In anticipo sui tempi previsti per non incorrere nelle sanzioni UE per debito eccessivo (l’Italia non riesce a diminuirlo con un Pil ormai stagnante e un rapporto debito/Pil che sarà superiore alle attese), lo scorso 16 ottobre il governo ha presentato la manovra di bilancio 2025.
Il contenuto della manovra, più dei precedenti, è caratterizzato da uno spirito apertamente classista. I numeri dicono, diversamente dalle bugie di Meloni e Giorgetti, che il governo ha tagliato pesantemente il welfare che, ricordiamo, è salario indiretto.
L’assalto alle condizioni di vita dei proletari e degli altri lavoratori sfruttati continuerà, secondo il programma concordato con la UE, almeno per i prossimi sette anni, seguendo una politica economica ad esclusivo servizio dei capitalisti, dei ricchi e dei parassiti.
Ecco le principali misure.
Sanità: stanziato poco più di un miliardo, senza le previste 30.000 assunzioni. L’andazzo proseguirà per il 2026 e 2027 con un rapporto della spesa/PIL che continuerà a calare per andare nei prossimi anni sotto il 6 % del PIL con gli affetti annessi, tipo i tagli per le case e gli ospedali di comunità.
Pubblici dipendenti: nell’istruzione tagli di quasi 8000 posti in organico; nel pubblico impiego taglio del 25% del turn-over che si aggiunge ad una carenza di organico di 1.200.000 dipendenti, mentre nel 2026 ne andranno in pensione 300 mila e nel 2027 circa 700 mila.
Pensioni: si peggiora la legge Monti-Fornero e si prepara l’aumento dell’età pensionabile incentivando la permanenza al lavoro fino a 70 anni. L’aumento per le pensioni minime da fame (615 euro) è di tre euro al mese!
Benefit: anziché essere aumentati come promesso saranno diminuiti. Per es. la social card “dedicata a te” passerà da uno stanziamento iniziale di 600 a 500 milioni. Questi a fronte della soppressione del reddito di cittadinanza.
Niente investimenti pubblici, invocati da Confindustria per sostenere i padroni in difficoltà dopo 20 mesi consecutivi di calo della produzione industriale. I 4,6 miliardi destinati al settore auto in crisi nera passeranno all’industria bellica aeronavale. Lo scontro fra settori capitalistici si acutizza.
I tagli alla spesa sociale sono conseguenti alla difesa dei profitti e degli extra-profitti, delle grandi ricchezze, dell’evasione fiscale che continua a essere incentivata con concordati e condoni tombali. Nulla da chiedere alla grande finanza; le banche si impegnano solamente ad anticipare il pagamento delle tasse che competono loro di norma: 3,5 miliardi che saranno destinati alla sanità nel 2026. Giusto per avere un po’ di cassa che possa evitare l’infrazione UE per lo sforamento del debito.
Nessuna ridistribuzione della ricchezza, ma solo politiche di austerità antioperaie e antipopolari. I lavoratori pagheranno di tasca propria quasi tutti i benefici derivanti dalla decontribuzione e dall’accorpamento delle prime due aliquote Irpef (flat-tax) che il governo ha attuato in favore dei redditi alti e medio-alti.
Aumenta la pressione fiscale. Va denunciata l’ingiustizia di quanto sta accadendo, ossia chi vive di reddito fisso, tra gennaio e agosto del 2024 ha pagato oltre 10 miliardi di Irpef in più. Senza contare le imposte indirette con Iva e “riordino”, ovvero aumento, delle accise sui carburanti. La riduzione del cuneo fiscale e il taglio dell’Irpef per un importo totale di 9,4 miliardi saranno partite di giro recuperate dalla fiscalità generale con l’aumento della tassazione diretta (Irpef) e indiretta (Iva ed accise), utilizzando lo stesso meccanismo del rifinanziamento della Rai per 430 milioni del 2024.
Prosegue il Superbonus fiscale fino al 130% per tre anni alle aziende che fanno nuove assunzioni, incentivi all’autoimpiego in settori strategici, tassazione agevolata per i premi di produttività. Incentivi (fringe benefit, quindi in natura) per chi accetta di sottostare alla mobilità selvaggia.
Salari: la perdita di potere di acquisto dei lavoratori e delle lavoratrici a causa dell’inflazione supera il 17%, e il 6% messo sul tavolo della trattativa dall’Aran per i lavoratori pubblici fa sì che manchi ancora l’11%.
Casa: non c’è un euro, nonostante la mancanza di case popolari e il problema degli affitti alle stelle.
Tagli agli Enti locali: nessuna risorsa per i più fragili, per i servizi educativi e in generale per tutte le attività che negli enti locali potrebbero garantire i servizi a cittadine e cittadini.
La manovra di bilancio del governo conferma l’aggressione al tenore di vita dei proletari, ma comincia ad intaccare anche alcuni strati di piccola e media borghesia, tagliando gli oneri detraibili oltre i 75.000 euro, rafforzando i controlli incrociati automatici sugli scontrini fiscali, rendendo tracciabili per la deduzione le spese per trasferte ed altro.
Nel clima di guerra e aggravamento delle lotte interimperialiste, la manovra contiene il potenziamento degli investimenti per la Difesa che nel 2025 arriverà a 32 miliardi. È l’unica voce della manovra che prevede forti aumenti netti.
La manovra di bilancio è stata varata senza neppure sentire i sindacati, a conferma dell’autoritarismo meloniano che non tiene in alcuna considerazione le organizzazioni di lavoratrici e lavoratori, pensionate e pensionati.
Contro un simile programma “blindato” della borghesia che sta conducendo un attacco di grandi dimensioni alla classe operaia, bisogna passare alla lotta senza indugi, costruendo comitati di agitazione, di sciopero, come strumenti per aggregare e trascinare allo scontro con le politiche governative più lavoratori possibile, a partire dagli operai di fabbrica, seguendo la linea di fronte unico proletario.
Tutto ciò dovrà inserirsi nello sciopero generale del 29 novembre a cui gli screditati vertici di CGIL e UIL si sono finalmente decisi. Una giornata di sciopero che riflette la pressione crescente dal basso, ma anche quella esercitata dal governo sulle burocrazie sindacali. In essa convergeranno con proprie motivazioni quasi tutti i sindacati conflittuali.
La nostra posizione è che dobbiamo approfittare delle occasioni di lotta di massa per allargare il fronte di lotta e dare vita a forme concrete di lotta come manifestazione della forza degli operai e dei lavoratori scontenti, sostenendo le rivendicazioni di classe e rivoluzionarie.
Lo sciopero generale va accompagnato da un crescendo di mobilitazioni: assemblee informative e organizzative di fabbrica e di quartiere, proteste, presidi, scioperi locali e parziali, a cui è doveroso partecipare promuovendo il protagonismo e la direzione di delegati e lavoratori avanzati. Lo stesso sciopero va reso più combattivo ed esteso possibile, praticando quelle forme di lotta che il Ddl 1660 vorrebbe mettere fuori gioco, denunciando la natura di classe di questa legge, che i vertici sindacali non hanno voluto inserire nella piattaforma di sciopero.
L’obiettivo politico non potrà che essere il rifiuto di massa della politica di austerità, dei licenziamenti, della repressione e della guerra, con la cacciata del governo Meloni. Ciò senza la pretesa di poterlo risolvere immediatamente, ma lavorando sistematicamente per rafforzare l’unità di lotta della classe operaia, ponendo la questione della necessità della rottura con il sistema vigente.
Da Scintilla n. 149, novembre 2024