Questo è uno dei tanti articoli che a seguito di un violento attacco hacker era andato perso. Risale al 2021 (non ricordo la data precisa) e viste le recenti novità in merito al suo trasferimento in Italia.
L’articolo è del magistrato Lorenzo Matassa, che sulla vicenda di Chico Forti ha anche scritto un libro dal titolo “Chi ha incastrato Chico Forti?”
Questa è la storia di un uomo, Enrico Forti, accusato di omicidio di un giovane australiano e condannato all’ergastolo, a rimanere per il resto dei suoi giorni dentro un carcere di massima sicurezza della Florida.
Proveremo a raccontarla questa storia, anche se in tutto questo aggrovigliarsi di avvenimenti è difficile rinvenire un barlume di chiarezza.
Enrico Forti nasce a Trento nel febbraio del 1959.
Già alla fine degli anni settanta Enrico – detto Chico – era uno dei primi e giovani esordienti nello sport del windsurf.
Col tempo, Chico diventa un vero campione. Apre scuole di windsurf e gareggia in manifestazioni importanti vincendo anche la Coppa America. E’una persona eclettica con una formidabile memoria e un’ottima cultura. Parla correntemente cinque lingue, partecipa anche alla trasmissione televisiva TeleMike dove vince circa 80 milioni delle vecchie lire. Questa vincita significherà il passaporto verso l’America, il Paese che ama tanto e che – scherzo del destino – ritiene essere terra di libertà.
Appassionato anche di cinematografia, organizza una troupe televisiva per filmare e documentare il mondo dello sport, della musica, della moda.
Un vulcano di idee, ecco chi era Chico Forti.
Negli Stati Uniti, conosce una bellissima donna americana, la sposa e mette al mondo tre figli. Poi con tutta la famiglia si trasferisce nella esclusiva zona residenziale di Miami: Williams Island e, proprio in questa famosa zona, Forti si dedicherà all’acquisto e alla rivendita di appartamenti, attività quest’ultima che gli procurerà ingenti profitti e che lo porterà a conoscere personaggi influenti dell’high society.
E qui la storia comincia a complicarsi…
Chico conosce Thomas Knott, personaggio alquanto enigmatico, una specie di Dottor Jekill e Mr. Hide.
Avvenente maestro di tennis, frequentatore di ambigui personaggi, dotato di charme e affabilità il tedesco riesce a conquistare la sua fiducia.
Intanto, nel luglio del 1997, Miami è scossa da un omicidio eccellente: Gianni Versace, viene ucciso con due colpi di pistola alla nuca.
Le indagini conducono in modo frettoloso e molto sbrigativo verso colui il quale è ritenuto l’assassino di Versace: il serial killer Andrew Cunanan, rinvenuto, in seguito, cadavere a bordo di una House Boat ancorata nel canale di Collins Avenue.
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La House Boat era di proprietà di un certo Reineck il quale, appena scoppiò il caso Versace, vendette a Mathias Ruhel , suo fact totum, la casa galleggiante ed altre proprietà.
Il “Caso” volle che lo strano personaggio, Thomas Knott, conoscesse Ruhel, così i due prospettano a Chico Forti la possibilità di acquistare la House Boat per gestire i diritti di immagine del luogo ossia vendere e divulgare le immagini ai vari giornali.
Chico Forti, il surfista col pallino degli affari, pensa addirittura di realizzare un documentario sullo strano suicidio del serial killer Andrew Cunanan e sul caso Versace.
Da un sopralluogo nella casa galleggiante Forti nutre dei seri dubbi sul suicidio di Cunanan e sostiene la tesi che il killer sia stato a sua volta ucciso e portato sul luogo del delitto ormai cadavere.
Chico si avvale della collaborazione dell’agente Gary Schiaffo. Questi, prossimo alla pensione, si impegna ad “aiutare” la realizzazione dello speciale sulla morte di Cunanan.
