Chi da bambino non a guardato con occhi sognanti una bolla di sapone?
Un mondo di colori, di riflessi di ciò che ci circonda.
Quel mondo che conteneva e contiene i nostri sogni, i nostri umori, le nostre speranze, fin quando non si dissolve in quel nulla primordiale da cui la bolla è nata.
Forse è solo un barlume di nostalgia, la voglia di volare in un sogno che ci porti lontano da ciò che ci circonda in questa torrida estate, in attesa di dissolverci anche noi come una bolla di sapone.
Chiusi nella nostra bolla preferiamo non guardare quello che accade fuori.
Altre bolle.
Altri colori riflessi.
Altre illusioni.
Altre verità.
È tutto un fiorire di pensieri e riflessioni, paure e desideri.
Gioacchino Natoli, magistrato in pensione, è indagato per favoreggiamento alla mafia e calunnia.
Accusato di aver voluto insabbiare una vecchia inchiesta nata su input della procura di Massa Carrara, sui Buscemi e i Bonura, imprenditori mafiosi vicini a Totò Riina.
Accusato di aver chiesto la distruzione delle bobine delle intercettazioni e quelle dei brogliacci.
Sul dossier mafia-appalti e sul ‘nido di vipere’ – come Paolo Borsellino diceva dell’allora Procura di Palermo – dalle pagine di questo giornale non abbiamo certo risparmiato le critiche, talvolta anche forti, a una certa magistratura.
Eppure, oggi, non si può fare a meno di notare il clamore mediatico su una vicenda che – seppur scandalosa se venisse appurata – sembra portare, quantomeno mediaticamente, solo a una distanza siderale dalle tante concause che portarono alle stragi di Capaci e via D’Amelio, restringendo il cerchio delle responsabilità alla sola mafia.
Ma torniamo alla vicenda delle intercettazioni, all’archiviazione di quell’indagine, ai fratelli Buscemi e alla distruzione dei nastri e dei brogliacci.
Davanti alla commissione Antimafia, Natoli aveva sostenuto che la richiesta della smagnetizzazione di quei nastri fosse dovuta al fatto che le intercettazioni sui Buscemi avevano dato ‘esito negativo’.
Dopo che lo stesso Natoli ha fatto pervenire alla Commissione un’attestazione della procura di Palermo dalla quale si evince che, nonostante l’effettiva emissione di quell’ordinanza a sua firma, quelle bobine e quei brogliacci non sono stati distrutti, ma conservati negli archivi della procura, sappiamo che da quei nastri emergono autonome notizie di reato a carico degli indagati.
Natoli dunque pur essendo a conoscenza dei reati commessi archiviò l’indagine e ordinò la distruzione delle prove?
Secondo ciò a cui vorrebbe indurre una certa stampa, sì.
Fermo restando che di logico non vi è nulla in questo Paese illogico in ogni sua forma, tantomeno nella storia giudiziaria, e che dunque appare folle la distruzione dei brogliacci, forse è necessario spiegare anche a qualche arguto giornalista come tutto ciò che oggi può venir fuori dal riascolto delle intercettazioni non abbia alcun valore per muovere un addebito ai magistrati se quel contenuto non venne riportato nelle trascrizioni integrali delle conversazioni ritenute più rilevanti.
Chi ascolta le intercettazioni?
Secondo la vulgata, sembrerebbe che il magistrato – cuffie alle orecchie – debba stare quotidianamente ad ascoltare centinaia di telefonate, intercettazioni ambientali ecc.
Inutile spiegare che esiste la sala ascolto; che chi fa questo lavoro spesso ha la capacità di percepire anche una parola appena sussurrata, e che altrettanto spesso è in grado di attribuire a chi appartiene una voce appena ascoltata.
Il Pubblico Ministero deve per forza affidarsi a ciò che gli dice la Polizia Giudiziaria, a maggior ragione a quel tempo visto che le postazioni erano presso le sale d’ascolto della P.G. procedente.
E scoppia qui la prima bolla di sapone di un immaginario collettivo nutrito da una stampa ‘distratta’ che si guarda bene dal porre attenzione rispetto ad altri fatti che potrebbero trovare una connessione con le stragi.
La P.G. procedente segnala e trascrive le conversazioni ritenute rilevanti, e le invia al P.M.
