
In un panorama mediatico che assomiglia sempre più a un saloon in subbuglio, nascono gli “sceriffi” della verità.
E gli sceriffi ricordano il Far West, il nome del programma televisivo di Rai3.
La puntata di ieri sera (23 maggio 2025), era incentrata in parte sull’anniversario della strage di Capaci.
Tra gli intervistati l’avv. Fabio Trizzino, legale dei figli del giudice Borsellino, il quale ha ricordato che “nel 1999, la sentenza Borsellino-Ter, attraverso le dichiarazioni di Siino e di Brusca, si sofferma, e indica quale movente possibile, estremamente plausibile, dell’anomala accelerazione dell’esecuzione della strage (via D’Amelio – ndr), il fervente interesse del Dott. Borsellino, per quelle indagini (mafia/appalti – ndr)”.
Più realista del re, un giornalista intervistato per il quale il movente possibile da tempo è diventato l’unico possibile.
Nel ricordare l’audizione del ‘90 in Commissione antimafia, di Giovanni Falcone, dove affermò che c’era una centrale unica degli appalti gestita da Totò Riina (argomento sul quale ritorneremo riportando integralmente quanto riferito in Commissione antimafia da Falcone) ha voluto precisare che “la tesi è che parlare di mafia-appalti è depistatorio perché si vuole nascondere le vere verità, le vere piste che non sono mai state vagliate. Ad esempio la pista nera… la Trattativa Stato-mafia…” Alla domanda se è vero che queste piste non sono state vagliate ha risposto: assolutamente no!
Una secca smentita persino a quanto affermato dal colonnello De Donno nel corso dell’audizione di giorno 13 in Commissione antimafia: Io sono convinto di quello che diceva Giovanni Falcone, che non esisteva un terzo livello, intendendo un livello sovraordinato gerarchicamente a “Cosa nostra”. Esistono però una serie di convergenze di interessi, esistono una serie di situazioni, tra cui gli appalti pubblici, in cui difendendo le attività di uno, automaticamente si difendono gli interessi degli altri, perché il sistema è interconnesso tra “cosa nostra”, imprenditoria e politica. In varie affermazioni Ciancimino sosteneva esattamente che secondo lui dietro alcuni omicidi eccellenti, dove probabilmente dietro qualcuno c’era anche lui stesso, esistevano decisioni prese altrove dalla Sicilia, e che per una serie di convenienze venivano fatte eseguire poi a Palermo e quindi diventavano delitti di mafia. Tutto questo è quello che poi nel libro noi un po’ lamentiamo, cioè il fatto che questa ipotesi investigativa non fu adeguatamente sviluppata e investigata e rimane quindi a tutt’oggi qualcosa di non dimostrato”.
Un giornalista investigativo capace di smentire anche quanto De Donno ha lamentato in Commissione antimafia.
Ma v’è di più. Persino quanto affermato da Giovanni Falcone in Commissione antimafia nel ’90 (artatamente ignorato dallo sceriffo della verità di Far West), a questo punto dovrebbe essere messo in discussione, e in particolare l’audizione dello stesso nel 1989, nel corso della quale parlò dei delitti eccellenti.
Audizione del 1990:
Falcone. Veniamo ora all’omicidio Mattarella. Innanzitutto, vorrei rifarmi a ciò che ha detto l’onorevole Mannino.
In effetti, anch’io, come tanti altri colleghi della Procura e dell’Ufficio istruzione, sentivo il compianto consigliere Rocco Chinnici parlare di una sua particolare ipotesi di lavoro (che comunque non mi aveva mai esplicitato), secondo cui aveva compreso tutto ciò che stava accadendo. Devo dire che si trattava di un’ ipo tesi tutt’altro che peregrina. Si sarebbe trattato, cioè, di omicidi “eccellenti” che sono in un certo modo apparentemente scaglionati nel tempo, ma che in realtà si inseriscono in vicende di dinamiche anche interne alla mafia e che possano restringersi in un ben individuato arco di tempo che va dal 1978 (omicidio di Michele Reina) al 3 settembre 1982 (omicidio di Carlo Alberto Dalla Chiesa), anche se il delitto Dalla Chiesa sarebbe più opportuno, alla luce delle nostre indagini, tenerlo fuori da questa dinamica, poiché l’omicidio importante, l’omicidio di spicco, l’omicidio che si inquadra in un determinato contesto dovrebbe essere, secondo me, quello di Pio La Torre.