L’accordo tra il poliziotto e Chico prevedeva un corrispettivo totale di 150.000 dollari per le informazioni e alcune foto esclusive del corpo senza vita di Cunanan.
Queste foto non furono mai consegnate e Gary Schiaffo non riceverà l’intera somma concordata.
Chico Forti riuscirà, comunque, a produrre lo speciale televisivo intitolato “Il sorriso della Medusa” che verrà diffuso anche in Italia su Rai3 e in Francia, ottenendo un grandissimo successo di pubblico.
Forti aveva scosso la realtà ufficialmente dichiarata dalla polizia di Miami…
Alla fine del novembre del 1997 l’amicizia tra Knott e Forti era ancora salda, ma Chico non sapeva del passato di Knott, non poteva sapere che Knott era stato condannato in Germania per una truffa colossale a danno di piccoli imprenditori caduti nella rete di un fantomatico progetto “Time Share”.
Nel periodo in cui il truffatore Knott passava le sue vacanze ad Ibiza aveva conosciuto Antony Pike proprietario del famoso “Pike’s Hotel” nell’isola spagnola.
Knott e Tony Pike erano amici, o almeno così doveva sembrare… Knott sapendo dell’interesse di Pike nel vendere l’albergo (diventato ormai troppo dispendioso nella gestione) presentava Tony Pike a Chico Forti.
Pike discuteva con il Forti manifestando la sua volontà di vendere l’hotel. Chico sembrava interessato.
L’unica condizione posta dall’acquirente era però quella che nell’affare non fosse coinvolto Thomas Knott.
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Anthony Pike, che precedentemente aveva contratto una grave malattia (AIDS) dalla quale sembrava ristabilitosi, concludeva la trattativa con Forti e lo esortava ad assumere nell’albergo il figlio Dale (fino allora avvinto in una vita un po’ sbandata)
Per questa ragione, il padre sollecitava un incontro tra il figlio ed Enrico Forti, incontro questo che avveniva il 16 febbraio 1998.
Chico prelevava Dale Pike all’aeroporto di Miami.
Qui il racconto diventa anche il processo per omicidio…
Secondo Chico, Dale sarebbe stato lasciato presso un parcheggio di un albergo-ristorante, il “Pelikan Hotel” perché lì avrebbe dovuto incontrarsi con degli amici che lo avrebbero ospitato per alcuni giorni.
Forti avrebbe proseguito il suo percorso alla volta di Fort Lauderdale e, presso l’area arrivi dell’aeroporto, avrebbe prelevato il suocero.
L’indomani mattina veniva rinvenuto il cadavere dello sfortunato Dale: due colpi di pistola alla nuca avevano posto fine alla sua vita (esattamente come Gianni Versace).
Il corpo di Dale Pike giaceva prono in un anfratto non lontano dalla spiaggia, a poche miglia dal luogo in cui Forti lo avrebbe lasciato la sera prima.
Chico Forti si presentava spontaneamente alla polizia di Miami dapprima come testimone.
Rendeva una dichiarazione giurata del tutto falsa, sostenendo di non aver mai incontrato Dale Pike in vita sua, di non averlo mai prelevato all’aeroporto di Miami.
Sono questi i momenti decisivi che condizioneranno per sempre la vita di Forti. Queste bugie le pagherà con la sua stessa vita.
Ma è anche vero che in quei momenti Chico non poteva di certo immaginare gli effetti che le sue dichiarazioni avrebbero provocato.
Posto, quindi, davanti alle evidenti contraddizioni, Chico rettificò diverse volte davanti alla Polizia le sue ammissioni.
Il 20 febbraio 1998 Enrico Forti viene arrestato, ma soltanto per il reato relativo alla truffa consumata nei confronti dell’incapace Anthony Pike.
Forti viene processato, ma l’accusa di truffa si arena mentre Thomas Knott – arrestato anche lui – se la caverà patteggiando con lo Stato proprio l’accusa per truffa ai danni di Tony Pike diventando cooperatore testimoniale dello Stato della Florida nel processo contro Forti.
