
Testo e foto di Diego Romeo
Silvio Benedetto con la collaborazione di Silvia Lotti ha ripreso i lavori nella Valle delle Pietre dipinte Opera grandiosa lasciata incustodita e senza dovuta attenzione dalle amministrazioni comunali di Campobello di Licata, successive a Calogero Gueli sindaco visionario che ha dato inizio a quest’ opera all inizio degli anni novanta. Però, nella Valle della Divina Commedia mancava Caronte! E oggi, ripresi i lavori, Silvio Benedetto ha raffigurato questo importante personaggio dantesco. Il maestro italoargentino ci dice:“Speriamo che questa figura smuova le anime piene d’ accidia durante quest’ ultimi anni. Riprendiamo lo splendore di queste 110 pietre sulle quali ho dipinti su due lati, avanti e dietro e spesso anche nei laterali. Continuo i lavori nella Valle insieme a Silvia Lotti perché la Valle non è un contenitore di massi dipinti ma anche una mia opera totale in dialogo col contesto, un’ opera di Land Art che non é stata capita dall’ amministrazione comunale che verso il 2015 ha stravolto la Valle senza consultarmi con un intervento paesaggistico assurdo e costoso”.
Per la cronaca oltre un anno fa avevamo suggerito una maggiore attenzione per la Valle delle pietre Dipinte” rivolgendoci all’amministrazione comunale , al FAI, alla “Dante Alighieri “di Agrigento e alla Lega ambiente. Sperando che oggi , Caronte si porti via le anime morte che hanno lasciato nell’incuria i dipinti, proponiamo ai nostri lettori l’articolo di qualche anno fa che richiamava e denunciava il degrado di cui soffriva la gigantesca opera di Silvio Benedetto.
Per tutti era il “Parco della Divina commedia” detto anche “La valle delle pietre dipinte”. Erano 110 massi sul tema della Divina commedia, dipinti a Campobello di Licata alla fine degli anni ‘80 dall’artista argentino Silvio Benedetto, come visionario progetto voluto dall’amministrazione Gueli e si iniziò nel ‘92.
L’affidamento dell’opera a Benedetto fu totale, compresa la scelta e la distribuzione dei massi che avvennero con la collaborazione dell’ingegnere Calogero Giangreco e dell’architetto Diego Gulizia.
Nel dipingere le superfici piane dei grandi massi di travertino d’Alcamo fu preziosa la collaborazione di Olga Macaluso per gli impianti compositivi e le pitturazioni, mentre negli anni duemila Silvia Lotti ha dato il suo apporto nel ripristino di alcuni dipinti.
Tutto fu pensato come una sorta di “Piano regolatore della bellezza” e Campobello assurse a “Città d’arte”, denominazione un po’ altisonante ma tuttavia meritata dato l’ampio rinnovamento artistico urbano.
Le piazze non furono soltanto opportunità di agorà, di passeggio e libero utilizzo per anziani e bambini, ma anche ‘vetrina’ per attività commerciali.
“Tutto questo – ci dice oggi l’artista Silvio Benedetto – è stato testardamente e incredibilmente osteggiato. Osteggiata fu alla sua origine anche «La Valle delle pietre dipinte», nel tempo rivalutata sì, ma solo come slogan e manipolandola come se fosse l’unico vanto di “Campobello Città d’arte”. Le sue pietre dantesche furono accompagnate da tristi vicende e ancora oggi soffrono di incuria amministrativa e popolare. Oggi l’itinerario da me creato per percorrere i canti ha sofferto una malaugurata alterazione, causata dall’infelice ristrutturazione del Parco che contiene i 110 massi dipinti. Qualcuno ha cancellato il cancello da me segnalato. Qualcuno ha levato il cartello con il nome dell’autore dell’opera e dei collaboratori. È stato stravolto il senso originario di “arte nel territorio”: nell’Inferno ho realizzato un cammino in lavica macinata costeggiato da rovi; nel Purgatorio una lenta salita calpestabile in terriccio e bassole accompagnata da vegetazione ‘neutra’; nel Paradiso una viabilità serena con trionfo di fiori.”