Il periodo che va dal 1978 al 1982 coincide con il massimo degli sconvolgimenti interni a Cosa Nostra.
Spiegherò subito perché ritengo importante questo collegamento.
Se tutto questo è vero, debbo dire che di quanto affermava il Consigliere Chinnici prima della sua morte non abbiamo trovato traccia negli atti processuali e nemmeno mi risulta in concreto quale ipotesi di lavoro coltivasse, perché per gli omicidi politici la gestione di questi processi era esclusiva di Chinnici (credo sia noto a tutti).
Qui vorrei, non per spezzare una lancia in nostro favore, ristabilire i tempi delle vicende, perché altrimenti si potrebbe dire: in dieci, undici anni di indagini che cosa si fa?
Non si fa nulla? Si lasciano ammuffire le carte? Non è così.
Rocco Chinnici fu ucciso il 29 luglio 1983 e le indagini vengono proseguite, per quanto riguarda gli omicidi Mattarella e La Torre, dal consigliere aggiunto Motisi e dal giudice Miccichè. Questo avvenne anche per il delitto Reina. Tutta questa parte degli omicidi politici (ecco ciò che volevo puntualizzare) anche dopo l’arrivo del consigliere Caponnetto e dopo la creazione del pool, queste indagini furono seguite pressoché esclusivamente non dai giudici del pool. Noi abbiamo potuto cominciare ad occuparcene soltanto dopo ma c’era un motivo perché, tra l’altro, era in corso la redazione di quella enormemente complessa sentenza del cosiddetto “processo contenitore”.
Quindi, in buona sostanza, abbiamo potuto occuparci degli omicidi politici (noi del pool) soltanto dal marzo-aprile 1986 e credo che da allora certi passi avanti sono stati fatti.
Vorrei cominciare dall’omicidio Mattarella e dalla prima domanda relativa a Benedetto Galati. Qui bisogna stare molto attenti perché si tratta di vicende estremamente complesse e di una perfidia unica. Se non si riesce a calarsi in queste realtà, si corre il rischio di essere immediatamente deviati verso risultati di tutt’altro genere,
Noi, quando interviene Galati, eravamo al punto in cui stava faticosamente emergendo la realtà estremamente singolare di Cristiano Fioravanti, che era passato attraverso approssimazioni progressive da un convincimento che il fratello Valerio fosse coinvolto nell’omicidio Mattarella alla affermazione sicura, convinta perché diceva che era stato il fratello stesso a dirglielo. Cristiano Fioravanti ci diede anche la spiegazione: si era deciso a dire quelle cose perché suo fratello negava di essere l’autore della strage di Bologna e dell’omicidio Mattarella. Egli diceva: “Io so per sicuro, perché me lo ha detto lui, che ha partecipato all’omicidio Mattarella, Quindi, se ammette – a seguito delle mie accuse – di aver commesso l’omicidio Mattarella, è responsabile di aver commesso questo omicidio ma è estraneo alla strage di Bologna; se negherà ancora entrambi i crimini vuol dire che è coinvolto in entrambi”. Vi rendete conto dell’estrema gravità di queste accuse e della delicatezza del problema, soprattutto in un momento in cui in contemporaneamente si svolgeva la celebrazione del processo per la strage di Bologna e si doveva evitare in tutti i modi di interferire e sovrapporsi reciprocamente nelle indagini?
Poi, ancora più a monte, a seguito delle dichiarazioni di Buscetta, c’era il mandato di cattura contro i componenti la commissione. Noi stavamo vagliando accuratamente se e in quale misura una esecuzione materiale commessa da terroristi neri potesse essere compatibile con mandanti e con ordini di natura e di marca prettamente mafiosa. Mentre eravamo intenti a sviluppare e a cercare riscontri alle dichiarazioni di Cristiano Fioravanti, sobbarcandoci la fatica non certo lieve di rivedere un po’ tutto quanto era emerso in tema di terrorismo nero e sulle dinamiche che avrebbero potuto portare ad una plausibilità delle accuse contro Valerio Fioravanti, ci viene catapultato tra i piedi Benedetto Galati e vi spiego perché ho detto catapultato.