L’11 ottobre 1999 Chico venne nuovamente arrestato, questa volta, però, con l’accusa gravissima di omicidio.
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Il 15 giugno del 2000, il verdetto.
Dopo un processo sommario basato su indizi, assenze di prove, una serie di circostanze e moltissimi dubbi, Enrico Forti è stato condannato all’ergastolo.
Per il sistema processuale americano si può condannare l’imputato soltanto se si è provata la sua responsabilità “beyond any reasonable doubt” oltre ogni ragionevole dubbio.
Noi ci chiediamo se davvero ogni dubbio è stato risolto…
Lorenzo Matassa, magistrato palermitano (sue sono state le indagini che portarono all’individuazione e alla condanna dei mandanti e degli assassini di Don Pino Puglisi) avvocato e scrittore, ha pubblicato un libro molto interessante sul caso Forti, intitolato: “Tra il dubbio e l’inganno. Da Versace al caso Forti una doppia trappola mortale” della Edizioni Nuova Koinè.
Abbiamo incontrato il giudice Matassa per avere maggiori delucidazioni su questo caso drammatico e per chiarire se delle volte anche nella “democraticissima” America, un uomo possa essere giudicato colpevole, subendo un processo fittizio e ambiguo.
Lei ha incontrato Enrico Forti il 19 luglio 1992. L’incontro è avvenuto in maniera del tutto casuale, navigando a bordo di un windsurf nelle acque del golfo di Mondello. Otto anni dopo lo ha ritrovato in circostanze del tutto diverse. La storia ha un risvolto “pirandelliano”, ce ne vuole parlare?
La storia dimostra come i destini degli uomini obbediscano ad una sorta di circolarità e di equilibrio universale.
Leggendo le prime pagine del libro si percepisce tutto ciò.
Il giorno della strage che annientò la vita di Paolo Borsellino e dei componenti della sua scorta io ero a bordo di un piccolo catamarano e veleggiavo non lontano dalla costa.
Vidi da lontano giungere un giovane windsurfista.
Raggiunto il catamarano lo sconosciuto mi diede l’orrenda notizia e mi disse che a riva mi attendevano per andare in ufficio. Scambiai con il giovane poche battute, quelle che concitatamente si può pensare possano intercorrere in un momento simile e con il mare aperto come scenario.
Mi disse che considerava noi siciliani un po’ vigliacchi perché non eravamo ancora venuti a capo di quella cosa orrenda che era (ed è) la mafia. Mi disse che lui aveva deciso di andare a vivere negli Stati Uniti d’America perché in quel Paese regnava la vera Giustizia e la vera Libertà.
Mi permisi, allora, solo di obiettare che forse non era proprio così visto che in America anche Martin Luther King era stato assassinato senza che un colpevole si fosse mai individuato.
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Giunti a riva percepii che il giovane era in compagnia di una donna dalla bellezza veramente straordinaria.
Il fotogramma che la mia mente elaborò è quello che ancor oggi posso dire che è presente nella mia memoria.
Mi dissi che la mia terra era lo scenario di Eros e Tanatos.
In Sicilia l’amore e la morte sembravano essere in sincronico movimento: quel giorno caldo d’estate ne era la prova.
Non vidi mai più quel giovane (a giusta ragione e leggendo il libro potrà agevolmente comprendersi quanto sia vera questa ricostruzione delle cose).
Circa otto anni dopo mi recai a Miami per lavorare su un caso veramente particolare.
La soppressione di un povero ragazzo, ucciso e poi abbandonato sul Monte Pellegrino, mi aveva portato sulle tracce del suo assassino rifugiatosi a Miami.
Qui l’Addetto Consolare, prima di discutere le necessità di natura logistica connesse al mio caso, mi invitò a confrontarmi con quello che ormai per lui era diventato un vero e proprio rompicapo…
Ecco, allora, che mi spiegò che un nostro connazionale stava salendo sulla sedia elettrica senza che alcuna azione politica potesse fermare quell’assurda esecuzione.
