diritto di famiglia – Nella materia familiare viene emesso dalla prima udienza un provvedimento provvisorio che stabilisce anche l’assetto provvisorio economico tra le parti. Ma è con la sentenza finale del giudizio che si statuisce se quell’assegno deve essere versato da un certo tempo in poi, cioè la sua retroattività. Se la sentenza verrà emessa dopo anni, per una disfunzioni della giustizia, il soggetto che è soccombente deve restituire all’altro somme che nel frattempo ha già speso, come nel caso di madri che ricevono l’assegno per i figli e spendono quelle somme per le necessità dei figli, finendo poi per indebitarsi ingiustamente per restituire quel denaro, con un danno ingente sia economico che psicologico”.
In molti casi queste donne si trovano a dover affrontare non solo la fine della relazione e la difficile ricerca di un lavoro che consenta loro di continuare a prendersi cura dei figli allo stesso modo, ma si trovano anche a vivere una profonda incertezza economica, non sapendo se poter spendere i soldi di quell’assegno, magari per aiutare i figli a superare un momento così critico, ottenerli da parte nel caso dovessero essere restituiti.
“Ciò non deve più avvenire, e necessita sul punto non solo un chiarimento, ma di una normativa precisa, perché questioni come la carenza dei giudici e del personale dei tribunali, o l’efficienza di una specifica sezione, non devono interessare ai cittadini e non possono essere un loro problema. Bisogna stabilire a mezzo legge che se la lungaggine della decisione è da imputarsi a ritardi dell’ufficio o dell’organo competente, la retroattività deve decorrere dalla data in cui è stata pubblicata quella determinata sentenza, senza ledere il soggetto soccombente. Questo e quanto dovrebbe avvenire in un paese civile” conclude l’avvocato Ruggiero.