A Enzo Masini
di Salvatore Nocera Bracco
“La speranza è una cosa buona. Forse la migliore delle cose. E le cose buone non muoiono mai”. (Andy Duprense)[1] Già. Ci sono alcuni momenti in cui io vado incontro a delle improvvise consapevolezze. Come quando vedo un film, per esempio, o leggo un libro, o converso con una persona amica, o per un bell’incontro inaspettato. O come quando mi accingo a riflettere, a studiare, per preparare una relazione al convegno annuale della scuola di Counseling Relazionale di cui faccio parte: Prepos, fondata dal nostro maestro Enzo Masini. Tutto ciò in me accende il mio dialogo interiore. Tema di oggi: Le opposte declinazioni della Speranza. Da una parte mi dico, quasi polemico: “La speranza risuona come la certezza di una soluzione futura in un presente incerto.” Bello, penso. Perché polemico? E questa certezza, aggiungo, è più evidente nelle persone che hanno Fede, anche se il loro quotidiano non promette nulla di buono. Insomma, la speranza è l’ultima a morire. Un’altra parte di me si contrappone e mi dice: “Non sarà che la speranza per alcuni è l’unica sicurezza possibile? E chi spera, in realtà non sembra possedere i mezzi necessari per affrontare il presente da protagonista? E affida la propria autodeterminazione a un Ente Supremo, che decide secondo istanze molto misteriose e incomprensibili ai più? Perlomeno a quelli dotati di un discreto discernimento fondato sulla Logica?” Cos’è, mi chiedo, una dichiarazione di guerra? Questa considerazione, all’apparenza molto originale, controcorrente, disincantata, sui generis, mi fa venire in mente – ecco un’altra consapevolezza improvvisa – quell’antico detto che da noi in Sicilia, a Naro, mi è stato inculcato fin da piccolo: Cu di spiranza campa, dispiratu mori![2] E un altro detto, all’apparenza affine: Aiùati ca Diu t’aiuta![3] Va bene. Ma dove starebbe il problema? Vuol dire: Metti in gioco i tuoi talenti, le tue risorse, e vedrai che la Speranza diventerà certezza. Ma anche, in un modo lievemente più crudo: Se non metti in gioco i tuoi talenti, se non li fai fruttare, come pensi di raggiungere i tuoi obiettivi? Sperando e basta? Insomma: bisogna darsi da fare comunque. E sperare aiuta. Si. Ma ecco un pensiero che non m’aspetto: “A volte questo darsi da fare comunque, può portare alcuni ad intraprendere la via più facile, quella che non mette in gioco nessun talento, nessuna competenza, nessuna formazione, men che meno sacrificio. Soltanto ignoranza, arroganza e violenza. E il bello è che gli altri, completamente indolenti, vigliacchi e muti, si ritrovano senza nemmeno accorgersene, a dover leggere la cupa scritta sull’ingresso dell’Inferno dantesco, nel terzo canto, nell’Oltretomba degli ignavi:
Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate[4].
La parte cattivella di me dice: le persone sperano che le cose cambino. Ma c’è chi, da noi, in Sicilia, spera e basta, senza far nulla affinché questo agognato cambiamento si verifichi. Demanda, e affida ad altri la responsabilità di una qualunque decisione, salvo poi lamentarsene incongruamente. L’altra parte di me, più buona, invece dice: la speranza è la propensione ad andare avanti, malgrado che le circostanze esterne costringerebbero ad andare esattamente nella direzione opposta. E sperare in un mondo migliore non ha soltanto una valenza semplicemente evocativa, poiché – effettivamente – può indurci ad agire proprio a favore di un mondo migliore. Agire! Anche se è contemporaneamente vero il contrario: sperare – come pensare, parafrasando Freud – incredibilmente per molti si svela come un’azione che blocca tutte le altre. Il che genera molta sofferenza inavvertita, appena sotto la soglia del cosciente, e che condiziona pesantemente la vita delle persone sottoforma di frustrazione, depressione cronica, un senso soffocante di impotenza. Questo però può indurre a un equivoco: che sperare, cioè, significhi rinunciare alle proprie risorse e alle capacità che normalmente si mettono in gioco, per ottenere o comunque lottare liberamente per un cambiamento reale. Questa non è speranza! È inevitabilmente mi viene in mente un altro detto: Càlati iuncu ca passa la china[5], un condizionamento atavico molto influente, una sorta di atteggiamento più o meno resiliente in un contesto in cui la nostra presenza continua a non pesare; dove persino la nostra stessa storia è quasi sempre scritta da altri, e in cui l’unico modo per sopravvivere, diciamo così, consiste nell’accettazione psicologica della propria passività. Essere attivi, invece, ci farebbe diventare protagonisti della nostra vita. E non avremmo bisogno di sperare in un mondo migliore, perché la nostra presenza attiva già lo renderebbe migliore. Ma bisogna avere dei modelli, qualcuno che ti insegni a essere protagonista, per realizzare e condividere: “La Speranza non è da intendere come qualcosa di là da venire – che sposta cioè in un altro tempo, nel futuro, le responsabilità del Presente. In questo modo il nostro Presente non dipenderebbe più da noi, bensì da altri a cui rimettiamo le nostre scelte. Invece la Speranza è un impegno responsabile nello starsi accanto, e nel costruirsi in un futuro che dipende piuttosto dalle nostre potenzialità, da come le mettiamo in gioco.” (Sotirio Roccanuova) E ho cominciato a trascrivere i miei pensieri, tentando di stimolare un qualche atteggiamento critico, persino dissenso – perché no? In questi tempi accettiamo in silenzio prono qualsiasi cosa, con l’ulteriore limitazione della reclusione forzata a cui il covid ci costringe. Anche perché voci serie e autorevoli, sinceramente, in giro non ne sento.
