Non amo molto stare sui social ad ammirare collezioni fotografiche di parti anatomiche, dibattiti pre, durante e post partita, campagne elettorali ecc. Devo però ammettere, che, talvolta, tra tanti post insulsi se ne trova qualcuno interessante sul quale riflettere, che ci dà anche modo di confrontarci con l’autore del medesimo.
È questo il caso dei post di un caro amico con il quale ci siamo ritrovati a scambiare opinioni sul tema della prescrizione dei reati. Lui favorevole all’abolizione (la legge Bonafede) io contrario.
Dalla sua, il sacrosanto diritto delle parti offese a vedersi riconosciuta giustizia; da parte mia, la considerazione che se i tempi della medesima fossero umani e non biblici non si arriverebbe ad alcuna prescrizione.
Il mio timore, quello che abolita la prescrizione dopo sentenza di primo grado, per arrivare a una sentenza definitiva si possa aspettare anche oltre mezzo secolo, con il risultato che nessun colpevole pagherebbe per le sue colpe, che un innocente dovrebbe aspettare 50 anni per veder riconosciuta la propria innocenza, mentre una parte lesa non vedrebbe mai riconosciuti i propri diritti e non avrebbe mai giustizia.
Secondo la mia modesta opinione, il vero problema è quello dei tempi di un processo. Del resto, l’estinzione del reato, nel nostro ordinamento giuridico, avviene quando è decorso il tempo corrispondente al massimo della pena e comunque un tempo non inferiore a sei anni per reati “minori”, mentre, se si tratta di contravvenzione, il tempo minimo previsto è di quattro anni. Ci sono poi i reati che non vanno in prescrizione, o quelli che vengono prescritti dopo che siano trascorsi oltre venti anni.
Ma anche partendo con un minimo di sei anni per arrivare alla prescrizione di un reato, uno di quelli, spesso “stupidi” che intasano i tribunali inutilmente, saremmo ben oltre il termine di un processo penale intero che lo stesso ministro vorrebbe imporre si chiudesse in soli 4 anni.
È dunque il vero problema abolire la prescrizione, o imporre un termine entro il quale arrivare a una sentenza definitiva?
La storia ci insegna che già nell’antica Grecia, era previsto l’istituto della prescrizione, con un termine di 5 anni per tutti reati, ad eccezione dell’omicidio e dei reati contro le norme costituzionali.
In epoca moderna, in alcuni paesi, come il Regno Unito e gli Stati Uniti, la prescrizione non è prevista, ma i tempi della giustizia, sia penale che civile, sono imposti da norme che li rendono ragionevoli e non biblici come lo sono in Italia.
Mi sono imbattuto ieri in una notizia pubblicata dal quotidiano La Stampa. Un processo arrivato in appello dopo 19 anni (sol perché si sarebbe prescritto dopo 22 anni e quindi c’era urgenza) quando già protagonisti del processo (imputati, avvocati, e forse anche persone offese) erano già passati a miglior vita. Beh, consola il fatto che prima della prescrizione, dopo oltre venti anni, anche la Cassazione avrà il tempo di emettere sentenza. Condanneranno o assolveranno i morti? Le parti offese avranno giustizia? Dove, in terra o – se nel frattempo passate a miglior vita – nell’alto dei cieli?
Non potendo leggere tutto l’articolo sul quotidiano, ho fatto una ricerca sul termine dei 19 anni. Aveva ragione il mio amico, a volte si arriva alla prescrizione del reato, come nel caso di un neonato per la cui morte la sentenza di condanna dell’Asl è stata emessa 19 anni dopo. Se non si fosse trattato di un neonato, forse nelle more sarebbero morti anche i genitori, ma finchè c’è tempo c’è “speranza”, visto che si tratta di una sentenza d’appello e non di Cassazione, tolta la prescrizione, la sentenza potrebbe – nel caso in cui fosse stato presentato ricorso – essere emessa fra qualche centinaio di anni.
Che dire del caso di questo lavoratore, che per veder riconosciuto un infortunio e l’invalidità al 50%, con il diritto alla relativa rendita INAIL, ha impiegato 19 anni? Certo, gli è andata bene, se fosse stato invalido al 100% mi chiedo come avrebbe vissuto per tutto questo tempo, ma di questo poco importa. L’importante è cancellare la prescrizione.
E questo finanziere, assolto 19 anni dopo? Di lui non sappiamo per quanto tempo fu sospeso dal lavoro né come ha vissuto in quegli anni senza stipendio…
Continuando la ricerca, mi imbatto ancora in un caso di Appello dopo 19 anni. Un processo che ha visto un imputato già defunto e uno prescritto. Giustizia è fatta!
In compenso, a volte, le notizie sono buone, come nel caso dei vincitori di un concorso che, grazie a una sentenza d’Appello (anche questa non cassata) hanno potuto prendere servizio dopo 19 anni, quando ormai prossimi alla pensione.
Mi fermo qui, non oso immaginare se continuassi la ricerca, magari partendo da dieci anni dopo l’evento per arrivare ai trenta successivi.
Per fortuna, però, non sempre le cose vanno così, non sempre si può dire di “giustizia lumaca”. A smentire quello che ormai sembra diventato un pensiero comune, qualche magistrato virtuoso, capace di supplire ai tanti deficit dell’amministrazione della giustizia.
Basti pensare alla solerzia e alla diligenza con la quale si può agire dinanzi una querela di parte, seppur per un reato poco considerato, qual è la diffamazione. È il caso di una querela presentata da un poliziotto, approdata al tavolo di un Procuratore capo nella stessa giornata, e lo stesso giorno affidata alle cure di un Pubblico Ministero che, già l’indomani, provvedeva a iscrivere al registro degli indagati gli autori del crimine. Da non crederci? Eppure è così! Quando la giustizia vuole, conosce i tempi nei quali agire… e guai a chiedersi il perché…
Per il processo a cui fa riferimento l’articolo de La Stampa (riportato al primo link) evidentemente si è accelerato l’iter processuale per arrivare in Appello (19 anni dopo la sentenza di primo grado) prima che si prescrivesse il reato dopo 22 anni. Per sette anni gli atti hanno dormito negli uffici della corte d’Appello – riporta il giornale – ma sono certo che adesso, con l’urgenza affinchè non vada in prescrizione, anche la Cassazione riuscirà a trovare il tempo per emettere sentenza definitiva. Non so come abbiano fatto gli imputati e gli avvocati, nel frattempo defunti, a ritardare il processo così tanto da sperare che i reati venissero prescritti (come sostengono i fautori dell’abolizione della prescrizione). Mi chiedo però se utilizzando gli stessi espedienti non potevano far slittare anche la data della loro dipartita…
Questa è l’Italia, quella della giustizia trentennale e del doppio binario…
Gian J. Morici