La decisione di Mattarella di non sciogliere il Consiglio Superiore della Magistratura sconvolto dalle vicende del c.d. “caso Palamara”, ma di rattopparlo con l’elezione di due Consiglieri in sostituzione dei dimissionari Spina e Lepre ha, proprio con la prima candidatura ad uno dei posti in palio, evidenziato che il rimedio è peggiore del male.
Per sostituire dei dimissionari, coinvolti in beghe e chiacchiericci per l’occupazione del posto direttivo, si candida il protagonista della più sfacciata, vergognosa operazione di condizionamento per una nomina ad un posto in un Ufficio Giudiziario pretesa ed ottenuta dal protagonista di quella vicenda che oggi si candida con dichiarazioni che si stenta a credere possano essere fatte proprio da lui, primatista indiscusso di maneggi per un posto alla Procura Nazionale Antimafia, e per giunta, con l’applicazione alla Procura di Palermo di sua provenienza, così da figurare in trasferta rimanendo al suo posto.
A Nino Di Matteo l’offerta della candidatura è venuta dalle correnti di Davigo, già nel “pool di Mani Pulite”, noto per le sue dichiarazioni sulla presunzione universale di colpevolezza. Naturalmente “grande moralizzatore”.
In un’intervista (non a caso) al “Fatto Quotidiano”, il “Cittadino di Cento Città” espone un programma “alla moda”, contro le correnti (le altre) dell’A.N.M., “divenute “cordate di potere”, non solo interne ma anche esterne alla Magistratura” etc. etc.
Anche se le elezioni suppletive al C.S.M. non possono formalmente essere considerate parte del “caso Palamara”, è da questo che sono derivate le dimissioni alle quali si “rimedia” con le elezioni “suppletive” che si terranno in ottobre.
Il “Caso Palamara”, che, poi non è affatto un caso né tanto meno cosa limitata al comportamento di Palamara è, in sintesi, lo scandalo di maneggi tra Magistrati dell’A.N.M. e politici (anche ex magistrati) per l’assegnazione di posti al vertice di importanti Uffici Giudiziari. Brutta cosa, è vero. Uno scandalo. Che io, però mi rifiuto di considerare solo riconducibile ad una “questione morale”, perché, in realtà si tratta di una questione di ruoli e funzioni istituzionali e costituzionali.
Chi si candida per “rimediare” a questa sconcertante situazione, per una nuova vita del C.S.M. che faccia dimenticare (!!!) la bruttissima pagina?
Si candida il protagonista della più sbracata, teatrale e, francamente indecente corrida per un posto ambito da un magistrato, per un passo della sua carriera.
La differenza con la bagarre evidenziata dal “caso Palamara”? Quest’ultimo si è concretato in un maneggio di altri magistrati e di qualche uomo politico. Il caso del “moralizzatore” Di Matteo è, invece, quello di chi ha fatto ricorso all’”azione popolare”, alle “truppe dei fans” organizzate di Palermo, al loro leader, il guru con la croce in fronte Bongiovanni, alla ben organizzata caccia alle cittadinanze onorarie in tutta Italia (sempre su proposte 5 Stelle).
E alla imposizione come verità di Vangelo di una fantomatica (fortunatamente) “condanna a morte” emessa, se non “coram populo”, coram agenti di custodia dalla buonanima di Totò Riina. Una condanna a morte considerata titolo assoluto di precedenza per un posto alla Procura Nazionale Antimafia di Roma, titolo per ottenere la scorta più numerosa ed efficiente di quella del Presidente della Repubblica, con un’auto superblindata munita di speciale marchingegno antibomba telecomandata.
Tutte misure di sicurezza che non hanno impedito al futuro candidato al C.S.M. di scorrazzare in tutta Italia, presumibilmente con la scorta speciale.
Oggi il candidato Nino Di Matteo parla di magistrati dediti silenziosamente al loro lavoro. Ma il silenzio non è stato per anni il suo atteggiamento. E la collezione di cittadinanze onorarie, a lui attribuite “perché condannato a morte dalla mafia”, non sono state acquisite senza un certo darsi da fare. Il tutto con la conseguenza che è stato assai poco il tempo disponibile per dedicarsi al lavoro (più volte Di Matteo si è espresso quasi con dileggio per il lavoro “ordinario” nella sua Procura di Palermo che lo “distraeva” dai grandi compiti a lui affidati dalla storia!!!!).
