Testo e foto di Diego Romeo
Bella stoccata quella del direttore artistico Francesco Bellomo che è riuscito a infilare nel cartellone ( prima della definitiva psicoterapia di gruppo provocata dalla designazione di Agrigento capitale della cultura) questo serioso-beffardo testo teatrale di Angelo Longoni “Chi è io?”. Sulla scena un quartetto affiatatissimo di attori, Francesco Pannofino e figlio Andrea, Eleonora Ivone moglie del regista-autore e Emanuela Rossi che assediano ( ma restano assediati) il maturo prof Leo Mayer con valvola mitralica da controllare che “si relaziona-è scritto nelle note di sala) con alcuni dei suoi pazienti che hanno difficoltà comportamentali, relazionali, affettive e psichiche.. Questi personaggi vengono curati attraverso una psicanalisi tradizionale ma allo stesso tempo sfuggono alle regole alle quali solitamente dovrebbero obbedire perché simultaneamente sono anche i conduttori dello stesso show “Chi è io”? Ma c’è un altro piano del racconto-prosegue la nota- quello in cui Leo Mayer se ne sta andando dal mondo dei vivi non senza la sdrucciolata di un battibecco con una paziente che li sorprende avvinghiati in un abbraccio con tanto di bacio presumibilmente alla francese. Il salotto di una tv è preso in prestito all’avvio della pièce che induce alla nostalgia di robe d’altri tempi che potevano accadere nei sottofondi dei fasti felliniani di “Ginger e Fred” con i loro malinconici passi di danza profeticamente devastati dalla TV di oggi, teocratica e teopartitica più che mai. “Chi è io?” si è rivelata una messinscena seriosa e forse faticosa da ascoltare e comunque di straordinaria utilità e sollecitazione per quanti oggi vogliano distendersi sul lettino dello psicanalista e prendere in esame il rispetto politico e umano delle persone. Magari con una coraggiosa irruzione nei fondi di spesa capital-culturali che oggi svolazzano con poca meritocrazia. Di carne al fuoco Longoni e i suoi attori ne mettono parecchia, anzi a iosa, visto che la psichiatria dell’interiorità la fa da padrona per ricostruire la dimensione profonda del disagio psichico. Un esercizio necessario per le nostrane amministrazioni che in passato hanno lasciato esplodere lo scandalo del manicomio per finire alla odierna difficile assistenza dovuta ai malati psichici. Una visione di psichiatria fenomenologica che è mancata al bagaglio politico di una città che andava meglio quando nei sinedri della chiacchiera e della tangente facevano sentire la loro voce assessori-medici psichiatri di ben altra levatura.