Benedetto Galati nel febbraio 1986, come ho appreso in seguito, è stato autore di una telefonata per la quale un signore chiedeva di incontrarsi con me perché doveva darmi notizie molto importanti su Michele Greco. Ovviamente non sono andato, ma ho informato · il comandante del Gruppo due dei carabinieri di Palermo, il colonnello Di Gregorio, perché vedesse di procurarsi un contatto con questo signore.
Il contatto avvenne e si trattava appunto di Benedetto Galati, figlio del fattore della tenuta Favarella di Michele Greco.
In quel contesto, dopo essersi rassicurato sulla qualità del suo interlocutore (che anzi riteneva fosse uno dei giudici del pool di cui facevo parte anch’io), cominciò a fornire delle notizie estremamente importanti e rilevanti che portarono, nel marzo 1986, non solo all’arresto di Michele Greco, ma all’arresto di tutta una serie di personaggi di estrema importanza nel gotha mafioso palermitano e dimostrandosi di una precisione assoluta. L’ultimo arrestato, Nicola Prestifilippo, venne arrestato proprio vicino agli alberi di mandarino che Galati aveva detto si trovassero nella tenuta di Michele Greco. Dico questo per sottolineare quanto fosse ritenuta attendibile la collaborazione di Galati il quale, in quel contesto, riferì ai carabinieri tutta una serie di vicende criminose di enorme peso attribuibili alla mafia. Queste vicende non furono riferite subito dai carabinieri, ma è mio assoluto convincimento che se ciò è avvenuto – e purtroppo è avvenuto – è stato esclusivamente per la buona fede e la buona volontà degli ufficiali in questione che, tutti presi dall’impegno di raggiungere lo scopo primario della cattura dei latitanti, pensarono di poter rinviare ad un tempo successivo l’attività investigativa e la redazione delle relazioni di servizio. Indubbiamente, sotto un profilo astratto, formale, è censurabile questo comportamento e, difatti, ha provocato l’inizio di un procedimento penale nei confronti di due ufficiali dei carabinieri per omissione di atti di ufficio; il procedimento si è concluso, però, con una sentenza di proscioglimento perché il fatto non costituisce reato (in loro non c’era nessuna malafede).
Bene, questa premessa era necessaria perché in quel contesto di estrema attendibilità del Galati emerge, dopo la sua uccisione a Bagheria nell’ottobre del 1986, che egli aveva detto a uno dei due ufficiali dei carabinieri, il capitano Pascali, che autore dell’omicidio Mattarella era stato lui stesso e che aveva guidato l’autovettura a bordo della quale vi erano Mario Prestifilippo e Giuseppe Lucchese (il personaggio recentemente arrestato). Questa era una dichiarazione di notevole gravità sia perché resa da un personaggio sicuramente attendibile, ma soprattutto perché era in assoluto contrasto con quanto fino a quel momento ci aveva detto Cristiano Fioravanti.
Ci siamo trovati così di fronte ad una doppia difficoltà: in primo luogo di non poter riscontrare presso il Galati quanto era a sua conoscenza, posto che dalle sue dichiarazioni risultavano vistose contraddizioni con quanto era accaduto in realtà a livello di modalità di esecuzione.
