Il vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli, di FdI, ha presentato una proposta di legge per garantire l’uso della lingua italiana nella pubblica amministrazione e salvarla dall’ “estinzione”.
Il testo impone la comunicazione pubblica in italiano, il divieto di parole in inglese per i ruoli nelle aziende. I corsi in altre lingue a scuola, sono tollerati solo se ci sono studenti stranieri. Le abbreviazioni, le parole e i nomi stranieri dovranno essere tradotti e saranno autorizzati nella loro lingua originale solo se non si potrà fare altrimenti.
Tale legge è stata concepita sul presupposto che stiamo assistendo ad un progressivo aumento dello stabile utilizzo dei termini inglesi al posto degli analoghi italiani (dal 2000, il numero delle parole inglesi entrato nella lingua italiana scritta sarebbe aumentato del 773% secondo l’Accademia della Crusca).
Tutte le lingue sono prese di mira ma lo è soprattutto l’inglese che svaluta e umilia la lingua di Dante Alighieri secondo la proposta di legge.
Chi viola gli obblighi rischia una multa da 5mila a 100mila euro.
Intervistato dal Corriere della Sera, Rampelli ha rivendicato il “diritto alla comprensione dei cittadini, in assenza del quale non c’è comprensione. I processi di globalizzazione mettono a rischio le lingue madri. Non si tratta di una legge autarchica. Non si cerca di italianizzare le parole straniere. Tuttavia se c’è un corrispettivo, lo si deve usare”.
Questa legge è già presente per questioni storiche e revisionistiche in Francia dove vige la legge Toubon dal 1994, la vera fonte di ispirazione come ha ricordato lo stesso Rampelli a La7.
In Francia questi provvedimenti sono in linea anche con le iniziative e i principi del Carrefour des Acteurs Sociaux che da sempre ha preso posizione per proteggere la lingua di Molière.
Davide Quaglio Cotti