Per Alexander Bortnikov, direttore del Servizio di sicurezza federale russo (FSB), dietro l’attacco che venerdì scorso ha provocato almeno 139 morti, vi sarebbero Stati Uniti, Regno Unito e Ucraina.
Ovviamente i paesi citati da Bortnikov hanno immediatamente negato le accuse di un loro coinvolgimento nell’attacco, indicando nel ramo afgano dello Stato islamico (ISIS-K) il responsabile.
Vladimir Putin, nel riconoscere che l’attacco mortale è stato compiuto da militanti islamici, ha evidenziato come l’azione terroristica sarebbe andata a tutto vantaggio dell’Ucraina, attribuendole un ruolo.
Un attentato che sembra avere una valenza destabilizzatrice dopo le elezioni russe che hanno visto confermare Putin nel suo ruolo, e che di conseguenza portano a guardare con sospetto i nemici di Mosca.
Gli Stati Uniti, che dal momento successivo all’attentato hanno indicato nell’ISIS il responsabile, dal canto loro dichiarano che avevano già avvisato Mosca del pericolo imminente, suscitando la reazione di Putin che vedeva nell’avviso una manovra americana per minare la sua credibilità.
Quello che sappiamo con certezza è il fatto che i terroristi affermano di essere stati reclutati con denaro, che si ignorassero tra loro, che si sono lasciati catturare vivi.
Modalità che certamente non appartengono all’ISIS, le cui rivendicazioni sono sempre avvenute in maniera diversa, come diversa è stata l’azione quasi sempre culminata con il martirio degli autori degli attentati.
L’ISIS in passato ha puntualmente rivendicato gli attacchi secondo modalità ben precise che spesso hanno dato adito a teorie complottiste, come la ‘perdita dei documenti’ da parte dei terroristi sul luogo del massacro.
Complottismi ridicoli per chi ben conosce le dinamiche delle rivendicazioni.
Il futuro martire, infatti, registrava precedentemente il video del proprio giuramento indicando le generalità e la volontà di portare a termine l’azione, facendolo pervenire ad Amaq, quella che era la ‘agenzia stampa’ dello Stato Islamico.
Come avrebbe potuto l’ISIS rivendicare un attentato se sul luogo dello stesso non si fossero fatti trovare i documenti del ‘leone’ che si era martirizzato?
A quel punto, l’organizzazione a seguito della notizia stampa, veniva a conoscenza delle generalità dell’attentatore e Amaq ne rivendicava l’azione mettendo in rete il video del giuramento.
Semplice, logico, ma non per tanti complottisti e – purtroppo – talvolta anche per addetti ai lavori.
Non v’è dubbio che l’ISIS può tornar comodo in teatri quali quello attuale russo-ucraino, consegnando una sigla senza colpevoli, né possiamo ignorare il fatto che lo Stato Islamico, così come lo abbiamo conosciuto in passato, si è disarticolato e non può più mirare alla fondazione di un Califfato.
In favore di possibili ‘attori esterni’ giocano un ruolo fondamentale anche le similitudini con l’attentato del 2023 a Kherman, in Iran, ad opera di terroristi vestiti in uniformi militari, la cui rivendicazione lasciò non pochi dubbi in merito alla responsabilità dell’ISIS.
Ad alimentare il dubbio che coloro i quali hanno compiuto il massacro a Mosca non fossero i ‘Leoni dello Stato Islamico’, il mancato martirio tramite cintura esplosiva, come abbiamo visto fare più volte in precedenza
Quanti però dubitano della capacità di sigle filiali dell’ISIS (come nel caso dell’ISIS-K) di portare a termine operazioni terroristiche della portata di quelle di Mosca, sconoscono i precedenti storici di questa organizzazione che non è nuova ad azioni eclatanti.
Per meglio comprendere cosa è accaduto, dobbiamo sapere che l’ISIS-K è un gruppo terroristico nato alla fine del 2014 a rappresentare la provincia del Khorasan dello Stato Islamico, al quale è affiliato.
Il gruppo nato come fazione separatista dei talebani pakistani, trovò humus fertile nell’Afghanistan orientale, già rifugio in passato di altre sigle jihadiste, tra le quali al Qaeda.
La violenza e la brutalità dei metodi, permise al gruppo di radunare a sé diversi talebani afghani e pakistani, disamorati dell’organizzazione della quale avevano fatto parte, finendo con l’aderire al progetto dello Stato Islamico di fondare un nuovo Califfato.
Un progetto condiviso dall’ISIS-K, fin quando dopo la sua nomina il nuovo leader, Shahab al-Muhajir, ha mirato più all’espansione e al reclutamento per lanciare attacchi contro obiettivi religiosi nella sua regione.
Shahabha abbandonando l’iniziale progetto di conquista del territorio di Abu Bakr al-Baghdadi con lo Stato Islamico, portando a termine attacchi di grande portata e rilevanza internazionale come quello all’aeroporto di Kabul il 26 agosto 202, quando – dopo la presa del potere da parte dei talebani – vennero uccisi 13 soldati statunitensi e 170 afghani che cercavano di fuggire.
Rimane l’incognita sul perché i terroristi di Mosca si siano lasciati prendere vivi e non indossavano alcuna cintura esplosiva.
La spiegazione la possiamo trovare in quello che è accaduto in precedenza, con altri gruppi affiliati all’ISIS.
I gruppi affiliati, grazie alla sigla ISIS, vengono riconosciuti dall’organizzazione centrale e da altre sigle, ottenendo credibilità, finanziamenti e risorse di tipo militare.
Questo consente loro di ‘appaltare’ le operazioni terroristiche affidandole ad altri a costi molto bassi, ingaggiando mercenari con un passato di combattenti tra le fila jihadiste.
In pratica a combattenti estranei sia alla sigla centrale che a quella che potremmo definire in franchising, in cambio di denaro.
Se realmente si dovesse appurare che l’operazione di Mosca è da addebitare all’ISIS-K, così come sembra e a prescindere da ‘attori esterni’, saremmo in presenza di un’evoluzione della strategia terroristica che, seppur appaltando a combattenti mercenari le operazioni, andrebbe oltre gli obiettivi molto locali del passato per rovesciare i Talebani e stabilire la loro versione di Stato islamico.
A contraddire l’intelligence di Mosca in merito alla fuga dei terroristi verso l’Ucraina, il presidente bielorusso Alexander Lukashenko, il quale ha affermato fossero inizialmente diretti in Bielorussia e che non essendo riusciti ad entrare in alcun modo hanno deviato la rotta e si sono diretti verso il confine ucraino-russo.
Il leader bielorusso ha promesso di contattare Putin per discutere dell’indagine.
Quello che non torna nella narrativa del Cremlino, il fatto che un coinvolgimento diretto della Cia o dei servizi inglesi non avrebbe certamente previsto la possibilità della cattura degli attentatori.
Certamente non sarebbero caduti vivi nelle mani dei russi.
Discorso diverso il finanziamento di gruppi terroristici al quale potrebbero aver preso parte ‘attori esterni’ la cui nazionalità andrebbe comunque accertata.
E mentre ognuna delle parti in causa cerca di portare acqua al proprio mulino, la tensione sale alle stelle con il rischio di un’escalation del conflitto che potrebbe superare i confini dell’operazione russo-ucraina.
Gian J. Morici