“Non disperare!” A quante persone lo avrò detto? E a me stesso. Ma ancora non è insegnare la Speranza, che è un modello, un modo di essere, una competenza da mettere in gioco riconoscendo la propria essenza spirituale. È anche un atto di Amore verso noi stessi e le persone che ci circondano, in modo da indirizzare le nostre risorse, interiori ed esteriori, verso la realizzazione di un Cambiamento, di una Evoluzione, frutto di Consapevolezze ancora da conquistare, ma che riguardano tutti noi: famiglia, comunità, gruppo di appartenenza, nazione. Umanità. Ecco perché questa esortazione non è una forma di consolazione fine a sé stessa, ma il primo passo verso la Speranza. A maggior ragione quando gli altri ti investono di una responsabilità ancora più grande: quella di essere tu la loro stessa Speranza. E non puoi tirarti indietro, soprattutto se sei impegnato in una professione d’aiuto, soprattutto se sei Medico, e in contesti periferici e marginali. Non tutti hanno i mezzi per affrontare il dolore, non tutti sanno come affrontare le sofferenze. Figuriamoci affrancarsene, figuriamoci guarirne. Anche se tutti abbiamo il diritto alla gioia. Alla felicità. Comunque la vogliamo definire. E a me piace pensarla come vicinanza, vicinanza a qualcosa che mi mantiene nel giusto equilibrio interiore, quando esprimo il meglio di me stesso e ne sono consapevole, quando una serena fattività mi avvolge e mi sostiene, donandola a chi mi sta accanto e a tutti coloro i quali vengono in contatto con me, sotto forma di Pace. Essere medico è stare accanto, prendersi cura, essere in relazione sincera e vera, autentica, con gli altri che chiedono aiuto. È un atto di Amore gratuito, di disponibilità, di affetto, di incontro con l’intimità (e intimità di un incontro), da cui emerge la nostra Coscienza di Umani, come riconoscimento reciproco, come Scienza, come Sapienza universale. E di questa sapienza universale, il sapere amare è la sua componente più elevata e completa. E prima ancora il sapersi amare. Anche se non si è stati amati. E possiamo impararlo da noi stessi, come tappa importante verso quella Consapevolezza a cui tutti dovremmo aspirare e che costituisce la vera connessione tra noi esseri umani e senzienti, il mondo della Vita, la Madre Terra, con tutto il suo Respiro minerale, vegetale, animale, relazionale, spirituale: il Cosmo. Dio. La nostra dignità.
Ho conosciuto Enzo Masini ad Agrigento, i primi giorni di un febbraio degli ultimi anni ’90, a casa del nostro comune amico Alessandro Feliciangeli, una bellissima casa affacciata a Mezzogiorno sulla Valle dei Templi e il Mare Africano. Un incontro inevitabile e dentro un sorriso, probabilmente suscitato da chist’aria midicata e netta[6] di questa nostra primavera anticipata che si respira sulle colline, già inondate in questo periodo di un manto sbocciato di bianchi fiori di mandorlo, il mito di Proserpina che puntualmente si rinnova. Affacciati a un balcone, lo sguardo vaga sull’infinito sospeso del vicino Mare Africano, da Punta Bianca a Scala dei Turchi, passando per il Caos di Luigi Pirandello, pervadendoci di un insolito ottimismo che pure io, da me stesso, mi sono sempre riconosciuto. Oggi lo chiamo Speranza. Per quanto qualcuno ancora insista nel dire: “Ma a che serve sperare se si è ottimisti?” In effetti si dovrebbe capire se uno è ottimista perché spera o viceversa. Ma Speranza e Ottimismo non sono propriamente la stessa cosa. Sull’ottimismo ci ha già riflettuto abbastanza Martin Seligman, il fondatore della psicologia positiva[7]. E con questo sorriso, mi ricordo, con Enzo, complice Alessandro, abbiamo continuato a frequentarci in occasione di qualche sua lezione a Favara, per esempio, o nella Comunità Incontro, che a Racalmuto ha una delle sue sedi: “Il primo centro di don Pierino Gelmini è sorto ad Amelia, vicino Roma, nella Valle delle Streghe poi diventata la Valle della Speranza”. Appunto. Ancora la Speranza che si affaccia negli incontri con Enzo Masini, il “Prof” della Comunità Incontro, come ancora oggi lo ricorda teneramente un altro comune amico, Pietro Taffari. Ulteriormente inevitabile il riferimento a Racalmuto, vicino Naro, vicino la Girgenti di Luigi Pirandello: il paese della Ragione, il paese di Leonardo Sciascia: “I Siciliani non hanno i tempi verbali del futuro, hanno cioè rimosso la possibilità di esprimersi al futuro”. In realtà non è proprio così. È più corretto dire che lo hanno dimenticato. L’Abate Meli e Giuseppe Pitrè lo testimoniano[8]. Tuttavia, le ragioni di Sciascia rimangono condivisibili, per quanto mi riguarda, ed esprimono tutto il suo Pessimismo, legato alla Ragione, e contro la Fede, almeno quella controllata dalle gerarchie ecclesiastiche. Tutto ciò trasforma la Speranza dei siciliani in un’attesa vana. Il contrario dell’ottimismo. Ecco, si potrebbe dire che l’ottimismo “realistico” è la base su cui si fonda la possibilità di proiettarsi nel futuro con Speranza. Il contrario del Pessimismo. E la Fede non come appannaggio di troppi ebeti inconsapevoli e suggestionati da verità manipolate dal solito controllo di pochi, ma come reale connessione che, attraverso la preghiera, permette la condivisione delle risorse spirituali, dentro un flusso molto più vasto che riguarda l’Umanità passata presente futura, nell’Aiòn di Gesù.