Così seppi che quel giovane che mi aveva annunciato la strage circa otto anni prima stava andando a sedersi sulla sedia elettrica, condannato per omicidio di primo grado.
Messo a morte da quel Paese e da quella Giustizia in cui tanto credeva.
Questo è l’incipit della storia ed ammetterà che è straordinario e non certo perché sia stato io a viverlo o a scriverlo…
Dalla requisitoria del pubblico ministero Reid Rubin all’esito del processo contro Enrico Forti per l’omicidio di Anthony Dale Pike si legge: “ Lo Stato non deve provare che egli sia l’assassino al fine di dimostrare che sia lui il colpevole…” Ci vuole spiegare questa frase?
Non sono io che posso spiegare questa frase.
Forse il vero interprete di questa singolare espressione potrebbe essere soltanto chi l’ha pronunciata.
Io posso dirle che ho letto questa frase centinaia di volte e l’ho fatta leggere a tanti, giuristi e non giuristi, italiani e stranieri.
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La frase è tecnicamente scorretta e la sola interpretazione che potrebbe derivarne è questa: non ho bisogno di provare chi sia l’assassino materiale ma ho solo bisogno di provare chi abbia voluto la morte con atti concludenti… come dire, insomma, che non si può considerare colpevole solo chi uccide, ma anche chi manda qualcuno ad uccidere.
E questo è pure ragionevole dall’ottica del nostro sistema.
Ciò che non è comprensibile è che se affermi che Tizio ha ucciso qualcuno non puoi poi cambiare la tua tesi e farlo diventare il mandante solo perché non hai la prova che il colpevole abbia direttamente commesso l’omicidio.
Spero di essere stato chiaro, ma il mio difetto di chiarezza e direttamente proporzionale alla confusione dei temi dell’accusa portati dal Pubblico Ministero americano…
Nel suo libro lei parla del “ragionevole dubbio”, sostenendo che “una decisione oltre ogni ragionevole dubbio è un giudizio che non lascia spazio, nemmeno microscopico, all’incertezza”.
E’ stato così nel caso della decisione che ha condannato Enrico Forti all’ergastolo?
Come spiego nel libro, il ventaglio del ragionevole dubbio, in questo processo, è molto aperto.
Il ragionevole dubbio apre scenari che sono più vicini alla filosofia teoretica che al Diritto.
Basta pensare ad alcuni concetti:
Sulla ragionevolezza: “Chi dice cosa è ragionevole e secondo quale graduazione di intelletto?”
Sul dubbio: “Chi può sapientemente stabilire cosa sia il dubbio ed in cosa abbia sostanza giuridica?”
Sull’ al di là: “Chi stabilisce la soglia di superamento di questa barriera e, soprattutto, chi conosce dove sia posta?”
Sono solo alcuni dei passaggi delicati della ricostruzione del caso che ha portato alla condanna di Enrico Forti…
Perché Enrico Forti avrebbe dovuto uccidere Dale Pike?
Se desidera sapere se esiste un movente (anche solo apparente) la mia risposta è: NO.
Il processo contro Forti è stato impostato come omicidio di primo grado ossia con premeditazione.
Secondo l’accusa l’eliminazione di Dale, per il Forti, avrebbe reso più semplice l’acquisto dell’albergo del padre.
Ma la premeditazione – a mio avviso – non avrebbe generato tutte quelle imperfezioni esecutive che alla fine hanno portato all’individuazione del nostro connazionale ed alla condanna.
Tuttavia potrebbe evidenziarsi anche un dolo d’impeto.
Un momento di follia, di cortocircuito mentale in cui tutto è accaduto a seguito magari di un diverbio tra il giovane Dale, appena atterrato in terra americana, ed il suo accompagnatore. D’altronde non bisogna dimenticare che è certo che Chico avesse acquistato un’arma di quel tipo e che l’arma fosse nella disponibilità di Tom Knott.