Le beghe per la Procura di Roma sono certo disdicevoli e vanno represse ed impedite.
Ma il “movimento politico” imbastito su dati sostanzialmente falsi a seguito, guarda caso, della partecipazione alla realizzazione del più clamoroso errore giudiziario della storia italiana consumato con la sentenza per l’assassinio Borsellino sulla base delle dichiarazioni intermittenti di un falso pentito (falso “come un biglietto da tre dollari” come dicono gli Americani!!!) imbastito con rapporti instaurati dal guru Bongiovanni etc. etc. sono fatti ancor più gravi di quelli contestati ai protagonisti del “caso Palamara”. Che, al paragone è una sciocchezzuola.
Certo, i fatti di questo caso e le loro notizie non sono provenienti da più o meno noti portavoce di qualche Procura.
Non risultano da intercettazioni telefoniche. Perché sono avvenuti sotto gli occhi di tutti.
In questo momento leggo sui giornali che l’A.N.M., che è una associazione privata e che quindi non ha diritto di “regolare” l’eventuale “incandidabilità” al C.S.M. che la legge attribuisce a tutti i Magistrati, volendo “sfilarsi” dalla situazione in cui si è cacciata con le sue intricate beghe, ha dichiarato “non candidabili” tutti i suoi iscritti con cariche associative.
Così con una misura apparentemente (dato il momento) anticorrentizia, essa spiana la strada a magistrati che si sono fatti una popolarità con sgangherate prese di posizione politica, scenate, esibizioni mediatiche.
E’ una mossa che sembra fatta apposta per spianare la strada ad un tanghero che sia stato capace di farsi applaudire a spese dell’obiettività della giustizia.
NINO DI MATTEO HA COSI’ SERIE POSSIBILITA’ DI SUCCESSO.
Da una cattiva politica all’antipolitica fasulla ed imbrogliona.
Contento Presidente Mattarella?
Avvocato Mauro Mellini
Ex componente del C.S.M.
28.06.2019
P.S. E’ disponibile a richiesta corredata di indirizzo di posta elettronica, l’opuscolo risalente allo scorso anno “Cittadino di Cento Città” su Di Matteo.
IL C.S.M. SAPEVA TUTTO
Catanzaro, 24 giugno 2019
Racc. A.R.
Al Consiglio Superiore della Magistratura
Piazza Indipendenza n. 6
00185 – ROMA
Io sottoscritto Avv. Enrico Brogneri (cod.fisc.: BRGNRC43R14I095M) a suo tempo ho diretto all’intestato C.S.M. l’allegato esposto 19.8.2016.
Dall’esame è poi scaturito il provvedimento che qui trascrivo ” … con riferimento alla Sua richiesta, pervenuta in data 15.2,2017 prot. n.CSM 7941/2017, concernente l’esposto già trasmesso in data 31.8.2016 prot. CSM n.48051/2016, Le comunico che il Comitato di Presidenza, nella seduta del 7 ottobre 2016, ha deliberato di prenderne atto non essendovi provvedimenti di competenza consiliare da adottare …”.