Secondo quanto riferito dall’ex P.M. Natoli in Commissione Antimafia, “va detto che a dimostrazione della bontà di questa valutazione di assenza di qualsiasi risultato utile per le indagini, la Guardia di finanza allegò le trascrizioni integrali delle ventinove conversazioni ritenute più rilevanti, le quali sono sempre state nel fascicolo n. 3589/91 che ho trattato io, ma lo sono state da allora e per tutti questi trentuno anni. Di tal che devo fare notare, purtroppo, che se la procura della Repubblica di Caltanissetta, che fece la richiesta di archiviazione del 9 giugno 2003 sui Mandanti occulti bis lamentando la smagnetizzazione dei nastri e la distruzione dei brogliacci, si fosse degnata di mandare qualcuno a leggere con attenzione almeno il contenuto di questo fascicolo, avrebbe visto che intanto c’erano le trascrizioni integrali di ventinove conversazioni ritenute rilevanti, ma avrebbe potuto fare un’altra cosa che io molto più banalmente ho fatto dopo trentuno anni, nel mese di settembre 2023, cioè di chiedere al procuratore della Repubblica – la procura di Caltanissetta lo avrebbe potuto fare autonomamente – di consultare il registro modello 37, cioè quel registro sul quale vengono annotati tutti i decreti di intercettazione e il divenire del decreto di intercettazione”.
È sufficiente questo aspetto per porsi una domanda: Dalle trascrizioni integrali – che il P.M. – queste sì – dovrebbe aver letto, emergevano i reati che era possibile evincere dalle registrazioni?
Perchè se così non fosse, e se non fossero neppure inseriti nell’informativa finale, come faceva il P.M. ad esserne a conoscenza?
Rimane l’episodio gravissimo del provvedimento con cui, nel giugno del 1992, Natoli ordinava di smagnetizzare le bobine con le registrazioni telefoniche dell’inchiesta, in cui compare l’aggiunta a penna con la quale si dispone anche la ‘distruzione dei brogliacci’.
Un’annotazione che Natoli sostiene “non è riferibile alla mia persona, essendo stato aggiunto a mano da qualcuno con una calligrafia che, all’evidenza, non è la mia, dopo la consegna all’Ufficio Intercettazioni in data 25 giugno 1992″.
E se così fosse – ferma restando la prescrizione di reati per i quali non si procederebbe neppure – le bolle di sapone si dissolverebbero nel nulla.
Rimane il rammarico della mancanza di coraggio di quei giornalisti che hanno usato le dichiarazioni di Antonio Di Pietro in Commissione Antimafia operando un vero e proprio ‘taglia e cuci’ omettendone particolari salienti che – sempre partendo da mafia-appalti – potevano portare molto lontano.
A partire da quei nomi che neppure Buscetta volle fare a Falcone.
I nomi di un livello superiore a ‘Cosa nostra’, che era tale da non potere essere ritenuto credibile, con il risultato che sarebbero stati presi per pazzi.
Un livello al quale Falcone arrivava indagando sul riciclaggio.
A indagare su un livello superiore fu Di Pietro, che mirava a Giulio Andreotti e a quella DC dei vari Lima e Ciancimino legati a doppio filo con gli ambienti mafiosi siciliani.
La figura di Andreotti è l’emblema di un legame antico tra il potere politico italiano e quello mafioso, tanto che i rapporti – acclarati – risalgono a prima degli anni ’80.
Un nome che ricorre spesso negli atti giudiziari e su quella stampa che vorrebbe consolidare mafia-appalti come unico movente delle stragi – addebitandone la responsabilità soltanto a ‘Cosa nostra’ – è quello di Antonino Buscemi.
Un nome che Vito Ciancimino riportò in un suo appunto accostandolo a quello di Silvio Berlusconi per il finanziamento di Milano 2.
A cosa avrebbe portato l’estensione dell’indagine mafia-appalti?
Oggi forse conviene relegare tutta la storia a una vicenda di mafia – o al massimo alle responsabilità di alcuni magistrati che avrebbero favorito la mafia – senza degnare di uno sguardo altri livelli.
Fuori, in strada, alcuni bambini giocano.
Il sole colora le loro bolle di sapone.
Scoppiano e si dissolvono in quel nulla con cui le hanno create.
Gian J. Morici
P.S. Esistono – e dove si trovano – le bobine delle intercettazioni dell’indagine mafia-appalti?