Molta parte delle letture di questi ultimi giorni sul reimpatrio di Enrico Forti in Italia mi hanno fatto pensare all’idea del filosofo Blaise Pascal secondo cui “corriamo spensieratamente verso l’abisso, non prima di aver messo qualcosa tra noi e lui per impedirci di vederlo”.
I tanti “haters” – odiatori di professione che hanno sul web la loro zona libera di espressione – hanno inondato il mondo con l’idea che un conclamato assassino non avesse dignità di ritorno e, soprattutto, non avesse il diritto di essere accolto calorosamente a ragione delle sue colpe.
Questa idea, che parla alla pancia dei tanti ascoltatori, tradisce il senso complessivo della drammatica vicenda umana.
Cosa ancor più grave, nasconde sotto il tappeto della morale provvisoria i tanti (e taglienti) frammenti di una storia in cui l’idea di Giustizia si è del tutto fracassata.
Il problema, infatti, non è quello se Forti sia colpevole o innocente.
Per gli Stati Uniti d’America lo è come lo è per l’Italia che, solo un mese fa, ha riconosciuto per l’esecuzione la sentenza straniera.
Gli odiatori si arrendano a questa evidenza che nessuno – neppure il Forti – può contestare.
Detto questo, sorge la domanda:
“La circostanza che il Forti abbia commesso il crimine per il quale è stato giudicato, condannato ed ha espiato quasi 25 anni di dura galera ci impedisce di capire se quel processo ha avuto canoni di giustizia secondo le regole vigenti nel nostro sistema?”
Qualcuno di voi potrebbe affermare che la risposta a questa domanda è stata già data dai giudici di Trento che hanno validato la “sentenza” straniera.
Ecco ai vostri occhi – gentili odiatori di professione – la prima stranezza di questa incredibile vicenda.
In realtà, una sentenza vera e propria semplicemente non esiste.
Ciò che esiste è il verdetto che non ha alcuna motivazione.
In altre parole, è impossibile sapere quali e quanti motivi dell’accusa hanno determinato i giudici alla condanna e perchè mai gli elementi prodotti dalla difesa non hanno in nulla scalfito il ragionevole dubbio sulla colpevolezza.
Gentili odiatori, potete spiegarmi come è possibile formulare un appello su un giudizio che non ha motivazione?
Anche in questo caso vale la regola che il poeta Goethe indicò alla ragione degli umani e che quest’ultimi non riescono a seguire per indifferenza ed ignoranza: l’occhio vede ciò che la mente conosce.
Se non gli odiatori – accecati dal loro stesso fiele – almeno gli uomini di ragione e di professione dovrebbero aprire i loro occhi…
Lorenzo Matassa