Tra libri e siti internet, partendo dalla mitologia e dalla filosofia antica, da Talete ad Aristotele, ai Vangeli stessi, fino alla letteratura più moderna, Husserl e Bloch, per esempio, si evince chiaramente una definizione di Speranza che riunisce in sé almeno tre aspetti caratteristici ed esclusivi del vivere umano: Progetto, Desiderio, Timore/Paura.
- Progetto, gettare a favore, verso qualcosa di là da venire, ma che deve avere solide basi in questo momento presente, proiettarsi cioè nel futuro con il
- Desiderio, di qualcosa che si vuole, nella direzione di un miglioramento, ovviamente, di una evoluzione, desiderio che è il significato primo della radice Am della parola AMORE, verso cui siamo predisposti e che anzi è il primum movens della nostra esistenza, di cui cominciamo finalmente a prenderci cura, e che ci fa sviluppare quel senso di
- Timore/Paura, che è esattamente quell’atteggiamento che dovrebbe permetterci di salvaguardarci da ogni pericolo, difendendoci o fuggendo via verso luoghi più sicuri, e imparando soprattutto a essere responsabili nei confronti di noi stessi, consentendoci razionalmente e con disciplina di esprimere il meglio di noi stessi, nei confronti degli altri e del mondo di cui impariamo a prenderci cura, dopo aver imparato a prenderci cura di noi stessi.
Nel corso della mia vita, per vari motivi che pian piano sono riuscito finalmente a riconoscere e ad affrontare, ho dovuto gestire un gran senso di rabbia e di impotenza – quella bruttissima sensazione che ti deriva dal fatto di non essere in grado di poter decidere veramente in piena libertà. E ho trovato il modo di trasformare questo grandissimo limite in grande risorsa – un’occasione per fermarmi, organizzare le mie attività, soprattutto quelle mentali, e scoprire questa inavvertita connessione tra la Speranza e i primi insegnamenti di Enzo Masini – quando ho cominciato a frequentare i primi moduli di Prepos, lo studio associato con la scuola di Counseling relazionale da lui fondata, adesso non mi ricordo nemmeno più quanti anni fa – e che riguardano le basi fisiologiche delle emozioni: Attivazione=Progetto; Arousal=Desiderio-Piacere-Ricerca della felicità-Superamento del dolore; Controllo=Timore/Paura, non solo per gestire l’ansia, ma soprattutto per organizzare al meglio, per strutturare, appunto, una visione della vita che, per quanto proiettata, ci permetta di percepire attorno a noi una certa sicurezza, nonché la consapevolezza di creare le condizioni affinché le nostre potenzialità si esprimano al meglio. Ecco come intendo adesso la Speranza, una attività che dovremmo quantomeno imparare, soprattutto riferendoci al suo originario significato, il quale, passando per il latino spes, deriva speh, antica radice indoeuropea che rimanda a tirare, tendere verso un risultato. Ma anche: avere successo, prosperare. Cu di spiranza campa dispiratu mori? Adesso so come confutare questo stereotipo.
[1] Ergastolano interpretato da Tim Robbins in Le ali della libertà, con Morgan Freeman, film diretto da Frank Darabond nel 1994, tratto da una novella di Steven King.
[2] Chi di speranza campa, disperato muore.
[3] Aiutati che Dio ti aiuta.
[4] Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, Canto III, v. 9
[5] Càlati giunco, per far passare la piena.
[6]Quest’aria medicamentosa e pulita, netta.
[7]Martin Seligman, Il circuito della speranza, Giunti Edizione
[8] Così come ci informa Arturo Messina, Grammatica della lingua siciliana, www.ilviaggioinsicilia.it