“Sarà vero rivoluzionario solo colui che saprà rivoluzionare se stesso…”
(Ludwig Wittgenstein)
Il tema che leggerete in questa breve riflessione attiene a ciò che sta accadendo attorno alla sorte dell’anarchico Alfredo Cospito.
Provo a fare il riassunto delle puntate precedenti per chi non fosse stato all’ascolto…
L’uomo dell’A cerchiata, senza Dio nè Stato (almeno così amavano definirsi ai tempi in cui Sacco e Vanzetti erano i loro idoli), è detenuto in regime carcerario speciale.
Accusato di gravi crimini e condannato per il sanguinario ferimento di un dipendente dell’Ansaldo, sta scontando la pena di dieci anni di reclusione.
Nel corso del processo che lo vide imputato dichiarò “gioia” e “godimento” per avere sparato alle gambe di un uomo inerme.
Ma la paranoia e la psicopatia travestite da paraculismo libertario non si sono limitate a questo.
Il 2 giugno 2006, insieme ad un altro compagno di merende, aveva progettato un attentato – con l’inumana tecnica delle bombe a grappolo – contro la scuola allievi Carabinieri di Fossano (Cuneo).
Solo la fortuna ha risparmiato la vita di tanti innocenti giovani allievi che l’attentatore avrebbe voluto morti in nome della “sfida all’ignoto” che agita la bandiera dell’anarchismo mondiale.
Potrebbe liquidarsi il tutto con una doverosa perizia psichiatrica e con l’incapacità di intendere e di volere dichiarata dal giudice.
Non ci vuol molto per capire che questo Cospito – lungi dall’essere un ideologo arruffa-popolo – è un soggetto molto simile al famigerato Hannibal Lecter reso celebre dalla scrittrice Clarice Sterling.
Tuttavia, come in tutte le cose del nostro beneamato Paese, qui l’affare si complica perché la parte più miserabile della politica italiana ne prende le difese ed invoca per lui ogni attenuante.
Che strano popolo, il nostro. Pronto a riconoscere pietà per il nemico e non uguale considerazione per le vittime della follia criminale…
Poiché appartengo alla generazione che vide nascere il terrorismo già nelle università e tra i comitati unitari di base (così li chiamavano) sarà bene ricordare quel periodo.
Era un tempo in cui ideologi accecati dall’odio e cattivi maestri arringavano una generazione di giovani cerebrolesi pronti a scatenare la violenza della loro insoddisfazione.
L’humus cui attecchivano era assai fertile, perché la lotta armata ammantava la loro vita (altrimenti inutile) dell’eroico e disperato anelito di giustizia incarnato da Ernesto “Che” Guevara.
Gente come Toni Negri, Oreste Scalzone e Franco Piperno inneggiavano alla rivoluzione armata permanente, salvo poi a fuggire a Parigi (badate bene, non a Mosca…) lasciando “i compagni” con le mani insanguinate e con le pezze al culo.
I terroristi e gli assassini – nella idea di certa parte della politica di allora – erano, appunto, “compagni che sbagliano“.
Probabilmente questa tragica idea delle cose l’aveva già compresa, qualche secolo prima, il signore di Talleyrand allorché assumeva che l’errore è più grave del delitto.
Ecco, allora, il conclusum di questa piccola meditazione sul caso del sedicente anarchico Alfredo Cospito.
Non ripetiamo gli errori del passato permettendo ad un criminale di ergersi ad esempio virtuoso di giustizia rivoluzionaria.
Di cattivi maestri, nel nostro paese, ne abbiamo avuti già tanti…
Lorenzo Matassa