Occorreva comprendere se queste contraddizioni non fossero da ascrivere a cattivo ricordo dell’ufficiale dei carabinieri o a un tentativo di depistaggio da parte del Galati. Verso questa seconda ipotesi ci siamo subito diretti quando, interrogato nuovamente Cristiano Fioravanti, abbiamo appreso che quest’ultimo era a conoscenza – glielo aveva detto il fratello – che un mafioso stava collaborando. Tale fatto non era stato divulgato in alcun modo e quindi ci allarmammo. Ma ancor più allarmante fu l’individuazione di un altro personaggio tuttora vivo, in contatto con il Galati: detto personaggio confermò ai carabinieri tutti i nomi e i fatti riferiti dal Galati di persone appartenenti – cosa a mio avviso singolare – al gruppo di Michele Greco. Dalle dichiarazioni del Galati, è come se i corleonesi non fossero mai esistiti; lo stesso è accaduto nel caso del teste amico del Galati. In seguito si è scoperto che questo teste era cugino di Bartolomeo Pellegrino, a sua volta cugino di Scaduto Bartolomeo, il quale era cugino di Leggio che è stato anch’ egli ucciso; sia Scaduto che Leggio erano parenti dei corleonesi; Scaduto si recava continuamente nel carcere di Palermo per contatti con il Leggio.
Tutto questo ci ha chiarito che la manovra che ha portato all’arresto di Michele Greco è avvenuta all’interno della mafia ad opera di gruppi avversari: se non fosse intervenuto un aiuto dall’interno della mafia, Michele Greco, considerato dove si era sistemato, non avrebbe mai potuto essere arrestato. Per questo motivo ci hanno preoccupato ancor di più le notizie riferite casualmente dal Galati ai carabinieri. Oosto che il Galati era un depistatore, si è rafforzata perciò la convinzione di seguire la pista del terrorismo nero quale esecutore materiale. La tesi esposta nel nostro mandato di cattura, peraltro conforme ai risultati di un’analisi dei documenti da noi forniti all’ufficio dell’Alto commissario, è la seguente: sotto il profilo delle risultanze emergenti dalle indagini sul terrorismo nero, le modalità dell’omicidio Mattarella sono sicuramente compatibili; sotto il profilo della compatibilità fra l’omicidio mafioso affidato a personaggi che non avrebbero dovuto avere collegamenti con la mafia, è emersa una realtà interessante e inquietante. Il 1980 ha rappresentato il momento più acuto di quella crisi che sarebbe poi sfociata nella guerra di mafia: da un lato vi erano Bontade e Inzerillo (Badalamenti era stato già buttato fuori da Cosa Nostra) mentre dall’altro vi erano i corleonesi. Un dato è certo ed è stato confermato anche da Marino Mannoia recentemente: questo omicidio non avrebbe potuto essere consumato senza il benestare di Cosa Nostra. Mannaia ha fatto un esempio che mi sembra assolutamente chiaro: quando abbiamo un omicidio e non si sa esattamente che cosa sia avvenuto e perchè quella persona è stata uccisa, in seno a Cosa Nostra succede il finimondo perchè ovviamente ognuno cerca di capire da dove è partito il colpo. Nel caso dell’omicidio Mattarella tutto era tranquillo; Michele Greco si era limitato a dire di non sapere chi fosse stato, senza per questo affidare indagini ad alcuno. Questo fatto era stato confermato ancor prima da Buscetta, il quale trovandosi in permesso a Palermo nel marzo 1980 – a pochi mesi dall’uccisione di Mattarella – chiese a Greco che cosa fosse accaduto e come risposta ricevette che non si sapeva che cosa fosse esattamente accaduto. Tutto questo è assolutamente incompatibile con una vicenda interna a Cosa Nostra di enorme gravità.
È chiaro perciò che vi è una matrice mafiosa confermata un po’ da tutti, ma perchè questo omicidio non viene eseguito da mafiosi? Marino Mannoia ce lo ha detto con estrema chiarezza: “Se Bontade avesse deciso di aderire, ci sarei dovuto andare io perchè ero io il killer di elezione di Stefano Bontade”. Il Mannoia concludeva così che non potevano che essere stati Mario Prestifilippo, Stefano (?) Lucchese, eccetera, quegli stessi personaggi indicati dal Galati. Inoltre, le fotografie di questi personaggi sono state mostrate alla vedova Mattarella, la quale ha escluso che costoro potessero essere stati coinvolti nell’omicidio.
Riallacciandomi alla domanda riguardante Contrada, nell’agosto 1980, subito dopo l’omicidio del procuratore della Repubblica di Palermo Gaetano Costa, si reca a Londra il dottor Bruno Contrada, su incarico del Questore di Palermo del tempo, dottor Nicolugia. Il dottor Contrada mostra alla vedova Mattarella la fotografia di Inzerillo Salvatore indicandolo come l’esecutore dell’omicidio.
