
Le intercettazioni in carcere di Totò Riina, anche al regime del 41bis, hanno spesso restituito un’immagine del boss corleonese intrisa di arroganza e pretese. Tra queste, spiccano le sue affermazioni di essere venuto in possesso di un documento sugli appalti pubblici del Comune di Palermo e le sue richieste di chiarimenti a Vito Ciancimino. Secondo il racconto di Riina, Ciancimino avrebbe giocato una partita doppia per arricchirsi, motivo per cui sarebbe stato “punito” con il versamento del 30% dei suoi guadagni al capo di Cosa Nostra. L’elemento di risentimento per Riina sarebbe stata la mancata inclusione, in quell’elenco di appalti, del nome di un imprenditore catanese da lui segnalato.
Eppure basterebbe un’analisi più attenta delle date e dei ruoli politici di Vito Ciancimino per mettere in discussione la veridicità di questo racconto. È un dato di fatto che Ciancimino concluse il suo mandato di assessore ai Lavori Pubblici del Comune di Palermo nel lontano 1964. Successivamente, nell’ottobre del 1970, venne eletto sindaco di Palermo, ma la sua sindacatura fu breve e travagliata, concludendosi con le dimissioni nel dicembre dello stesso anno a causa delle proteste dell’opposizione e delle inchieste della magistratura e della Commissione Antimafia. Ciancimino rimase in carica come sindaco facente funzioni fino all’aprile del 1971.
In quale periodo Riina avrebbe obbligato Vito Ciancimino a versargli il 30% dei suoi guadagni a causa di un mancato appalto per un imprenditore catanese, se Ciancimino non ricopriva più incarichi politici di rilievo al Comune di Palermo dal 1971?
Inoltre, la posizione di Riina all’interno di Cosa Nostra fino al 1972, pur essendo una figura influente, non era quella di chi si trovava ai vertici dell’organizzazione. L’episodio del sequestro del costruttore Luciano Cassina ne è un esempio: un’azione orchestrata non solo per il riscatto, ma anche per indebolire i boss allora dominanti, Stefano Bontate e Gaetano Badalamenti. Solo nel maggio del 1974, con l’arresto di Luciano Liggio, Riina assunse la reggenza della cosca di Corleone, iniziando la sua ascesa al potere.
Considerando il periodo in cui Ciancimino non aveva più un ruolo decisionale diretto nell’assegnazione degli appalti comunali, le affermazioni di Riina appaiono più come delle “smargiassate” volte a riscrivere la storia a suo favore, di esercitare ancora una forma di potere simbolico dal carcere.
Se le affermazioni di Riina sulla presunta inaffidabilità di Vito Ciancimino e sul suo rapporto di “assoluta sudditanza” verso Cosa Nostra fossero veritiere, si aprirebbe inoltre uno scenario che getterebbe nuove ombre sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia e sugli incontri tra Mario Mori e Vito Ciancimino nell’estate-autunno del 1992.
Se Ciancimino fosse stato considerato da Riina un “infedele tirapiedi di quarto ordine”, come mai i Carabinieri del ROS, in un momento così delicato e cruciale per la sicurezza dello Stato dopo le stragi, avrebbero scelto proprio lui come interlocutore privilegiato?
Quale credibilità avrebbe potuto avere un personaggio del genere agli occhi del vertice di Cosa Nostra, tale da poter veicolare messaggi o intavolare trattative?
La narrazione di Riina, se presa per vera, imporrebbe una revisione critica delle motivazioni e degli obiettivi – o quantomeno un gravissimo errore di valutazione – che spinsero il ROS a cercare un contatto con Ciancimino,proprio in quel frangente storico.
Come mai nessun collaboratore di giustizia, nel corso di anni di indagini e processi sulla mafia, abbia mai menzionato un presunto “pizzo” del 30% imposto a Vito Ciancimino da Riina, e per di più una cifra così esorbitante rispetto alle estorsioni standard?
Un giornalismo scrupoloso e attento dovrebbe sempre verificare la coerenza interna dei racconti, consultare le date, ricostruire i contesti temporali e, se è il caso, “usare un pallottoliere” per fare dei semplici calcoli e svelare incongruenze tanto macroscopiche.
Ma tant’è, ormai una certa stampa, per fortuna non tutta, si limita a un copia/incolla di intercettazioni, verbalizzazioni di interrogatori e quanto altro, per portare acqua al proprio mulino… o a mulini di altri?
Gian J. Morici