
Palermo. A 45 anni esatti dall’omicidio di Piersanti Mattarella, presidente della Regione Siciliana assassinato da Cosa Nostra il 6 gennaio 1980, la Direzione Investigativa Antimafia (Dia) ha eseguito una clamorosa misura cautelare, ponendo agli arresti domiciliari per Filippo Piritore, 75 anni, ex funzionario della Squadra Mobile di Palermo, già questore ed ex prefetto. L’accusa mossa dalla Procura di Palermo è di depistaggio delle indagini.
Al centro della nuova inchiesta, che l’Ufficio guidato da Maurizio de Lucia definisce di “specifico interesse pubblico”, vi è il mistero del “guanto scomparso”, un reperto di primaria importanza trovato a bordo della Fiat 127 usata dai killer e mai repertato né sequestrato. Un guanto di pelle scura, la cui esistenza era nota fin da subito, tanto da essere menzionata in un’informativa all’allora Ministro dell’Interno Virginio Rognoni.
Secondo i magistrati, Piritore, all’epoca funzionario della Squadra Mobile e presente sul luogo del ritrovamento dell’auto, è direttamente responsabile della dispersione della prova. I PM contestano che l’ex prefetto abbia intenzionalmente sottratto il guanto al regolare iter di reperta mento.
L’azione di depistaggio, tuttavia, non si sarebbe fermata al 1980. Sentito come testimone nel settembre 2024, Piritore avrebbe reso dichiarazioni rivelatesi del tutto prive di riscontro, continuando a sviare le indagini sul ritrovamento. La Procura accusa Piritore di aver agito non solo per coprire l’iniziale smarrimento del reperto, ma di aver proseguito “imperterrito a sviare le indagini attraverso false dichiarazioni”, dimostrando di essere portatore di interessi “chiaramente contrari all’accertamento della verità” sull’omicidio Mattarella.
Per giustificare la scomparsa del guanto, Piritore ha fornito una complessa ricostruzione respinta come “inverosimile e illogica” dalla Procura, affermando di aver inizialmente affidato il guanto all’agente Di Natale per consegnarlo al Sostituto Procuratore Pietro Grasso, allora titolare dell’inchiesta.
Grasso avrebbe poi disposto la restituzione al Gabinetto regionale della Scientifica.
Piritore sostiene infine di averlo consegnato con relativa attestazione a un fantomatico componente della Scientifica, tale Lauricella, per gli accertamenti tecnici.
Questa versione cozza con le testimonianze dei diretti interessati (come lo stesso Piero Grasso e l’agente Di Natale), con la prassi di repertamento dell’epoca, e con l’assenza di un agente di nome Lauricella alla Scientifica in quel periodo. Per la Procura, è illogico che una prova decisiva sia stata sballottata senza motivo tra gli uffici.
L’ordinanza di custodia cautelare getta nuova luce anche sul contesto del delitto, facendo emergere il nome di Bruno Contrada, all’epoca dirigente della Squadra Mobile e in seguito condannato per concorso esterno in associazione mafiosa.
Piritore ha ammesso di aver informato Contrada del ritrovamento del guanto. I magistrati evidenziano come Contrada, pur partecipando alle prime indagini, avesse già all’epoca dei fatti (1980) rapporti con i boss mafiosi Michele Greco e Totò Riina. Il legame personale e professionale tra Piritore e Contrada suggerisce che le indagini sull’omicidio Mattarella furono “gravemente inquinate e compromesse da appartenenti alle istituzioni” con il chiaro obiettivo di impedire l’identificazione degli autori.
Gian J. Morici