Anche allora – come successivamente a me – la vedova Mattarella escluse categoricamente che Salvatore Inzerillo (che era coinvolto e che adesso è stato rinviato a giudizio per l’omicidio di Costa) potesse essere uno degli esecutori materiali dell’omicidio. Sul punto vi sono dichiarazioni assolutamente concordi sia del dottor Contrada, sia dell’onorevole Sergio Mattarella, sia della vedova di Piersanti Mattarella.
Ma vi è di più. Stanno cominciando ad emergere e sono giunte a maturazione risultanze ulteriori che hanno indotto l’attuale giudice istruttore – il quale poi vi riferirà – ad inviare gli atti alla procura della Repubblica per valutare se gli esecutori materiali dell’omicidio Mattarella fossero gli stessi dell’omicidio Reina, sulla base di dichiarazioni rese. E’ scritto nella deposizione di un teste, ma è la stessa vedova Reina che spontaneamente ha ritenuto di presentarsi ad un certo momento e di fare alcune dichiarazioni sulle modalità dell’omicidio: dichiarazioni veramente impressionanti quanto a convergenza con l’esecuzione materiale dell’omicidio di Mattarella. Tutto ciò è avvenuto soltanto qualche mese fa e le ulteriori iniziative sono ora al vaglio della procura della Repubblica. Comunque, se pensate che su Mattarella siano necessari ulteriori chiarimenti, ovviamente sono a disposizione.
AZZARO. Vorrei che lei mi aiutasse a capire. Torno indietro: lei ha dimostrato e spiegato molto bene questa mattina la matrice dell’omicidio Mattarella. Noi vogliamo sapere esattamente perché sia stato ucciso, non chi lo ha ucciso, anche se è estremamente importante. Lei ci parla di matrice mafiosa, cioè che il mandante dell’omicidio Mattarella è la mafia, la quale si è avvalsa di esecutori politici. Questo è il punto, ma esso deve avere una spiegazione, in maniera da far capire esattamente perché Greco alla fine mette una cortina fumogena nel delitto Mattarella . . .
FALCONE. Non è Greco.
AZZARO. Lei stesso ha detto che Greco ha dichiarato di non sapere niente di Mattarella nella cupola: forse non ho capito bene
FALCONE. Greco era consapevole.
AZZARO. Ma non è improbabile che lui stesso sapesse chi fossero esattamente i mandanti. Allora non si capisce per quale motivo logico si sia avvalso di esecutori politici, anziché avvalersi dei propri esecutori tradizionali. Quando poi emerge che gli esecutori probabilmente sono gli stessi che hanno ucciso Reina, devo capire che forse non si tratta di esecutori politici. Può darsi che vi sia una sorta di intreccio per “buttare” in politica questo delitto che invece è profondamente intrinseco alla situazione palermitana.
Se fosse così non vogliamo essere trasportati in polemiche generali sui comunisti, su questo o quest’altro partito. Vogliamo sapere se la mafia ad un certo momento, davanti ad un uomo politico che stava rivoluzionando determinate regole ha deciso di ucciderlo e con lui Reina ed altri probabilmente.
FALCONE. Noi abbiamo affrontato questa problematica nella motivazione del mandato di cattura che – vorrei ricordarlo è stato annullato dalla Corte di cassazione non perché gli indizi fossero ritenuti infondati, ma soltanto perché, essendo già Fioravanti e Cavallini detenuti per altri motivi, non si è ravvisata la necessità di emettere un ulteriore provvedimento restrittivo, secondo una certa interpretazione giurisprudenziale. Sul punto purtroppo non posso essere più chiaro perché proprio su questo le indagini sono in corso. Ma credo di poter essere sufficientemente chiaro ai fini che interessano l’onorevole Azzaro.
AZZARO. Lei dica quello che può.
FALCONE. Ci sono alcune dichiarazioni di Marino Mannoia che inquadrano proprio questo omicidio Mattarella e lo inseriscono in un contesto politico…._ mafioso di notevole interesse.
