“Tempo fa incontrai per caso un vecchio amico, perso di vista dagli anni del liceo.
Sapeva qual era il mio mestiere e volle sfogarsi, proclamandosi vittima della malagiustizia.
Raccontò che, a causa di reati fiscali e fallimentari contestati a sua sorella, aveva subito la confisca di prevenzione di tutti i suoi beni, e che lo stesso era accaduto anche a suo fratello.
L’espropriazione – precisò – aveva riguardato anche i beni che tutti loro avevano ereditato, dal padre e da uno zio senza figli, molto tempo prima che sua sorella si mettesse nei guai.
Il mio amico si mostrava profondamente convinto che i giudici, il pubblico ministero e l’amministratore giudiziario avessero formato un’associazione per delinquere volta a spolpare imprese nel fiore dell’attività, fra le quali la sua: “…molto più conveniente che spolpare imprese fallite”.
Non mi riuscì di fargli riconoscere il suo evidente torto, sciorinando il mio sapere riguardo alla nozione di pericolosità del bene, all’arco temporale di riferimento eccetera.
“Vedi” – commentò – non appena esposte le linee generali della sua vicenda, “il brutto non è solo che ti levano tutto. La cosa peggiore è che vogliono passare da moralizzatori e fanno passare te da delinquente. Nel processo nessuno ti ascolta e se poi cerchi di raccontare la tua storia a qualcuno, come io ora sto facendo con te, riesci solo ad apparire patetico…”
Ad onta di questa saggia premessa, proseguì seduta stante, sull’affollato marciapiedi che stavamo intasando, l’inesorabile resoconto del processo di suo interesse, aggiornandomi doviziosamente, finché non si fece sera, su ogni dettaglio e questione.
Di quel lungo racconto non ricordo quasi nulla.
Con questo mio scritto mi congedo alla mailing-list dell’ANM e vi racconto questa storia perché oggi – a torto o a ragione – mi sento come quel mio amico.
Ma non commetterò il suo patetico errore.
Il mio film continuerò a proiettarmelo da solo finché, spero presto, non l’avrò dimenticato…
Di un matrimonio che finisce con un divorzio si dice che è fallito, anche se per lunghi anni è stato felice.
È quello che Slavoj Zizek chiama “loop di significato”.
Accade per ogni esperienza umana, comprese le esperienze lavorative. Sono entrato in magistratura da atipico, figlio di democristiani, terrorizzato dall’URSS, dall’ayattolah Khomeini e da Magistratura Democratica.
A parte l’età, ne esco più o meno come sono entrato, tranne che ora sono terrorizzato dalla Federazione Russa, dalla Cina, da tutti i fondamentalisti islamici e da tutte le correnti della magistratura.
Per questo, gli auguri che qui faccio alla Magistratura – non ai magistrati, perché gli auguri agli amici si fanno individualmente e, quanto agli altri, non vedo la ragione di perdere tempo – sono gli auguri di un cittadino che, per un “loop di significato” (o, se vogliamo, per una sorta di paradosso quantistico), nell’uscire dalla Magistratura sente di essere estraneo ad essa da sempre.
Uno che ancora per poco continuerà a fare questo lavoro, meglio che potrà, perché è ancora pagato per farlo ma che sa di vivere altrove.
Il divorziato diligente continua a mantenere i figli finché deve ma, ciò nonostante, non fa parte della famiglia e sente di non averne fatto parte mai, neppure quando il suo matrimonio appariva felice.
In definitiva, gli auguri che faccio alla Magistratura sono gli auguri che faccio a me stesso, ai miei familiari, soprattutto ai miei figli e un po’ a tutti i cittadini italiani.
Quei comunissimi tipi – “così così” – come dice una canzone di Ligabue.
Ti auguro, cara Magistratura italiana, di prendere coscienza di essere composta da impiegati dello Stato, ai quali deve bastare lo stipendio.
Non gente che pensa di avere vinto il concorso per Dio.
Nulla di più e nulla di meglio dei tipi “così così”.
Il resto verrà da solo.
Noi cittadini vedremo concorsi in Magistratura regolari e magistrati onesti.
Nessun magistrato strumentalizzerà la funzione, per acquistare meriti agli occhi di chi potrà garantirgli incarichi e prebende.
Non vedremo giudici impegnati a salvare i processi ma piuttosto impegnati a salvare Libertà, reputazione e patrimonio di chi non merita di perderli.
Non vedremo lunghi esercizi di stile “In Nome del Popolo Italiano”, destinati a motivare l’immotivabile, né quei sermoni vuoti ed eleganti.
Non vedremo il pubblico ministero che (carriere separate o non separate poco importa) discute privatamente il merito del processo con il giudice, facendogli capire che, se non arriverà almeno la condanna in primo grado – o almeno, toh!, il rinvio a giudizio – si butterà per terra e si sporcherà tutto tutto.
Vedremo ordinanze di custodia cautelare che saranno consegnate al pubblico ministero per l’esecuzione, non per la trasmissione alla stampa e alle televisioni.
I capi delle procure non si pavoneggeranno mostrando lo scalpo degli imputati abbattuti, manco fossero capi sioux, né presenteranno alla cittadinanza, a fine anno, il bilancio di arresti e condanne ottenute dal loro ufficio, manco fossero i presidenti di una piccola repubblica.
Rispetteranno l’indipendenza e la dignità dei magistrati del loro ufficio, rinunciando a farsi belli a loro spese.
Nessun dirigente di ufficio giudiziario, guardandosi allo specchio, vedrà riflessa l’immagine di un amministratore delegato.
Che altro?
Accadrà che i dirigenti degli uffici giudiziari saranno i più bravi e meritevoli?
Di questo a noi cittadini importa meno, ci basterà che non siano stati scelti per avviare un processo balordo o rattopparne un altro già in corso, per salvare qualcuno o per mettere in ginocchio qualcun altro.
Insomma che esercitino le loro funzioni senza vincolo di mandato, come si dice per i parlamentari.
Allora quelli che verranno saranno buoni anni.
Per la Magistratura e per noi, che siamo “così così” e sappiamo di esserlo…”
Firmato: un magistrato così così.