Secondo gli esperti di Facebook, la cattura del latitante sarebbe avvenuta a seguito dell’ennesima trattativa.
Inutile chiedersi chi trattava e con chi… c’è spazio per tutti…
Per i meno complottisti, la cattura sarebbe invece avvenuta a seguito di una soffiata. Niente merito alle indagini, come se le fonti investigative, i cosiddetti informatori o confidenti, chiamateli come vi pare, non facciano parte delle normali attività che fin dai tempi di Efialte di Trachis hanno permesso il raggiungimento di risultati talvolta altrimenti impossibili.
Di cosa meravigliarsi, dunque, se anche il risultato fosse stato raggiunto a seguito della più classica delle soffiate?
Ci siamo forse meravigliati del fatto che sul latitante fosse stata messa una taglia? Ci siamo indignati per questo?
Ci si meraviglia negli Stati Uniti che venga offerta una ricompensa anche a chi sappia dare notizie su un furto?
Ma qui siamo in Italia, il Paese in cui tutto diventa complotto.
Stando alle notizie riportate dalla stampa –confermate anche da altre fonti – alla cattura si sarebbe arrivati intercettando familiari del boss che parlavano di patologie tumorali, di interventi chirurgici, di chemio.
Tutti dati che analizzati – e confrontandoli con quelli dei malati oncologici del ministero della Salute – avrebbero messo gli inquirenti sulle tracce di tale Andrea Bonafede di Campobello di Mazara, nipote di un vecchio favoreggiatore del boss, operato alla clinica La Maddalena di Palermo un anno fa.
Non c’è voluto molto per capire che la strada imboccata era quella giusta.
Il Bonafede, infatti, il giorno dell’intervento che subito alla clinica La Maddalena, era a casa propria, così come appurato dagli inquirenti.
Quella di Bonafede, dunque, poteva essere l’identità assunta da Matteo Messina Denaro.
La svolta è arrivata venerdì scorso, quando gli inquirenti hanno saputo che il Bonafede aveva prenotato una visita e una seduta per ieri, il giorno dell’arresto del latitante.
A prescindere da cosa ha portato all’arresto, che sia stata una soffiata o il lavoro certosino degli inquirenti (così come prospettato in maniera credibile e confermato da più parti), sta di fatto che si tratterebbe comunque del risultato di un’attività investigativa portata avanti da tempo.
Le teorie complottiste, finalizzate a screditare soggetti politici, stanno alla pari con i meriti attribuiti agli stessi: Zero!
Le vere incognite restano quelle su una lunghissima latitanza che ha visto una rete di protezione ramificata in tutto il territorio e ad ogni livello sociale.
Chi favorì Matteo Messina Denaro nella sua latitanza?
Tra favoreggiatori consapevoli, depistaggi e possibili errori madornali, l’elenco sarebbe lunghissimo.
Troppe ombre, a partire dai falsi pentiti, come Vincenzo Calcara, per arrivare alle accuse a magistrati che indagavano sul latitante, bloccandone le attività.
Una storia per tutte, quella che vide Marcello Viola – allora capo della procura di Trapani e oggi di quella di Milano – e Maria Teresa Principato, all’epoca procuratore aggiunto di Palermo, accusati di rivelazione del segreto d’ufficio, indagati inizialmente con l’aggravante dell’articolo 7 per aver agevolato la mafia, ostacolando le indagini della Dda di Palermo.
Cosa avevano fatto i due magistrati? Null’altro che non rientrasse nelle attività alle quali erano preposti.
Venne infatti processualmente accertato un continuo rapporto di collaborazione e di scambio di atti tra le Autorità Giudiziarie di Trapani e Palermo, nell’ambito delle indagini volte alla cattura del latitante.
Una vicenda che vide coinvolto anche l’ex finanziere Calogero Pulici – fidato collaboratore della Principato – il quale dopo essere stato allontanato verbalmente dalla Procura di Palermo nell’estate 2015,rimase coinvolto in più processi (almeno sette terminati con assoluzione) tra i quali uno per aver consegnato nell’ottobre 2015 all’allora capo della Procura di Trapani, Marcello Viola, una pendrive contenente i verbali di interrogatorio di un collaboratore di giustizia coperti da segreto investigativo.
Tutto lecito e funzionale alle indagini per porre fine alla latitanza del boss castelvetranese, eppure…
Ma questo non è tutto.
L’11 dicembre 2015, Pulici, recatosi nella stanza della dottoressa Principato per ritirare i suoi effetti personali, in presenza di testimoni faceva la scoperta che era “scomparso” il suo pc e due pendrive che contenevano tutti i file delle attività di indagini svolte dall’ufficio e coperte da segreto istruttorio.
Ma cosa contenevano i supporti telematici scomparsi dall’ufficio della Principato?
Tutte le indagini svolte sulla latitanza di Matteo Messina Denaro!
Pulici denunciò la scomparsa del suo pc, ma per la Procura di Palermo la scomparsa dall’ufficio di un magistrato di un computer e delle pendrive contenenti atti d’indagine coperti da segreto, non rappresentava reato, tant’è che la denuncia venne archiviata a mod 45 (non essendo emersa alcuna ipotesi di reato).
Troppe ombre sulle quali fare chiarezza, senza trascurare fughe di notizie, inutili processi basati su teoremi complottistici, improvvidi arresti e perquisizioni che di fatto più volte hanno tagliato importanti collegamenti che potevano portare al boss latitante.
Più che chiederci come è avvenuta la cattura di Matteo Messina Denaro, dovremmo chiederci quali furono i livelli di protezione e quelli di dabbenaggine che hanno permesso questi lunghi trenta anni di latitanza…
Parlerà mai di tutto questo l’ex primula rossa?
Gian J. Morici
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