Non ho difficoltà a riferire che ancora oggi Marino Mannoia, nonostante l’evidenza, ad esempio non riesce a capacitarsi del perché non sono stati utilizzati uomini della mafia per uccidere Mattarella.
A me sta bene che sia così, perché a quel livello di importanza nella gerarchia mafiosa, Marino Mannoia non può sapere queste cose. A mio avviso – ma non credo di sbagliare questa è un’ ulteriore conferma dell’attendibilità di questo collaboratore.
Buscetta ha riferito una cosa estremamente importante.
Come ho appena accennato poc’anzi, nell’omicidio Mattarella vi era una concordia di fondo di tutta la commissione sull’eliminazione di questo personaggio, nel senso che non interessava a tutti più di tanto che rimanesse in vita; però nel momento più acuto della crisi, che poi sarebbe sfociata l’anno successivo in una guerra di mafia molto cruenta, ognuno aveva paura di fare il primo passo, e Stefano Bontade, per la parte che ci è stata riferita, aveva preferito stare alla finestra nel senso di disinteressarsi delle vicende di Cosa nostra per poter poi contestare dall’opposizione certe vicende all’interno dell’organizzazione.
Se per l’omicidio Mattarella – e questo ci è stato ampiamente confermato da Buscetta – fossero stati utilizzati killers mafiosi, in due secondi chiunque all’interno di Cosa nostra avrebbe saputo chi aveva ordinato l’omicidio del presidente Mattarella.
A ciò si aggiunga che se si delibera un omicidio del genere si deve mandare – e questa è una delle regole interne di Cosa nostra – determinati personaggi, perché altrimenti diventa una mancanza di sensibilità e di rispetto nei confronti di coloro che vanno per la maggiore in un determinato momento storico. Ecco perché Marino Mannoia ci dice subito che non possono non averlo ucciso Giuseppe Lucchese e Mario Prestifilippo, perché erano ai vertici come rapidità e bravura nell’esecuzione degli omicidi.
AZZARO. Questo non porta alla conclusione che il mandante dell’omicidio Mattarella è stato un solo mafioso?
FALCONE. Mi consenta di dire che ciò è assolutamente impossibile, perché l’uccisione di Mattarella presuppone un coacervo di convergenze e di interessi di grandi dimensioni.
AZZARO. Allora mi spieghi questo passaggio. Se loro hanno deciso come compenso di organizzazione di mandare la cupola …
FALCONE. Non la cupola, ma alcuni personaggi di essa.
AZZARO. Allora non tutti; quindi ci sarà stata una parte della mafia che non aveva alcun interesse …
FALCONE. Vi era un consenso di fondo, ma non gliene interessava più di tanto.
AZZARO. Però tutti volevano sapere esattamente che cosa sarebbe avvenuto.
FALCONE. Certo.
AZZARO. Ma allora perché una parte della mafia decise di eliminare Mattarella, ma – visto che vi era un disinteresse e indifferenza dall’altra parte – senza avvisare gli altri?
FALCONE. Bisognava indicare le ragioni per cui si uccideva una persona, quale fatto in concreto si contesta a Mattarella, quale persona del mondo politico aveva chiesto di ammazzarlo!
Le voglio dire una cosa; Marino Mannoia mi ha riferito – purtroppo non posso essere più preciso – di aver avuto un incontro con un uomo politico di rilievo, e Stefano Bontade gli avrebbe detto che se quel personaggio non si fosse comportato così come egli avrebbe preteso, sarebbe toccato a lui ucciderlo.
LO PORTO. Giudice Falcone, lei basa il suo convincimento sulla validità della pista nera …
FALCONE. Non solo su questo, ma anche su altre cose.
LO PORTO. Su ciò dobbiamo insistere, perché credo che questo presupposto logico stia alla base di tutta la costruzione processuale. Lei fa questo ragionamento, e lo ha ripetuto adesso: la mafia non può aver commissionato questo delitto ad uomini di Cosa nostra, perché negli equilibri interni il rischio di ricorrere a propri elementi avrebbe fatto esplodere duri contrasti. Quindi, quella parte di mafia che lo ha deciso, preferisce ricorrere a mani esterne per rimanere segreta l’origine del delitto.
