Rita Pedditzi ha intervistato Teresa Fiume, che perse le nipotine: Nadia di 8 anni e Caterina di 50 giorni, la sorella Angela di 36 e il cognato Fabrizio Nencioni
“Ore 1:05 di questa notte come a Roma anche a Firenze una bomba squarcia il centro storico pieno di turisti”.
Comincia con le parole della notizia data quella notte, il servizio di Rita Pedditzi per Radio1 Rai.
“Non è perché quest’anno è il trentennale, no io è qualcosa che rivivivo ogni giorno nel mio quotidiano anche perché nei miei gesti ritrovo molto mia sorella e mio cognato, ma anche Nadia… e mi dispiace spesso non pensare a qualcosa di Caterina”.
Il 27 Maggio 1993, pochi minuti dopo l’una del mattino, un’esplosione violentissima sventra una palazzina del centro di Firenze una miscela detonante innescata con un congegno meccanico trasforma via dei Georgofili sede della famosa Accademia in un campo di battaglia
La Torre de’ Pulci non regge l’impatto dell’onda d’urto e crollando trascina con sé una famiglia di quattro persone. Teresa Fiume quella notte perde la sorella Angela, il cognato, Fabrizio Nencioni, e le nipotine Nadia di otto anni e Caterina di 50 giorni.
“Aveva 50 giorni – prosegue Teresa Fiume intervistata dalla giornalista Rai – e la cosa che più mi rattrista, ma mi rattrista tanto, che la domenica, la domenica 23, eravamo nella chiesa di via Calzaioli a battezzarla… quindi era un momento veramente gioioso felice di questa bimba, bimba dai riccioli rossi. Ecco questa la voglio ricordare… coi suoi riccioli rossi che assomiglia al padre… La notte del 26, già nel pomeriggio Nadia era felice. Era felice perché telefonava alle sue nonne alle sue zie perché finalmente Caterina avrebbe dormito nel suo lettino. La mamma, Angela, mia sorella che è sempre dilettata nel cucire gli aveva fatto le lenzuolina nuove… perché doveva essere un momento nuovo, nel senso è il suo letto, stava diventando già un po’ più grande… e tutto questo… e sabato dopo eravamo nella stessa chiesa con quattro bare”.
Sono passati trent’anni, ma il dolore è ancora vivo, è tutto lì, nella voce di Teresa.
Un altro giovane muore nell’appartamento del palazzo di fronte – ricorda la Pedditzi ai radioascoltatori -, è Dario Capolicchio, 22 anni studente di architettura. 38 persone restano ferite. Oggi dove 30 anni fa era posizionato il Fiorino c’è l’albero della pace, ma i segni di quelle azioni perverse dell’uomo Danielle Mosca non ha voluto cancellarli dalla sua casa
“Quei segni tutti lì nel legno, sono tutti i segni dei vetri che sono scoppiati e io ho voluto lasciare così com’era questo… Anche questo è un ricordo ovviamente non me lo potrei mai scordare comunque… Sono riuscita a scappare sul tetto, sentivo tutte le voci strazianti, urli di chiedeva aiuto… ovviamente anch’io mi ero rannicchiata sul tetto, lì ho avuto un momento che ho capito cosa vuol dire morire…”
Sotto il suo appartamento prosegue la giornalista – abitava Dario Capolicchio, quella notte stava studiando. Le finestre del palazzo si affacciano davanti alla torre de’ Pulci, Danielle ogni volta che guarda fuori non può trattenere un pensiero…
“Proprio di fronte a me, sopra l’Accademia dei Georgofili c’era una stanza in più delle bambine… Io le vedevo sempre e ci salutavamo… così…”
C’è “cosa nostra” in questo vicolo di Firenze la notte tra il 26 e il 27 Maggio di trent’anni fa. I suoi uomini si muovono nell’ombra con un carico di esplosivo piazzato su una Fiat Fiorino parcheggiata in un punto strategico il cuore della città. Dal monologo dell’attrice Tiziana Giuliani gli istanti subito dopo la chiamata d’emergenza di quella notte…
“Lo vedono nel palazzo che brucia, è lui a far luce nel buio. Dalle finestre di tutti i piani escono fiamme altissime che Mery non ha visto mai… è la Torre de’ Pulci, la sede dei Georgofili. È crollata su se stessa e anche una parte degli Uffizi è crollata e le pietre, grosse cadute dalle facciate, dalle gronde dei palazzi, le vede ovunque… e continuano a cadere ci sono auto schiacciate“
Gianni Innocenti è il vigile del fuoco dell’immagine simbolo della strage. È lui che corre stringendo al petto la piccola Caterina
“A un certo punto si vedono sulle macerie delle fotografie, e poi si viene a sapere che c’erano delle persone nella Torre de’ Pulci. Nella salita sull’autoscala mi sono accorto di vedere un armadio, una ciclette appoggiata su quel po’ di solaio che era rimasto e sono arrivato all’ultimo piano dove c’era una cucina. Nella cucina ho visto della frutta fresca sulla tavola… un seggiolone… ho detto io vado dentro a rischio e pericolo perché i solaio era tutto crollato. Abbiamo cominciato a scavare… per prima cosa è venuto fuori un piedino… un collega ha detto “guarda è una bambola!”. Io ho detto guarda, non è una bambola, questo è il piedino di un bambino… ho toccato i piedini, erano ancora caldi… era la più piccola… Caterina”.