Un vero rompicapo…
Secondo lei è esistito un complotto verso Forti e quanto Thomas Knott potrebbe essere coinvolto in questa storia?
Come scrivo nel libro, un complotto è possibile ma Enrico Forti ha dato un grande aiuto a chi il complotto avrebbe ordito ai suoi danni.
Molta parte delle prove che Forti avrebbe potuto portare davanti alla giuria non furono mai neppure invocate e – paradosso nel paradosso – la difesa di Forti scelse di non farlo udire durante il dibattimento sì che fu il Pubblico Ministero a parlare per ultimo alla giuria ed al giudice.
Esiste un nesso tra l’omicidio Versace e la condanna all’ergastolo di Forti?
Se complotto vi è stato una relazione vi è. E viceversa…
Sarò ancora più chiaro. Se Enrico Forti è stato incastrato perché ha osato raccontare la vera storia delle magagne della Polizia di Miami sul finto suicidio del presunto assassino di Versace, allora va da sé che il complotto dimostra la diretta correlazione tra gli avvenimenti.
Ma tutto ciò non è stato portato mai nel corso del processo.
Lo stesso Forti ha compreso che la teoria del complotto non poteva reggere davanti ai giudici.
E, quindi, vi chiedo: “Se nemmeno il Forti ha inteso dimostrarla in sede processuale ci sarà un motivo o no?”
Se Enrico Forti avesse subito un processo in Italia, quale sarebbe stato il verdetto finale?
Ho imparato a non fare pronostici sui processi.
Ogni camera di consiglio delle Assisi penali è un universo a volte imperscrutabile.
Ma devo ammettere che nel sistema italiano gli elementi indiziari che si trovano nel processo, possono ad ogni effetto definirsi convergenti e concordanti.
Forse non assolutamente univoci, ma ciò non esclude che essi avrebbero potuto portare ad una condanna per omicidio…
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Quali sono state, a suo giudizio, le gravi colpe delle quali Forti si è macchiato?
Forti si sente un superuomo e, purtroppo per lui, non lo è…
In alcune fasi del processo ha pensato di giocare di astuzia e la Giustizia americana lo ha stritolato condannandolo più per le sue stesse menzogne piuttosto che per i fatti e le circostanze…
Negli Stati Uniti la giuria popolare emette il verdetto senza alcuna motivazione, perché il Popolo è sovrano e non commette errori nella valutazione delle prove e per questo motivo non vi è possibilità di appello. Lei crede che un principio cosi teorico possa realizzarsi nella pratica?
Ogni sistema giuridico vive su alcune presunzioni.
A volte queste presunzioni possono anche ritenersi finzioni.
Ma le finzioni servono per far funzionare il sistema.
Sarò estremamente chiaro: non esiste la Giustizia (in senso assoluto) perché dietro questa parola si nascondono aspirazioni e perfezioni che non appartengono alla natura umana.
Ciò che esiste – ed è scritto a chiare lettere nel libro – è soltanto l’amministrazione (perfettibile) della giustizia.
Il Popolo fa le leggi che, giuste o sbagliate, vanno applicate.
Allo stesso modo il Popolo decide la colpevolezza.
Se questo è il principio che si abbraccia, in effetti è assurdo pensare che il Popolo che decide poi smentisca se stesso…
Com’è intervenuto il governo italiano in questo caso? In nessun modo.
Secondo lei, Enrico Forti è colpevole o innocente?
Questo lo lascio alla sua (di Forti) coscienza…
Enrico Forti, uscirà mai dal carcere di massima sicurezza di Everglades in Florida?
Allo stato delle cose è molto difficile che ciò avvenga senza una decisa, seria, forte, risoluta azione diplomatica da parte italiana.
Senza tutto ciò è ragionevole pensare che Forti uscirà da quella prigione solo dopo che la cerniera del sacco mortuario avrà chiuso il suo corpo. Almeno questo è ciò che desidera la Giustizia che lo stesso Forti tanto indicava ad esempio di efficienza e raggiungimento della Verità…