Allora, mi domando se questa base logica sulla quale poggia la costruzione di questa inchiesta regge ad una valutazione del genere: è credibile che la mafia per non correre il rischio di essere smascherata non ricorre a propri elementi di fedelissima appartenenza, bensì ad estranei, i quali peraltro hanno già dato prova di pittoresche vicende di criminalità?
Le chiedo solo se ciò è credibile, perché se questa è la sua valutazione mi permetto di dubitare.
LANZINGER. In base agli elementi emersi recentissimamente, che individuano l’identità dell’omicidi di Reina rispetto a quello di Mattarella, nonostante queste novità voi rifareste negli stessi termini l’istruttoria riguardante quest’ultimo omicidio?
Non vi è nessun elemento che possa indurvi a riflettere in maniera diversa da quanto avete deciso fino ad ora?
La seconda domanda che vorrei rivolgerle parte da una sua ultima affermazione, e cioè che Mannaia avrebbe detto che se un personaggio politico di alto rilievo non si fosse comportato secondo quanto gli era stato indicato, sarebbe andato incontro ad una condanna a morte.
Ci può dare qualche ulteriore elemento di ragguaglio su aree o su tempi in cui queste minacce sono avvenute?
FALCONE. Ciò si è verificato antecedentemente sia all’omicidio di Reina che a quello di Mattarella, cioè nel 1977.
LANZINGER. E’ stato identificato anche il personaggio?
FALCONE. Sì. Se fosse solo questa la motivazione dell’emissione del mandato di cattura nei confronti di Fioravanti e Cavallini avremmo scambiato una ipotesi di lavoro, più o meno rispettabile e condivisibile, con degli elementi probatori.
Ci siamo invece trovati a fare il ragionamento inverso, e cioè partire da risultanze probatorie che ci portavano a Fioravanti e a Cavallini che, a nostro avviso, proprio per quelle perplessità di cui lei ha parlato, onorevole Lo Porto, ci sembravano veramente singolari; e nel corso di faticose istruttorie abbiamo trovato tutta una serie di riscontri che per brevità ometto, e che ci hanno ;portato a dover valutare il fatto che queste risultanze probatorie fossero conciliabili con una matrice e quindi con dei mandanti sicuramente all’interno della mafia, oltreché ad altri mandanti evidentemente esterni.
Quindi, direi che questa valutazione che può essere o meno condivisibile, a mio avviso sia l’unica valutazione (che ritengo fondata) che possa spiegare questo tipo di commistione. Un dato è certo: tutti i personaggi, quelli realmente importanti e senza dei quali non sarebbe potuto avvenire un omicidio mafioso di quel calibro a Palermo, nella zona di Francesco Madonia (questo non lo dimentichiamo), nessuno di questi personaggi è stato riconosciuto, ma non nel senso che è stato riconosciuto dalla vedova Mattarella ma nel senso che ha sicuramente escluso che questi personaggi potessero essere coinvolti nell’esecuzione dell’omicidio. Questo è un dato di fatto assolutamente incontrovertibile. Per converso abbiamo dei riconoscimenti quasi certi nei confronti di questi imputati; ci troviamo di fronte a delle modalità operandi che sono molto simili, in alcuni casi addirittura identiche, a quelle di questi personaggi; comunque non mi voglio dilungare su questo aspetto perchè è tutto scritto in quel documento.
Il programma di ieri sera ha offerto agli spettatori un rodeo dell’informazione, in controtendenza a Report, quasi fosse una sfida all’O.K. Corral, con tanto di battesimo di qualche sceriffo della “verità”. Peccato che la share sia stata soltanto del 2.9%, evidentemente John Wayne era tutta un’altra cosa.
E gli appalti centrale unica gestita da Totò Riina? Con il prossimo articolo, anziché ritagliare solo qualche frase di Falcone in Commissione antimafia, proporremo l’audizione integrale… sempre che qualche volenteroso sceriffo non ci arresti prima…
Gian J. Morici