La famiglia Nencioni era originaria della Romola, vicino a San Casciano. Qui Nadia tornava per le vacanze e sarebbe stata la prima estate di Caterina. Aveva nove anni Sandro Matteini, l’amico di giochi di Nadia.
“Quello che si può capire a nove anni però capii subito la portata grande perché vedevo tanto dolore e tanta tristezza nei nonni di Nadia… nella zia di Nadia… che abitavano nello stesso palazzo dove abitavo io, insomma per cui fu una estate… poi furono dei giorni terribili di angoscia enorme… come dire… forse anche da quella volta lì si smise anche un po’ di celebrare con quella spensieratezza è lì in quel palazzo dopo la festa di battesimo di Caterina, fatta solo la settimana prima, nessuno ebbe più il coraggio di ritrovarci a festeggiare là, nello stesso punto in cui si era festeggiata Caterina qualche giorno prima…”
La bomba, le richieste della mafia, il ricatto allo Stato. è questo quello che anima quella notte e che Firenze non dimenticherà più – prosegue Rita Pedditzi al microfono – Le sentenze hanno ricordato che dopo le stragi del 92, con la morte dei magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, lo Stato aveva reagito con l’applicazione del 41 bis, la legge che prevede carcere duro e isolamento per i detenuti accusati di appartenere a organizzazioni criminali. Quel Fiorino con il suo carico di morte avrebbe dovuto ferire non solo l’arte, ma raggiungere anche i centri del potere. Nel 2008 Gaspare Spatuzza decise di pentirsi e collaborare con la giustizia, rilasciando diverse dichiarazioni in ordine alle stragi del 92 e alle bombe del 93 a Milano, Firenze e Roma.
È la voce di Spatuzza, durante una delle tante udienze processuali, a raccontare di come si era messo a disposizione dei Graviano, dei tanti omicidi commessi e della sua partecipazione a tutte le stragi e del compito assegnatogli di recuperare gli esplosivi.
Sergio Lari è il magistrato che ha condotto le indagini nate dalla collaborazione di Spatuzza e che sono poi confluite nel Capaci ter…
“Gaspare Spatuzza è stato centrale nel spiegarci da dove è provenuto una gran parte dell’esplosivo che è stato utilizzato per l’attentato di Capaci. Ha dimostrato di essersi rivolto a un pescatore di Porticello tale Cosimo D’Amato che era cugino di Cosimo Lonigro, uomo d’onore di “Cosa nostra”, il quale procurò a “Cosa nostra” non soltanto 230-240 kg di esplosivo ricavato da bombe di profondità utilizzato per la strage di Capaci, ma oltre una tonnellata di esplosivo che venne utilizzato anche per le stragi del 93 sul continente”.
Quindi l’esplosivo per le stragi proveniva dal mare…
“Erano bombe di profondità anglo-americane e anche italiane usate durante la Seconda Guerra Mondiale, che alcuni pescatori di Porticello recuperavano in una zona soltanto a loro conosciuta con le reti a strascico, e che poi consegnavano a Cosimo D’Amato. Cosimo D’Amato, a sua volta, tramite Cosimo Lonigro le faceva avere a Spatuzza e agli uomini di Brancaccio, i quali in un magazzino nella disponibilità di Nino Mangano le aprivano con scalpello e martello, macinavano il tritolo che era contenuto ivi e che era solidificato, lo riducevano in polvere, lo setacciavano e lo mettevano in condizione di essere nuovamente in grado di esplodere”
Stesse esplosivo anche per le stragi del ’93…
“Sì, che sono state poste in essere con le stesse identiche modalità di lavorazione e macinazione dell’esplosivo”
Zone d’ombra?
“Le zone d’ombra sono state in certa parte sgombrate. Io leggo sui giornali diqualcuno che parla di un DNA femminile che è stato trovato. A un certo punto, anche su impulso della procura nazionale antimafia, abbiamo analizzato una torcia e un paio di guanti in lattice che erano stati trovati vicino al reperto, e che secondo gli investigatori potevano essere di soggetti esterni all’organizzazione, ma poi dentro la torcia sulle pile, interno alla torcia è stata trovata un’impronta digitale di uno degli uomini d’onore, Biondo Salvatore “il corto”, che era già stato condannato all’ergastolo per la strage. Quindi si può escludere che la torcia fosse riferibile a soggetti esterni all’organizzazione. Inoltre, è vero che è stato trovato del DNA, ma il biologo che lo ha analizzato ha detto che poteva essere indifferentemente maschile, poteva essere anche femminile, ma quel DNA trovato in quel guanto, non è che sappiamo che appartenesse necessariamente a qualcuno che aveva partecipato all’attentato… ed era un DNA ormai deteriorato a distanza di tanti anni… parliamo di un’analisi effettuata nel 2009…”
E la donna bionda? – chiede Rita Pedditzi
“Mah, secondo la mia modesta opinione non c’è… sono un po’ di fantasie giudiziarie queste… “