Precursore di nuovi metodi d’indagine fu Giovanni Falcone che si avvalse degli accertamenti bancari come strumento di indagine.
Seguendo quel principio che diverrà il suo motto (“Segui il denaro troverai la mafia”), avviò collaborazioni dirette con magistrati di altri Paesi in attività di cooperazione internazionale.
Falcone mise fine alle tante assoluzioni per insufficienza di prove che per troppi anni avevano caratterizzato i processi alla mafia siciliana, arrivando alle storiche condanne del Maxiprocesso.
Insegnamenti dai quali oggi ci si discosta tornando a cercare il reato (traffici, appalti ecc) allontanandosi da quello che è l’anello debole della catena: Il riciclaggio!
E mentre noi torniamo indietro di oltre 30 anni, le mafie evolvono.
Il termine “camaleontismo”, parlando di mafie, si riferisce alla capacità di queste organizzazioni criminali di mimetizzarsi nel contesto sociale nel quale sono presenti, confondendosi con l’ambiente circostante, infiltrandosi nell’economia legale attraverso la quale reinvestono i proventi da attività illecite.
Dei metodi operativi utilizzati per comunicare, anche attraverso l’uso dei social, abbiamo già scritto – in particolare di quelli utilizzati dalla ‘Ndrangheta – evidenziando come le organizzazioni criminali siano molto attive nella ricerca del consenso da parte della popolazione.
La sponsorizzazione di eventi culturali, sportivi, religiosi, il volontariato, l’impegno nel sociale, la promozione di una cultura in favore della legalità, diventano gli strumenti per infiltrarsi nel tessuto sociale e influenzare le decisioni politiche e amministrative.
Organizzazioni come la ‘Ndrangheta si sono da tempo infiltrate in territori che non sono quelli in cui inizialmente operavano.
Tanto per citare un esempio, il caso del Veneto, che con le sue numerose imprese rappresenta un terreno fertile per l’ingresso delle ‘ndrine nell’economia legale, grazie a imprenditori compiacenti e professionisti collusi che hanno favorito le operazioni di riciclaggio.
La presenza delle ‘ndrine emerge anche da recenti operazioni, come “Fiore Reciso”, “Camaleonte”, “Avvoltoio”, “Valpolicella” e altre.
Paradossalmente, in Sicilia, i rapporti più controversi sono stati quelli tra un’imprenditoria collusa con ‘Cosa nostra’ e le istituzioni, che in cambio di qualche ‘soffiata’ su piccoli criminali hanno garantito per diversi anni – a volte anche decenni – una facciata di legalità che ha permesso a questi imprenditori di portare avanti i propri affari in danno di un’economia sana e della collettività.
Le attività investigative, talvolta svolte da funzionari facilmente ingannabili dalle semplici apparenze, hanno permesso alla parte meno limpida del mondo imprenditoriale di assurgere al ruolo di paladini della legalità, tanto da consegnargli la patente di antimafiosi e definirli ‘imprenditori coraggiosi’.
Se questa è stata fino a poco tempo fa la realtà siciliana – ma probabilmente lo è ancora e non è solo siciliana – in assenza di ‘ndranghetisti che si avvalgono di questi sistemi, le ‘ndrine hanno adottato la tecnica di infiltrare i promotori di legalità replicando i loro stessi messaggi, ma veicolando al contempo messaggi diretti all’opinione pubblica in favore dei loro detenuti.
Un messaggio che viste le condizioni carcerarie, troverebbe anche una sua logica e utilità sociale, se non fosse promosso, nel caso della ‘Ndrangheta, dalle ‘foglie’ dell’albero.
Non è difficile vedere sui social profili di chi posta immagini sacre, cita passi dei Vangeli e invoca Santi e Madonne.
Brave persone, devote e missionarie di legalità, per chi giudica all’apparenza senza comprenderne i codici.
La loro ‘antimafiosità’ è infatti soltanto di facciata.
Tant’è che si dedicano a promuovere l’antimafia occupandosi di arresti e indagini che riguardano altre mafie e non quelle del proprio paese controllato dalla ‘Ndrangheta.
È sufficiente dare uno sguardo distratto a chi commenta alcuni post o mette like, per rendersi conto di come compaiono i più ‘bei nomi’ di famiglie di ‘ndranghetisti.
Un caso?
Semplici omonimie?
Difficile però non notare come in piccoli comuni come Africo il numero di personaggi coinvolti in vicende di ‘Ndrangheta sia sproporzionato rispetto al numero di abitanti (2.700).
Non dobbiamo inoltre dimenticare che la ‘Ndrangheta si eredita e che molti fidanzamenti e matrimoni sono combinati.
Non è dunque difficile trovare coppie i cui cognomi rievocano appartenenze familiari riconducibili alle ‘ndrine.
Si possono condannare interi paesi o persone che portano un cognome ‘pesante’?
Sicuramente no, ma non si può non far caso a coincidenze che lasciano pensare a rapporti parentali, amicizie o semplici frequentazioni, specie quando riguardano chi promuovere una legalità di parte, escludendo tutto ciò che riguarda la ‘Ndrangheta.
Tutti aspetti che in Sicilia sarebbero sufficienti a emettere centinaia di interdittive antimafia.
E se realmente non fosse tutto oro quel che luccica?
Gian J. Morici