A cosa si è ridotta questa antimafia è sotto gli occhi di tutti.
Un feroce teatrino di faziosità politica, di contrapposizione manichea che nulla a che vedere con il sacrosanto diritto/dovere della ricerca di verità e giustizia.
Scontri tra fazioni contrapposte che nulla hanno di cavalleresco, contornate da penne che hanno dimenticato il nobile ruolo di ‘cani da guardia della democrazia’ per lasciarsi catturare dalle ragioni di odio personale e dagli interessi contingenti delle parti, lasciandosi avvolgere da una spirale demagogica dalla quale non riescono più a liberarsi.
La verità? Cos’è la verità se non quella del ‘noi’ che isola i ‘loro’ e li trasforma in pericolosi nemici?
È sufficiente guardare quello che accade in questo momento in Commissione antimafia per rendersi conto di come verità e giustizia finiscano con il soccombere nella lotta tra fazioni contrapposte, incapaci di affrontare un sano confronto che renda giustizia a chi ha immolato la propria vita e di restituire la verità a un popolo che – forse ormai stanco – ha persino smesso di volerla.
Incompatibilità? Una parola che sembra voler sostituire ‘abhadda kedhabhra’, l’abracadabra in aramaico, che tradotto significa ‘sparisci come questa parola’.
L’impossibilità di due fazioni di coesistere, di lavorare per un bene comune, di rispondere a 32 anni di domande, di depistaggi, di guerre.
Una condizione per la quale è accusato l’ex pm Roberto Scarpinato a seguito di intercettazioni tra lui e il suo ex collega Gioacchino Natoli, indagato per favoreggiamento alla mafia, nonché per essere stato tra i magistrati che hanno trattato la cosiddetta ‘Trattativa Stato-mafia’, in contrapposizione a chi vorrebbe l’inchiesta mafia-appalti unica causa dell’accelerazione della strage di via D’Amelio.
È in questo contesto che senza esclusione di colpi le due parti – come guelfi e ghibellini – sono pronte ad altri duecento anni di guerre.
In questo contesto si inserisce la posizione della presidente della Commissione antimafia Chiara Colosimo, facendo “appello che nessuno, che si chiami con nessun nome che non siano i figli di Borsellino che a questa Commissione si sono rivolti per richiedere verità, può dirmi cosa fare e cosa non fare perché la Commissione ha il dovere di andare fino in fondo qualunque cosa questo comporti e qualunque persona tocchi”.
Una posizione chiara, all’altezza del suo nome, che più chiara di così non poteva essere: nessun nome che non siano i figli di Borsellino può dirmi cosa fare e cosa non fare…
E in questa sorta di enclave parlamentare verità e giustizia vanno a farsi benedire dando luogo alla bagarre politica.
All’accusa – ovviamente soltanto mediatica – sulla presunta vicinanza della Colosimo allo stragista Luigi Ciavardini, ex membro dell’organizzazione eversiva NAR, fa seguito l’attacco a Salvatore Borsellino, fratello del giudice, e a Scarpinato, colpevole di aver dato a suo tempo la mano al pentito Gaspare Mutolo.
Già in precedenza, a parti inverse, erano nate inutili polemiche rispetto l’incontro tra Fiammetta Borsellino e Giuseppe Graviano.
E se la Colosimo si difende dicendo di conoscere Ciavardini “come chiunque sia entrato a Rebibbia, dove la sua associazione era fortemente presente in più reparti. Sì, come chiunque, anche qualcuno a sinistra”, per quella foto i familiari delle vittime di mafia e terrorismo hanno chiesto le sue dimissioni per conflitto d’interessi.
In attesa della replica contando quanti a destra hanno dato la mano a pentiti e terroristi, si iniziano a sfogliare gli album di famiglia.
Un album, quello della Colosimo, che ha già un nome: Paolo Colosimo, lo zio della presidente.
Paolo Colosimo, avvocato del foro romano, radiato dall’albo nel 2022, con un passato di vicinanza all’estrema destra, ex difensore dell’ex terrorista nero Luigi Aronica, di vip e ‘ndranghetisti, condannato dalla Cassazione nel giugno 2018 a 4 anni e 6 mesi, come ricorda Il Fatto Quotidiano l’inchiesta aveva anche un filone ‘elettorale’, che vedeva come protagonista proprio lo zio della presidente Colosimo.
Storie di politica e ‘ndrangheta, storie da miliardi di euro e di un avvocato che era a disposizione dell’imprenditore di destra Mokbel e di Fabrizio Arena, figlio del boss Carmine Arena ucciso nel 2004.
La Colosimo si difende: “E’ una non notizia e non lo vedo dal 2010”.
Ma per i 5S si tratta comunque di incompatibilità rispetto il ruolo che ricopre.
E mentre il sangue – fortunatamente solo mediatico – imbratta l’arena, c’è chi fa il paragone tra la presidente della Commissione antimafia e Giovanni Falcone…
“Colosimo è finita dentro lo stesso ‘gioco troppo grande’ che isolò Falcone…” titola il Dubbio.
Magari bastasse dire abhadda kedhabhra…
Gian J. Morici
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