
Palermo – Sarà ancora visitabile fino all’otto marzo l’esposizione “L’enigma della forma” delle opere pittoriche dei quattro artisti agrigentini Annamaria Bonanno, Giorgio Pagano, Gianni Provenzano e Mario Trapani.
Un progetto espositivo che ha visto una notevole presenza di visitatori alla Galleria Artètika di Palermo, dopo la precedente esposizione nella città di Naro.
“L’enigma della forma”, un percorso teorizzato dalla curatrice Gianna Panicola, per le opere pittoriche di quattro artisti la cui giusta chiave interpretativa è quella che ne è stata offerta da Massimiliano Regiani, critico d’arte e studioso di arte contemporanea:
“Quattro artisti agrigentini riuniti attorno alla figura centrale di Mario Trapani, hanno dato vita ad un gruppo che esplora il rapporto fra materia e territorio, tra sensibilità e memoria. Cercano di trovare ognuno il proprio segno pittorico, il corpo fisico e cromatico dell’opera, nel rispetto delle distinte personalità ma accomunati dalla medesima radice culturale e geografica”.

Un linguaggio dei segni e dei colori della nutrita selezione di opere in mostra, dinanzi al quale non si può non rimanere affascinati.
Tra le opere presentate, Kronos – Bitume, catrame e collage su tela, del Maestro Mario Trapani, inserita nel secondo volume della “Storia dell’arte contemporanea”, del valore stimato di 5.000 euro.
Massimiliano Regiani:
“Mario Trapani, intervistato da Maurizio Franchina per “Il Circolaccio” spiega: “Non potrei dare una definizione della mia pittura in quanto dipingo solo ed esclusivamente i miei stati d’animo. È una pittura concettuale…ogni volta che dipingo è come se dovessi andare a ritroso in una sorta di psicanalisi di me stesso, cercando di tornare ai ricordi d’infanzia”. L’Artista, che per anni ha vissuto in Germania, evoca il primo contatto tra sé – infante – e la propria terra, fatta di architetture e mandrie, di campagne assolate e ombrosi cortili barocchi. Da questi frammenti di vita l’immaginazione acquista forza e vitalità, diventa nucleo germinativo le cui onde e i cui echi si propagano in geometrie e materia fino ai limiti estremi della tela.
Gianni Provenzano, nato a Naro, imbevuto di luce mediterranea e dell’aspra geometria delle pietre sbozzate, di paesaggi riarsi e duri da cui con fatica di giorno in giorno si ricava il necessario per vivere, dipinge la tela con la medesima determinazione e forza atavica. In lui l’intera isola diventa materia espressiva, non per i paesaggi che sovente rappresenta ma per la pennellata, pastosa e asciutta, sofferta e sicura. Che sia orizzonte o volto, carta o stoffa, tutto diventa volume graffiato da colpi pazienti, labirinto di luci abbacinanti e ombre profonde. Anche nei quadri in mostra, giornali stropicciati, lenzuola abbandonate in camere silenziose, nonostante la finitezza dei soggetti si respira la vastità dell’orizzonte, di un vento pregno di sabbia dorata e leggera, che danza e cade quieta in un giorno di scirocco.
Giorgio Pagano, affascinato tanto dal pigmento quanto dalla solitudine e dalla sofferenza, vive la propria Agrigento anche attraverso la mente disorientata dei pazienti del Dipartimento di salute mentale che coinvolge in attività creative, liberandoli per un attimo dal giogo inflessibile della diversità sociale. Guarda così ai muri, alle finestre malandate, agli intonaci decrepiti, ai ritagli di cielo tra geometrie di muri e cavi elettrici sospesi nel vuoto. Tutto in lui è superamento, speranza, necessità di andare oltre conquistando l’armonia nel degrado, un viaggio della mente, un soffio di libertà senza muoversi oltre i pochi passi consentiti.
Annamaria Bonanno tratta la carta e il collage portando la narrazione dei colori ad un livello simbolico, dove il costante ritorno di strappi arancioni, caldi e rassicuranti, lasciano intuire un significato nascosto nelle composizioni. È un teatro luminoso dal cui boccascena si affacciano e passano attori di evanescente materia, congelati per un attimo nel fluire della loro vita evidente ed ermetica. Arte squisitamente femminile dove s’intrecciano molteplici piani emotivi: l’esperienza fisica e tattile, delle differenti grane e tessiture che vengono scelte dall’artista in una successione di tempi non necessariamente legati. L’urgenza di condividere se non il significato, che rimane chiuso nella sensibilità del creatore, almeno l’empatia della presenza, il barlume vitale di un sole morente che lascia calde tracce di luce e la promessa di un domani.
Da un’unica matrice, Agrigento e la sua terra, quattro germogli che hanno sviluppato una propria identità, senza tradire la memoria delle radici ma apprezzando e valorizzando l’arte come necessità, intima, di condivisione. Tutti, per come espressamente voluto da Mario Trapani, estimatori di eleganza e raffinatezza ma ognuno capace di sviluppare un linguaggio unico e personalissimo, che ha preso vita e concretezza secondo logiche interiori e insondabili: l’enigma della forma, appunto, che unisce e differenzia senza mai contraddire una sostanziale unità”.