In realtà quello che era “dinamismo pittorico” è stato danneggiato da pavimentazione, sterrati, macchie botaniche in rapporto ai temi. Infine si è installata un’illuminazione cimiteriale laddove invece l’artista aveva consegnato un modello mimetico di pietra ed un piano indicativo affinché la luce fosse distribuita in modo ‘scenografico’: a volte direzionata ad un singolo masso, a volte a più d’uno per gruppi tematici; una luminotecnica che inoltre prevedeva cromatismi lievemente differenziati per settori. In quanto ai massi, nel corso degli anni non si è presa una chiara decisione per riparare vandalismi, parziali danneggiamenti causati da erronei lavaggi con acque calcaree, agenti esterni (incrostazioni di ‘pioggia di sabbia’, bava di lumache, graffiature, altro), né si è inserita la (dovuta) voce “manutenzione” nei bilanci. ”L’amministrazione Gueli – precisa Benedetto – aveva voluto istituire un precedente inserendo una ridotta cifra sotto la dicitura “manutenzione opere d’arte”, che fu però bocciata dall’opposizione. Non si è avuta cura nemmeno di proteggere le pietre dipinte durante i lavori di ristrutturazione del Parco, di sterramento e modifica dei percorsi. Oggi molte opere sono danneggiate”. Oggi i visitatore della “Valle” che sono ancora molti trovano tracce di gesti vandalici di pittura, scritte e simboli deplorevoli, gli occhi della Medusa orbati da qualcuno che li ha deturpati forse timorato d’esser pietrificato, la pietra ancora ‘bianca’ è sparita. Ma anche le guide ignorano che la “Valle” è un testo-pittura, non filologico, non letterario, ma creato per l’appunto con un altro linguaggio; è un testo visivo non limitato a un’operazione didascalico-illustrativa ma rivisitato con una proiezione attuale dei contenuti. “Vorrei ricordare – ci dice ancora Benedetto – che Osip Mandel’štam scriveva “…non è possibile leggere i canti di Dante senza rivolgerli all’oggi: sono fatti apposta, sono proiettili scagliati per captare il futuro, ed esigono un commento ‘futurum’.”. E Borges – che Sciascia riteneva essere “…il più grande teologo del nostro tempo […] un teologo ateo […] il segno più alto della contraddizione in cui viviamo” – ebbene Borges sosteneva che “…la storia dei commenti a Dante sarebbe interessante, sarebbe un bel tema, ogni volta si legge il suo libro in modo diverso […] tante letture ne hanno arricchito l’opera”, sosteneva cioè che la Divina Commedia con il passare del tempo non rimane la stessa ma si rinnova. Innumerevoli volte, per anni e anni, ho parlato di questo e d’altro ottenendo solo silenzio-assenza. Mike Bongiorno parlò delle nostre pietre dipinte in un noto quiz televisivo, Matteo Collura le inserì nella Guida “Sicilia Sconosciuta” edizione Rizzoli (nuova edizione in ristampa, disponibile a giorni), innumerevoli quotidiani locali e nazionali si sono largamente occupati di quest’opera, ma Campobello non è riuscita a collegarla con le celebrazioni del 700° anniversario della morte di Dante. Che succederà nei prossimi Dantedì il 25 marzo di ogni anno (giornata nazionale istituita dal Ministero della Cultura)”? Mi auguro possa io dare un apporto professionale in un immediato futuro per salvare quest’opera che ormai tutti denominano «La Divina Commedia», salvarla per onorare chi ha avuto la visione di crearla, per onorare i campobellesi perché in realtà è opera di tutti, e anche per il rispetto che il mio lavoro artistico merita”. Un ultimo accorato appello Silvio Benedetto ha voluto rivolgere ai campobellesi: ”Al di là di ogni cosa, al di là dei sogni, difendete, cari campobellesi (e chi se no?) un’opera che porta ritratti i volti di vostri parenti, di vostri amici, insomma della “gente di Campobello” (così come dal mural della scuola Edison ci sorridono i nostri bambini sin dalla metà degli anni ‘80). Difendete un’opera rara nel mondo, che può ancora portare alta la voce del vostro/nostro paese”.