In estrema sintesi, col detto esposto mi dolevo per una lunga serie di episodi caratterizzati da sviste, abusi e falsità, ma anche da protervie e scorrettezze degli avversari che mai sono state censurate dai giudicanti. Ovviamente, l’avvocato Mario Scaloni, mia controparte, ha potuto avere gioco facile in tutte le cause che avevo contro di lui intrapreso nei diversi gradi, e ciò nonostante l’evidenza delle mie buone ragioni. Pareva, insomma, che le mie domande contro il predetto avvocato Scaloni fossero sempre segnate dalla malasorte, una strana maledizione. Avevo evidenziato tra l’altro nel suddetto esposto come mi tornasse strano che giudici di provata esperienza potessero essere incorsi in ripetuti inspiegabili errori. I fatti, in fondo, risultavano abbastanza chiari, anche nei loro dettagli, ed erano di una tale evidenza, sia in fatto che in diritto, da non richiedere particolari lambiccamenti per orientarsi. C’era insomma qualcosa di anormale, ed è solo per questo che nello stesso periodo ho ritenuto opportuno presentare due separati esposti alla Procura della Repubblica di Catanzaro: il primo in data 19.10.2015, in via preventiva, confidando nel fatto che una tempestiva indagine avrebbe potuto prevenire e impedire che altre ingiustizie fossero compiute in mio danno; il secondo, in data 27.7.2016, a riprova dell’esistenza di una regia occulta sempre pronta ad alterare il normale svolgimento e l’esito dell’attività giudiziale.
L’ipotesi di un intervento della politica sui giudici, stante lo strano richiamo di Scaloni ai fatti di Ustica, e soprattutto alla luce di quel che purtroppo sta emergendo a proposito di alcune assurde commistioni, non sembra un azzardo.
Comunque, l’accaduto non potrebbe mai essere completamente giustificato da un ipotetico “superiore interesse”. Questo perché i magistrati devono sempre saper discernere un eventuale uso improprio della scriminante e, soprattutto, devono saper resistere ad ogni sollecitazione, magari trovando soluzioni accomodanti, senza mai arrecare grossi danni a chi, come lo scrivente, pur risultando esente da responsabilità, ha avuto l’unico torto di aver fatto il proprio dovere civico rendendo una testimonianza pericolosa. Nel caso in esame, invece, non mi pare che i giudici siano stati tutti capaci di fronteggiare al meglio la situazione, e non sempre per loro personali responsabilità. Il loro problema invero era legato alla presenza, tra i difensori di Scaloni, di un personaggio dalle grandi capacità, un giurista di indubbio spessore che ha avuto il difficile compito di doversi barcamenare tra l’oggettiva verità rappresentata dalla mia domanda giudiziale e l’assurdo offensivo contenuto degli atti di difesa predisposti dagli altri suoi colleghi di Ancona, attività queste che ha poi dovuto sottoscrivere e condividere in udienza. Si tratta del dott. Fabrizio Hinna Danesi, un ex altissimo magistrato che per lunghi anni ha ricoperto, da pensionato, la carica di Direttore generale del Ministero di Giustizia e che – improvvisamente – è stato chiamato a svolgere un nuovo compito, un compito che gli ha richiesto di presentare senza indugio la necessaria domanda di iscrizione all’Albo degli Avvocati di Roma. Io sono così rimasto la vittima sacrificale di Ustica. Una condizione che non ho mai accettato e che non intendo accettare nonostante le spaventose “sanzioni economiche” che – per Ragioni di Stato – mi sono state riservate per indurmi al silenzio.
Per quanto precede, chiedo che la situazione sia ora riguardata per verificare:
A)- se la nomina dell’avvocato Fabrizio Hinna Danesi nella difesa congiunta di Scaloni sia stata concordata per indurre strategicamente nei giudici timore reverenziale;
B)- se è compatibile la professione di avvocato da parte di un ex magistrato che, per la funzione rivestita in passato di Direttore generale, ha avuto e continua ad avere un’assidua frequentazione della sede ministeriale.
Per quanto possa occorrere, in aggiunta alle tante stranezze evidenziate nell’esposto allegato, mi preme segnalare:
1)- che la Procura di Catanzaro ha stranamente tardato di ben due anni a trasmettere alla competente Procura di Perugia il secondo esposto (e di ciò si sta occupando la Procura di Salerno);
2)- che il predetto tardivo inoltro ha di fatto impedito al PM di Perugia di effettuare una corretta valutazione dei due esposti in un unico contesto.
Con osservanza.
Avv. Enrico Brogneri
Allegati
– Copia esposto diretto al C.S.M. in data 19.8.2016;
– Copia attestato del 3.12.2018 della Procura della Repubblica di Catanzaro, dal quale emerge la tardiva trasmissione del secondo esposto alla competente Procura della Repubblica di Perugia.