Il connubio mafia-religione è un fenomeno che conosciamo da tempo.
‘Cosa nostra’, così come le altre mafie, ha sempre usato il simbolismo religioso per i propri riti, poiché la religione crea un forte senso di appartenenza che rafforza i legami tra gli associati.
Riferimenti di carattere religioso ne troviamo nella corrispondenza (pizzini) di Bernardo Provenzano, così come in quella di Matteo Messina Denaro e altri.
I valori basilari delle religioni sono fondati sulla fratellanza, sul concetto di famiglia che ci riporta alla famiglia di Nazareth.
Valori che le mafie utilizzano interpretando a proprio vantaggio le sacre scritture, ergendosi a difensori di quei valori dai quali spesso la società moderna tende ad allontanarsi.
Se anche ‘Cosa nostra’ ha usato simboli e richiami religiosi per i propri riti, è la ‘Ndrangheta la mafia che più delle altre ha legato la propria esistenza ai parallelismi religiosi utilizzando versetti e insegnamenti come segni di riconoscimento, creando al contempo un legame mistico tra i suoi membri.
Talvolta l’uso di versetti, simboli o richiami religiosi, rappresentano invece una forma di codifica che rende difficile decifrarne il linguaggio.
La stessa struttura della ‘Ndrangheta con i suoi gradi gerarchici è ben diversa da quella di ‘Cosa Nostra’
‘Cosa Nostra’ a parte il concetto di ‘famiglia’, i riti e l’adozione di specifici santi utilizzati nei giuramenti di affiliazione e in altri rituali, nonché le manifestazioni esterne come la partecipazione a processioni utili a conferire un’aura di sacralità ai loro capi e affiliati, ha mantenuto una scala gerarchica con un ordine militare, dal semplice soldato al capo-decina, dandosi poi un ordine territoriale politico-burocratico con l’istituzione dei mandamenti e delle commissioni.
La ‘Ndrangheta, invece, anche in ambito gerarchico ha inteso sottolineare l’importanza della dimensione religiosa all’interno della sua organizzazione, assumendo le caratteristiche apprese dalla massoneria.
Ecco dunque che al posto di soldati, capi decina e altri gradi ‘militari’ di ‘Cosa Nostra’, emergono figure come il Santista, la Santa, il Vangelista e altre, fino ad arrivare alla Crociata – compatibile con il Vangelo – e alla Stella, simbolo compatibile con la Santa.
La citazione di versetti o di simboli religiosi è spesso simbolica e allusiva, un vero e proprio linguaggio criminale che solo gli appartenenti all’organizzazione possono leggere, rendendo ad altri difficile la decodificazione del messaggio.
I concetti come onore, lealtà, ma anche punizione e vendetta, vengono estrapolati dai racconti biblici e riadattati al contesto criminale di un’organizzazione che tende a rappresentarsi in maniera quasi sacrale, creando al proprio interno un legame profondo tra gli affiliati e ottenendo all’esterno quel rispetto che di solito viene riservato alle figure religiose.
Se fino a poco tempo fa per i mafiosi era facile utilizzare cerimonie religiose per ostentare il loro potere e prestigio – influenzando così pubblicamente la vita delle comunità locali – a seguito della reazione della Chiesa che ha posto veti alle manifestazioni cercando di estirpare ogni forma di collusione con la criminalità organizzata, oggi le mafie hanno necessità di cercare altri canali per darsi quell’aurea di sacralità che veniva loro conferita dalla partecipazione pubblica a riti religiosi.
Dinanzi la digitalizzazione sempre più pervasiva della società, anche le mafie hanno adeguato il loro passo ai tempi.
Come è avvenuto per il terrorismo, le mafie, in particolare la ‘Ndrangheta, fanno ampio uso dei social network.
Apparentemente può sembrare una contraddizione per un’organizzazione la cui esistenza si basa sulla segretezza, ma in realtà così non è.
I social offrono infatti la possibilità di comunicazione immediata tra gli affiliati, garantita anche da una certa riservatezza data la natura criptata dei messaggi che sono di difficile lettura all’esterno.
Un passo del Vangelo, un’immagine sacra, un riferimento biblico che agli occhi di un profano possono far supporre l’appartenenza e l’osservanza religiosa di chi li posta, dunque un messaggio positivo, in realtà possono nascondere una comunicazione interna tra un gruppo di affiliati al fine di organizzare un incontro o fornire un’indicazione.
Spesso, l’uso dei social è rivolto per inviare un messaggio virtuale a potenziali nuovi affiliati, trasmettendo l’idea attrattiva che può avere sui più giovani uno stile di vita basato sul lusso, avvolto dall’aura di mistero e misticismo che in modo particolare caratterizzano la ‘Ndrangheta.
Mentre una comunicazione più ampia può essere utile a manipolare l’opinione pubblica che è portata a condividere opinioni che apparentemente esulano dal contesto criminale, creando una rete di consenso attorno una linea di pensiero che ne influenza le scelte elettorali, favorendo così gli intenti dell’organizzazione criminale.
Persino la promozione della legalità, gli appelli o l’intervenire in merito a determinate vicende di carattere giudiziario, possono tornare utili nel tentativo di guadagnare consenso e legittimità, propagandando al contempo messaggi contraddittori che indeboliscono il principio di legalità e generano confusione tra i cittadini, con l’unico obiettivo di distogliere le attenzioni dalle attività criminali portate avanti dalle ‘ndrine.
Eppure non ci vuole molto per accorgersi di come tali iniziative in favore della legalità portante avanti soltanto come forme di comunicazione social o via internet tramite blog appositamente creati allo scopo, riguardano territori non governati dalle ‘ndrine e che spesso nascondono autentiche forme di depistaggio.
Se è vero che non tutto è oro quel che luce, altrettanto non tutto è Fede ciò che leggiamo sui social.
Dice un proverbio arabo: “Affida il tuo cammello alla provvidenza di Dio, ma legalo prima ad un albero.”
Gian J. Morici