Testo e foto dal film di Diego Romeo
.All’indomani della proiezione di “ETERNO VISIONARIO” ( film di Michele Placido tratto dal libro di Matteo Collura Il gioco delle parti-storia straordinaria di Luigi Pirandello) i soliti tamburi di latta preferiscono celebrarlo come prodotto fitgeraldiano-hollywoodiano e quindi come arma di distrazione di massa. Diciamolo a chiare lettere, la composizione del film di Placido è (e probabilmente sarà) l’unico evento “vero e valido” di questa Agrigento città della cultura. Evento (nato fuori dai pensieri vagabondi degli amministratori) che rimarrà eterno nella storia agrigentina e del cinema internazionale. E diciamolo pure ad alta voce che Michele Placido se lo sognava questo film se non ci fosse stata l’opera di Matteo Collura scrittore agrigentino della storia straordinaria di Pirandello. Un Placido che (per gli addetti ai lavori) transita “placidamente” dal genere “polar” del “Cecchino” e di “Romanzo criminale” a questo “Eterno visionario” furibondo kammerspiel che lega la fredda Stoccolma ai ritratti corruschi e spietati di una famiglia in un interno, al siculo disfacimento, ai carusi che vivono come maiali. E qui Marco Bellochio (di cui Placido si dice discepolo) avrebbe inserito lampi sequenziali di temperie politica (come ha fatto per esempio ne “La Balia”). Invece Placido accortamente, visto che RAI cinema lo aiuta a produrre, evita spaccati squadristi memore di trovarsi in tempi di deriva meloniana. Possiamo solo pensare che sia stata una scelta sofferta del bellocchiano Placido. Dichiarazioni sofferte ( e non da ora) sono quelle dello scrittore Matteo Collura che da agrigentino doc fa riflettere (contro le armi di distrazione) i concittadini su una Agrigento immota nei secoli, cattolicissima e democrastianissima che nuota “felicemente” nel liquido amniotico di questo governo. Una condizione databile fin dal primo referendum “monarchia-repubblica” dove Agrigento votò monarchia, restando saldamente ancorata fino ad oggi al suo brodo primordiale. Collura parla chiarissimo e già alcuni mesi fa aveva dichiarato: “avere candidato Agrigento a una simile promozione è un rischio, perché la città, sotto i riflettori che attirerà su di sé, mostrerà tutto ciò che in essa e attorno a essa non funziona o risulta inadeguato a tenere testa al suo antico passato. Come atto di buona volontà, in questi circa venti mesi che ci separano dalla proclamazione, sarebbe opportuno lavorare sui tanti disservizi, “per farne una città normale prima che capitale della cultura”.Sarò più chiaro, e per il bene che voglio ad Agrigento, dove sono nato, anche se ne vivo lontano da quarantacinque anni. È difficile immaginare come capitale della cultura una città che negli anni è stata urbanisticamente resa cieca, e mi esprimo così per dire dei tanti palazzi che nel centro abitato impediscono di godere la vista della Valle dei tempi e del mare. È difficile immaginare come capitale della cultura una città che ha sperperato cifre ingenti nella realizzazione di aree e impianti sportivi mai utilizzati e lasciati deperire nel completo abbandono.È difficile immaginare come capitale della cultura una città che non dispone di un regolare servizio di trasporto pubblico, carenza aggravata dalla conformazione del territorio cittadino, frazionato in diversi agglomerati distanti tra loro. È difficile immaginare come capitale della cultura una città “a vocazione turistica” che non ha un albergo (degno di chiamarsi tale) nel suo centro storico. È difficile immaginare come capitale della cultura una città che negli anni ha assediato i propri preziosi siti archeologici con costruzioni edili di diverso genere e ampiezza, realizzati al di fuori della legge. È difficile immaginare come capitale della cultura una città in ogni dove imbrattata dall’immondizia, e le cui strade statali e provinciali appaiono come discariche di rifiuti a cielo aperÈ difficile immaginare come capitale della cultura una città che secondo le rilevazioni del Sole 24 Ore sulla qualità della vita nelle 107 provincie d’Italia, nel 2022 risultava all’86° posto, due gradini più indietro dell’anno precedente. Mi fermo qui, tralasciando di accennare alla inesistente manutenzione del verde pubblico, alla mancanza di posteggi per le automobili, alle condizioni della rete idrica e fognaria, quest’ultima causa di grave inquinamento del mare che bagna la località di San Leone. “Adesso rimbocchiamoci le maniche per sfruttare al massimo questa opportunità”, ha detto sensatamente il sindaco di Agrigento dopo aver appreso della prestigiosa promozione della città che rappresenta. E ha esortato i concittadini a darsi da fare “per mutare le sorti turistiche della loro terra”, rendendosi “consapevoli delle bellezze di cui dispongono, per valorizzarle”. Per valorizzarle, certo, ma soprattutto per salvaguardarle da speculazioni che niente hanno a che vedere con la cultura, anche se in nome della cultura – ci dice l’esperienza – spesso vengono concepite e messe in atto. La Valle dei templi si valorizza da sola, per quello che è. Sta alla città che l’ha avuta in eredità esserne specularmente degna nella modernità. Questa è la scommessa che riguarda Agrigento e per cui mi sono sempre adoperato come giornalista culturale e scrittore”.. Dunque, a futura memoria per uscire dal nostro “pirandellismo”..